La sfiducia a Imran Khan: il Pakistan nel Grande Gioco

La sfiducia a Imran Khan: il Pakistan nel Grande Gioco

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di Maria Morigi

 

  1. Quadro generale

Dopo la Partizione del 1947 il “Paese dei Puri”, immaginato dal Padre fondatore Mohammad Ali Jinnah, e divenuto Repubblica Islamica del Pakistan, è progressivamente scivolato nell’ingovernabilità e nella corruzione. A ciò hanno contribuito gli Stati Uniti, eredi delle strategie britanniche del Grande Gioco coloniale, soffiando sul fuoco delle rivendicazioni di confine dei territori tribali (Jammu-Kashmir e FATA) e fomentando l’odio con l’India, ma hanno prodotto il danno maggiore col sostegno all’esercito pakistano nel controllo dei governi e degli armamenti nucleari.

Colpi di stato militari e rimozioni di leader eletti hanno tenuto il Pakistan sotto governo militare per 33 anni dall’indipendenza in poi: dalla prima dittatura militare (1957-68) del generale Ayub Khan, alla seconda (1977-88) del generale Muhammad Zia ul-Haq, fino al colpo di stato e presidenza di Pervez Musharraf (1999-2007). Nel paese esiste ancora un duopolio politico: Presidenza e Parlamento, anche se formalmente sovrani in materia legislativa ed esecutiva, sono in realtà condizionati dai vertici militari del quartier generale di Rawalpindi, che detta l’agenda di politica estera, sicurezza nazionale e del programma nucleare pakistano. Il ruolo dell’ Inter-Service Intelligence (Isi), ovvero i servizi segreti pakistani, è uno dei nodi che complicano le relazioni tra apparato civile e apparato militare, in quanto i servizi segreti pakistani solo formalmente rispondono al primo ministro, godono invece di un ampio margine d’azione indipendente e registrano una preoccupante radicalizzazione all’interno stesso di alcuni loro settori.

Si aggiunge la proliferazione di gruppi integralisti regionali e transnazionali che Islamabad non è in grado di controllare in modo efficace. Tra essi il gruppo fondamentalista Lashkar e-Taiba (LT) che nel novembre 2008 colpì l’hotel Taj Mahal di Mumbai; il gruppo Tehreek-e-Taliban Pakistan (TTP), formato da Talebani fedeli alla causa afghana, con notevole influenza nel Sindh e nel Punjab, messosi in evidenza con il massacro della scuola di Peshawar del 2014; il Baloch Liberation Army (BLA) di cui parleremo più avanti operativo in Baluchistan, e altri ancora che dettano legge in zone rurali e montane (FATA)

Osserviamo infine che nessuno dei primi ministri del Pakistan ha mai completato un intero mandato di cinque anni, a causa di scandali politici, gravi episodi di corruzione e giochi di potere.

 

  1. La sfiducia a Imran Khan

Dopo che il suo predecessore, Nawaz Sharif, è stato travolto per corruzione dalle rivelazioni dei Panama Papers, Imran Khan, presidente del partito politico nazionalista e populista Tehreek-e-Insaf (PTI), Movimento per la Giustizia del Pakistan, è stato eletto nel luglio 2018 promettendo al popolo di sradicare la corruzione e sollevare le persone dalla povertà. Merito del campione di cricket è stato quello di rompere il dominio delle due potenze dinastiche, ovvero il partito uscente Pakistan Muslim League-Nawaz (PML-N) dell'ex premier Nawaz Sharif e il Pakistan Peoples Party (PPP) della famiglia Bhutto.

Khan, al di là della propaganda dei suoi focosi sostenitori, ha in realtà ereditato il controllo di una nazione instabile, una incombente crisi economica e la frattura con l'alleato storico USA che gli rimprovera legami con militanti jhaedisti e interessi con i Talebani afghani per la stabilizzazione e il riconoscimento internazionale dell’ Afghanistan come Emirato islamico.

Ma a travolgere Imran Khan - insieme a due membri del suo gabinetto e notabili cittadini pakistani (anche militari), finanziatori del suo partito – questa volta sono stati i Pandora Papers. La raccolta di 11,9 milioni di documenti finanziari segreti, trapelati al Consorzio Internazionale dei Giornalisti Investigativi e condivisi in tutto il mondo, contiene informazioni su 29.000 persone che possiedono società di comodo, trust e conti bancari in giurisdizioni segrete. Secondo i media pakistani, dalla fine del 2021 una Commissione ispettiva ministeriale sta esaminando le proprietà offshore di 240 cittadini pakistani tra cui politici, generali dell'esercito e burocrati legati con paradisi fiscali. Imran Khan è vistosamente tra gli indagati.

D’altronde gli oppositori parlamentari da tempo avevano tessuto la rete di una grande coalizione contro Khan, soprannominandolo un "fantoccio" e accusandolo di aver stipulato un patto con i potenti generali dell’ esercito, cioè coloro che hanno una storia di estromissione di primi ministri per il controllo della politica estera. Khan ha sempre negato le accuse che i militari gli avrebbero fatto vincere le elezioni.

E tuttavia, durante il suo mandato, ad essere onesti, non si sono visti miglioramenti apprezzabili sul piano economico, poiché svalutazione della moneta e inflazione hanno progressivamente esposto il Pakistan al capitale finanziario internazionale, senza che ciò abbia giovato in modo sensibile ad aumentare il tasso di crescita dell’economia nazionale o a migliorare condizioni sociali, lavoro, istruzione e sistema sanitario (ho potuto vedere nel 2020 - in enclaves etniche del Punjab e del Sindh - condizioni lavorative che non stento a definire di puro sfruttamento schiavistico).

 

  1. China-Pakistan Economic Corridor (CPEC), rapporti con USA e India, questione afghana

La delegittimazione di Imran Khan ha sullo sfondo anche altre varie questioni: la prima è l’ infrastruttura vitale per lo sviluppo del Pakistan, il China-Pakistan Economic Corridor (CPEC), la seconda è l’alleanza ormai in discussione con gli USA oltre che la gestione dei rapporti con l’India. Le due questioni sono legate e interdipendenti. Infine, come detto, c’è l’ingombrante presenza di gruppi militanti jhaedisti attivi anche a livello transnazionale, i quali - in una commistione di religione e politica – sostengono partiti politici.

Il China-Pakistan Economic Corridor (CPEC), prima diramazione marittima della Belt and Road per l’importazione di idrocarburi dal Medio Oriente in Cina, rappresenta un investimento di strategica importanza con vantaggi logistici per il dimezzamento delle distanze tra Xinjiang cinese e sbocco al Mare Arabico nel porto di Gwadar (che per la Cina dovrebbe diventare il secondo hub commerciale dopo Hong Kong). I vantaggi per il Pakistan consisterebbero in un miglioramento del sistema energetico e di trasporto, oltre che in relazioni economiche con le Repubbliche dell’Asia centrale. Grazie al rilevante investimento cinese, dal 2017 il progetto infrastrutturale ha rifornito le casse statali pakistane di valuta estera e ha consentito il miglioramento delle centrali elettriche, limitando i cali di corrente che affliggono il Paese.

Se il corridoio Cina-Pakistan segna una nuova epoca di legami economici e di cooperazione per il decollo industriale del Pakistan, sussistono però gravi problemi per la sicurezza, visto che l’infrastruttura interessa la regione del Belucistan (al confine con Iran e Afghanistan), la più povera e arretrata delle province pakistane interessata alle violente rivendicazioni indipendentiste del BLA Esercito di Liberazione del Belucistan, organizzazione militante emersa nel 2000 con attentati contro le autorità pakistane, oggi attiva a colpire gli interessi cinesi del CPEC, e qualificata come organizzazione terroristica da Pakistan, Regno Unito e Stati Uniti. Tutto ciò aggrava tensioni interne tra interessi di proprietari terrieri, mercato della droga e investitori nell’indotto; nello stesso tempo genera contrasti con gli USA e con l’India, entrambi assai preoccupati che il Corridoio subordini agli interessi cinesi tutta l’area. New Delhi vede come fumo negli occhi Il fatto che, grazie al CPEC, Islamabad possa perseguire un accresciuto ruolo geopolitico. Inoltre il Corridoio percorrerebbe un’area instabile come il Kashmir dove lo scontro tra India e Pakistan non è risolto e dove l’estremismo e l’irredentismo anti-indiano si riaccendono con frequenza. L’India e il partito conservatore Bharatiya Janata Party di Narendra Modi hanno tutto l’interesse che il Pakistan rimanga in uno stato precario di strutturale debolezza.

E veniamo alla gestione della questione afghana. La visita del 2019 di Imran Khan negli Stati Uniti aveva registrato l’impegno del governo pakistano ad un più incisivo contributo alla soluzione politica della questione afghana; gli USA avevano persino riconosciuto l’interesse di Islamabad che a Kabul si formasse un governo dei Talebani con un ruolo importante e riconosciuto. L’India da parte sua paventava che le pressioni USA portassero il Pakistan a svolgere un ruolo troppo incisivo nella soluzione della crisi afghana e temeva che l’asse della politica americana si riorientasse in favore del Pakistan, a scapito del riavvicinamento tra Washington e New Delhi.

Nel Giugno 2021 (vedi articolo dell’Antidiplomatico 21/6/2021) Imran Khan, esprimendo la sua contrarietà alla collaborazione con gli USA, aveva affermato che agli Stati Uniti non sarà mai permesso di utilizzare basi militari sul suolo pakistano né di usarle per prossime missioni in Afghanistan. Del resto era chiaro che accettare la presenza delle forze statunitensi in Pakistan sarebbe stato un “suicidio politico” per Khan che aveva fondato la sua campagna elettorale sul rifiuto di collaborare con gli USA (anche se i funzionari USA hanno sempre sperato di poter raggiungere un accordo segreto con l'esercito pakistano e i servizi segreti per raggiungere il loro obiettivo!). Di fatto, all’indomani del ritorno di Kabul nelle mani dei Talebani, le relazioni tra Islamabad e Washington, da complicate si sono fatte ingestibili: Stati Uniti e Pakistan sono ormai ai ferri corti. Così testimoniano l’inconcludente esito degli incontri (Ottobre 2021) ad Islamabad con la delegazione americana guidata dal Vicesegretario di Stato Sherman e la cancellazione dell’incontro di Imran Khan con l’amministrazione Biden.

Dopo l’exit dall’Afghanistan, gli USA stanno dunque rivedendo la storica partnership con il Pakistan, voltando definitivamente pagina rispetto ad un’alleanza siglata quando scopo del Pakistan era raggiungere la parità militare con l’India. Per gli Stati Uniti il Pakistan è solo un ‘residuo’ dell’accordo di cooperazione e di mutua assistenza (patto di Baghdad) noto come CENTO (Central treaty organization), stabilito nel 1955 fra Iran, Iraq, Pakistan, Turchia e Gran Bretagna, cui gli Stati Uniti aderirono nel 1958, per contrastare l'influenza sovietica in Medio Oriente. Ora si cambia definitivamente tattica. Il ritiro USA dall’Afghanistan ha dunque accelerato il processo di riavvicinamento tra l’America di Biden e l’India di Nerendra Modi, testimoniato dalla calorosa accoglienza riservata al premier indiano nella sua visita a Washington e dal ruolo di Delhi all’interno della nuova “Santa Alleanza”, il Quadrilateral Security Dialogue (QUAD) intesa ad ostacolare la Cina e la Russia… e ad emarginare definitivamente chi - come il Pakistan - non serve più agli interessi di scontro globale.

 

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