La consegna del silenzio sulla Libia è un atto di guerra

La consegna del silenzio sulla Libia è un atto di guerra

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Le elezioni libiche annunciate sin dallo scorso marzo per il 24 dicembre 2021 non si terranno. Chi legge i nostri articoli sa bene che sin da allora non abbiamo mai avuto dubbi, sin da quando la data delle elezioni era stata promessa per accentrare consenso intorno alla figura di Abdulhamid Dabaiba, l’ennesimo primo ministro calato dall’alto senza il consenso del parlamento libico. Le elezioni non si possono tenere perché in Libia la questione non è politica, ma è militare. Non essendoci un vincitore militare, ad oggi, non ci può essere investitura politica. Quest’è.

LE 3 CERTEZZE SULLA QUESTIONE LIBICA:

1) L’ITALIA RAFFORZA IL PROPRIO CONTINGENTE IN LIBIA

Ciò che sta succedendo sul terreno in Libia in queste settimane è difficile da riassumere in poche righe e ancora più difficile da ordinare in una struttura di senso. Tutti gli attori, interni ed esterni, si stanno muovendo freneticamente sulla scacchiera come formiche impazzite.

Ma ci sono 3 certezze da ribadire di fronte ad una consegna del silenzio imposta sui media italiani ed europei circa le questioni essenziali: 1) Draghi è un mentitore seriale e sulla Libia l’Italia cerca la guerra; 2) Saif Gheddafi è dato al 70% nei sondaggi e questo è il motivo vero per cui le elezioni non si terranno; 3) la Turchia, prima usata dalla NATO e ora messa politicamente alle corde, si è offerta a Haftar, il suo più acerrimo nemico e forse sta giocando le sue ultime carte.

Andiamo per ordine.

In una conferenza stampa tenuta il 22 dicembre il premier Draghi ha affermato: "L'Italia e l'Europa hanno fatto di tutto per accompagnare questo processo verso la democrazia in Libia e continueranno a fare di tutto. Il fatto che non si siano riuscite a tenere le elezioni è dipeso da complicazioni istituzionali libiche ma ancora da una situazione che rimane molto frammentata tra i vari centri di potere del Paese. Oggi dobbiamo sperare che il processo di consultazione politico si riprenda, il dialogo tra i vari centri di potere riprenda e fissino una nuova data per le elezioni". 

Falso. L’Italia in questi ultimi anni ha sempre sostenuto milizie e governi mai votati. Ha inviato armamenti alle bande armate a Tripoli, più o meno camuffate da istituzioni, in cambio di petrolio. 

Infine, lo scorso 19 dicembre, il sito del giornale Al-Marsad pubblica le foto di un nuovo carico di armamenti inviati dall’Italia al cosiddetto ospedale di Misurata, una sorta di base militare italiana camuffata da ospedale nella città dove risiede la milizia libica illegale più potente nel paese, quella che nel 2015 impedì militarmente al governo eletto di insediarsi a Tripoli.

Nel corso degli anni alcune accuse hanno colpito la nostra missione in Libia, tra cui quella di curare affiliati all’Isis e rispedirli sul fronte contro l’Esercito Nazionale Libico.

A tal proposito abbiamo recuperato un’intervista al Feldmaresciallo Khalifa Haftar raccolta dal Corriere della Sera nel gennaio 2017: “Conosco i problemi del vostro ospedale - afferma Haftar. Il numero due dei vostri servizi segreti è un mio buon amico; viene spesso a trovarmi e ne abbiamo parlato diverse volte. Ma consiglierei ai paesi stranieri di non interferire nei nostri affari interni. Lasciate che i libici si occupino della Libia".

L’intervista continua con la seguente domanda: i migranti che arrivano dalla Libia sono un serio problema europeo, non crede che siamo tutti coinvolti?

"Siamo un paese di transito. Se il nostro esercito riesce a controllare la nostra frontiera meridionale, il problema sarà meno grave per tutti. Questo vale anche per la questione degli impianti energetici tanto cari all'Italia. Sarei felice di parlare con i dirigenti dell’ENI”.

Già. Petrolio e migranti. Fingere di occuparsi dei secondi per mettere le mani sul primo. Ne abbiamo scritto in tutti i modi. I libici in Libia ce l’hanno raccontato in tutti i modi. I migranti-schiavi in Libia altrettanto. Ma vige la consegna del silenzio. E allora Draghi, nella stessa conferenza stampa aggiunge: “abbiamo l'impegno delle Nazioni Unite, attraverso l'Oim, ad agire per aiutare la Libia nei confronti delle migrazioni da altri Paesi e abbiamo un impegno dell'Europa ad un'azione molto più determinata nella creazione di corridoi umanitari e rimpatri assistiti”.

Il riflesso pavloviano dell’UE ogni volta che parla di Libia. Quando si parla di petrolio, subito dopo vengono in mente i migranti. 700.000 migranti-schiavi nelle mani delle milizie di Tripoli. 40.000 di loro già riconosciuti rifugiati. Ogni anno i corridoi umanitari riguardano però circa un migliaio di loro. Gli altri restano indietro a fare manodopera a costo zero, in altre parole a fare gli schiavi, per quelle milizie che usurpano il potere a Tripoli e ci vendono il petrolio sottobanco.

2) SAIF GHEDDAFI E’ AL 70% NEI SONDAGGI. LE ELEZIONI NON SI POSSONO TENERE

Basta questo dato per spiegare il rinvio delle elezioni. Europa e NATO ogni volta provano a spiegare la Libia come un covo di predoni riottosi, sulla linea del mito del mediorientale litigioso, giusto per poi proporsi come i pacificatori e trovare la scusa per farsi gli affari degli altri. Questo dato smentisce tutto ciò. La maggioranza dei cittadini libici ha le idee chiare. Il 91% non vuole che le elezioni siano posticipate. Saif è dato all’84% contro Dabaiba, il candidato dei Turchi, e poco sopra il 70% includendo tutti gli altri candidati. 

Non solo: lo scorso 20 dicembre il Consiglio supremo delle tribù e delle città libiche ha espresso il suo rifiuto di rinviare le elezioni. Hanno affermato che il ritardo è "un tentativo maligno di perpetuare la crisi”. Nella dichiarazione, il consiglio ha ritenuto le Nazioni Unite (ONU), il suo Consiglio di Sicurezza e la sua missione in Libia responsabili del fallimento delle elezioni e del loro rinvio. Nella dichiarazione si avverte che questo “porterà il paese a un destino che solo Dio conosce, e questo è l'obiettivo degli agenti stranieri”.

La fotografia è piuttosto esaustiva. Ancora una volta l’intromissione della NATO ha esautorato le istituzioni libiche, frustrando il desiderio dei Libici di tenere nuove elezioni libere. La consegna del silenzio consente al premier Draghi, alle cancellerie europee e alla stampa servile che ne scrive di presentare la situazione completamente capovolta. La menzogna è un atto di guerra. E l’Italia è in prima fila sul fronte della manipolazione della realtà, come un ladro qualsiasi.

3) LA TURCHIA SULL’ORLO DI UNA CRISI DI NERVI

Richard Norland, ambasciatore USA a Tripoli, l’aveva detto chiaramente lo scorso maggio: “senza l’intervento militare turco nel gennaio 2020 a difesa di Tripoli, non sarebbe stato possibile impedire all’Esercito Nazionale Libico di conquistare Tripoli”.

Sappiamo bene come la Turchia sia servita come forza militare di pronto intervento della NATO per impedire che Tripoli fosse liberata, strappata alle milizie e riconsegnata ai Libici.

Ma negli ultimi mesi i rapporti mai idilliaci tra NATO e Turchia, in Libia si sono deteriorati. Se da un lato la Turchia ha puntato tutto sul non tenere le elezioni, gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno spinto perché le elezioni si tenessero. Perché? Perché il prossimo governo potrebbe cancellare tutti gli accordi firmati con la Turchia negli ultimi 2 anni e questa potrebbe trovarsi con un pugno di mosche. D’altro canto però le milizie rispondo perlopiù alla Turchia e questa occupa militarmente la Tripolitania con soldati e mercenari.

Gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno probabilmente pensato che le elezioni avrebbero per primo reso vani tali accordi, ridimensionando il ruolo della Turchia e in seguito, qualora il risultato delle elezioni non fosse stato favorevole agli interessi della NATO, un po’ di guerra e il solito lavoro sporco a livello internazionale avrebbero creato quel caos necessario per impedire ai vincitori di insediarsi a Tripoli.

Ma Erdogan non si può permettere di perdere la Libia, con la crisi economica galoppante in corso in patria. 

E allora colpo di scena. Dopo una settimana di visite giornaliere ad Ankara da parte dei principali politici di Tripoli, qualche giorno fa Fatih Bashaga, uomo forte della Fratellanza Musulmana a Misurata, si reca di persona a Bengasi per incontrare Khalifa Haftar, nel quartier generale dell’LNA (l’Esercito Nazionale Libico). Pare che Salah Baddi, leader della milizia di Misurata non l’abbia presa benissimo, ma forse è solo scena dovuta. Una corte di Misurata solo alcune settimane fa aveva chiesto l’arresto di Haftar, ora i mandanti di quella corte si sono inginocchiati di fronte al feldmaresciallo. Forse che la Turchia stia tentando un’azione disperata nel tentativo di ribaltare completamente il paradigma non solo in Libia ma in tutto il mondo arabo?

Questo lo scopriremo.

Nel frattempo le strade di Tripoli e delle principali città della costa tripolitana sono assediate da migliaia di miliziani. Il portavoce ufficiale del ministero dell'Interno del governo di Tripoli, il colonnello Abdel Moneim Al-Arabi, ha affermato che tutte le formazioni che attualmente stanno bloccando le strade appartengono al Consiglio presidenziale, e non al ministero dell’Interno. Insomma volano stracci anche a Tripoli, dove tira una brezza gelida e di taglio. 

Qualcosa sta andando storto. Qualcuno forse si sta accordando con il nemico anche a Tripoli. Le armi sono cariche. L’Italia ha rafforzato il suo contingente. Tutti stanno con gli occhi aperti, sia davanti che dietro, sia di giorno che di notte. 

La commissione elettorale propone ora la data del 24 gennaio per le elezioni. 

La consegna del silenzio è la strategia per far dormire sonni tranquilli a noi Italiani, a noi europei. Più noi non capiamo, più nuovi patti scellerati saranno possibili. 

Al massimo litigheremo sugli sbarchi e ci sembrerà di averci capito qualcosa.

GUARDA IL VIDEO DEL DIBATTITO SEGUITO ALLA PROIEZIONE DEL FILM “L’URLO” A ROMA, LO SCORSO 17 DICEMBRE: 

https://www.youtube.com/watch?v=MUROKMMwk-0

 

Michelangelo Severgnini

Michelangelo Severgnini

Regista indipendente, esperto di Medioriente e Nord Africa, musicista. Ha vissuto per un decennio a Istanbul. Ora dalle sponde siciliane anima il progetto "Exodus" in contatto con centinaia di persone in Libia. Di prossima uscita il film "L'Urlo"

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