I Nativi Americani hanno davvero votato per Trump?

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I Nativi Americani hanno davvero votato per Trump?

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I dati definitivi delle votazioni presidenziali americane 2024 sono ancora in elaborazione e, probabilmente, quelli relativi ai Nativi Americani non saranno mai esatti. Secondo una stima della NBC, il 65% dei Nativi avrebbe votato per Trump.

Un dato stupefacente, in contrasto con dichiarazioni e articoli pubblicati sulle varie testate native e non. Il problema resta sempre lo stesso, negli anni: i voti dei Nativi non vengono registrati correttamente. Se andiamo sul Washington Post(immagine), gli Indiani d’America non sono segnalati nei risultati delle votazioni, ma sarebbero inclusi nell’“Other race”, al di fuori della distinzione “razziale” White, Black, Hispanic/Latino etc. Di questi, il 54% avrebbe votato per Trump. Stessa cosa per la CNN con “All other races”, dove sono conteggiati i Nativi, ma qui la percentuale a favore di Trump scende a un 46%. 

Certamente, come abbiamo visto già in alcuni miei articoli, ci sono stati molti Nativi Americani a favore di Harris e dei Dem, ma anche molti altri a favore di Trump. Non riesce facile sviscerare i risultati, e solo osservando quelli specifici per alcune riserve  possiamo vedere, ad esempio, che: gli Oglala Lakota avrebbero votato per l’84% la Harris; idem per i Menominee; sul totale di Standing Rock la Harris ha ottenuto un 68,6%.

Per i Nativi tra le questioni più importanti in ballo alle elezioni ci sono state i progressi nel diritto all’autodeterminazione e il cambiamento climatico, sotto forma anche dello specioso problema delle trivellazioni per i combustibili fossili. Ma ci chiediamo anche se, come abbiamo visto nello scorso articolo, le scuse ufficiali di Biden ai Nativi Americani – giocate alle elezioni in zona Cesarini -  per l’orrore delle scuole residenziali indiane siano state controproducenti. Molti Nativi Americani si sono sentiti disillusi da entrambi i partiti. “Non importa chi sia il presidente, se un democratico o un repubblicano: non sono nostri amici”, ha detto Daniel Cardenas della National Tribal Energy Association.

Cosa vuol dire ora per i Popoli Indigeni statunitensi la vittoria di Trump?

Alcuni giornali nativi, tra cui Indian Country Today, fanno un punto della situazione della passata amministrazione Trump, durante la quale i Nativi hanno ottenuto alcune vittorie sparse: Trump ha riconosciuto federalmente sette tribù, di cui sei in Virginia, ha rimpatriato i resti ancestrali indigeni dalla Finlandia e ha istituito una task force sulle persone indigene scomparse e uccise, Missing and Murdered Indigenous People (MMIP). Ma per quanto riguarda il territorio e l'ambiente, gli attivisti indigeni sono dovuti stare spesso sulla difensiva. Trump ha ridotto, durante il precedente mandato, dell'85% il Bears Ears Monument per aprire l'area alle trivellazioni. Ha portato avanti l'oleodotto Keystone XL, ignorando ancora una volta l'opposizione dei Nativi. Ha cercato di aprire parti dell'Arctic National Wildlife Refuge alle trivellazioni, nonostante l'opposizione di gruppi indigeni come il Gwich'in Steering Committee e Cultural Survival.

La costruzione nel Guadalupe Canyon, in Arizona, del muro di confine per prevenire immigrazioni illegali ha danneggiato un luogo di sepoltura sacro della Nazione Tohono O'odham risalente a 10.000 anni fa. La sua amministrazione ha cercato di sottrarre terre alla Tribù Mashpee Wampanoag nel New England, la prima mossa di questo tipo in diversi decenni dalla Termination Era, durante la quale il governo federale cercò di eliminare le terre e lo status tribale.

Trump non ha parlato molto, nel suo programma, di ciò che farà specificamente per le tribù durante la sua nuova presidenza. Il riassunto di 16 pagine della piattaforma repubblicana sul sito web della campagna di Trump non include le parole “tribù”, “nativi” o “indigeni”. Tuttavia, il documento illustra in modo inequivocabile la posizione di Trump in merito ai progetti energetici. Ora che Trump ha vinto, i Nativi Americani che hanno vissuto la sua prima presidenza dicono di aspettarsi un maggiore impeto nei progetti di combustibili fossili nelle riserve. Per Gussie Lord, cittadino della Oneida Nation e avvocato del Tribal Partnerships Program di Earthjustice, il primo mandato di Trump è stato ricco di “azioni che guardano all'indietro e un approccio davvero arretrato alle questioni tribali”.

L'amministrazione Biden-Harris ha portato a un aumento del 50% dei finanziamenti per le nazioni tribali rispetto ai quattro anni precedenti sotto Trump. Tuttavia, nonostante la retorica sulla giustizia climatica dell'amministrazione Biden-Harris, questa ha perseguito la produzione di combustibili fossili con maggior successo di quella di Trump e la produzione di petrolio e gas ha raggiunto livelli record.

“C'è stata un'enorme spinta verso le fonti nazionali di minerali, che è iniziata sotto l'amministrazione Trump ma è continuata sotto l'amministrazione Biden, che ha investito molti soldi in questo senso”, ha detto Lord, aggiungendo che si tratta di una preoccupazione reale, data la vicinanza di questi minerali alle terre dei Nativi. Schatz, del Comitato per gli Affari Indiani del Senato, ha detto: “La differenza è stata netta: un partito, quello democratico, ha proposto ai Nativi di ripristinare e coltivare l'autodeterminazione, di fornire risorse per gli alloggi, l'istruzione, l'assistenza sanitaria e la gestione delle risorse naturali. E l'altro partito, quello repubblicano, vuole, nella migliore delle ipotesi, ignorare le tribù e, in molti casi, fare violenza alle fondamenta stesse della sovranità tribale”.

I candidati Nativi Americani

Il giorno delle elezioni del 2024 ha visto 178 candidati nativi sulle schede elettorali in 24 stati del paese. Rispetto alle elezioni di midterm del 2022, c'è stato un aumento del 44% dei candidati nativi, secondo Advance Native Political Leadership. I 178 candidati nativi in corsa per le elezioni hanno incluso 95 democratici, 21 repubblicani, tre indipendenti e 59 apartitici. Nove candidati indigeni sono stati in corsa per i seggi della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, tra cui quattro erano già in carica: Sharice Davids, Ho-Chunk del Kansas, ha vinto quest’anno per i democratici; Mary Peltola, Yup'ik dell'Alaska, sempre per i dem, ha perso; dell'Oklahoma Josh Brecheen (Choctaw) e Tom Cole (Chickasaw) hanno vinto, entrambi per i repubblicani. L'ex presidente della Nazione Navajo, Jonathan Nez, è stato in corsa per diventare il primo nativo americano a rappresentare l'Arizona al Congresso, ma è stato sconfitto dal repubblicano Eli Crane.

Ancora non si hanno i dati ufficiali e definitivi di quanti candidati Nativi siano stati eletti, però una cosa è certa: il popolo nativo è più che mai determinato a pesare sull’ago della bilancia e a costituire una fetta determinante della politica statunitense. Nonostante gli exit polls e i sondaggi, ancora, non li considerino.

 

 

 

 

 

 

Raffaella Milandri

Raffaella Milandri

 

Scrittrice e giornalista, attivista per i diritti umani dei Popoli Indigeni, è esperta studiosa dei Nativi Americani e laureata in Antropologia.
Membro onorario della Four Winds Cherokee Tribe in Louisiana e della tribù Crow in Montana. Ha pubblicato oltre dieci libri, tutti sui Nativi Americani e sui Popoli Indigeni, con particolare attenzione ai diritti umani, in un contesto sia storico che contemporaneo. Si occupa della divulgazione della cultura e letteratura nativa americana in Italia e attualmente si sta dedicando alla cura e traduzione di opere di autori nativi. Attualmente conduce un programma radiofonico sulla musica nativa americana, "Nativi Americani ieri e oggi" e cura la riubrica "Nativi" su L'AntiDiplomatico.

 

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