Da civile a militare: la Filiera dell'auto supererà la sua crisi?

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Da civile a militare: la Filiera dell'auto supererà la sua crisi?

 

di Federico Giusti

Riconvertire parte della filiera dell’auto al militare, non è una semplice suggestione , se ne parla da mesi, almeno da quando la Ue ha imposto i dazi alle esportazioni dalla Cina di prodotti frutto della collaborazione di aziende locali con imprese europee, associazioni temporanee di imprese nate non solo per delocalizzare produzioni, dove il costo del lavoro è decisamente più basso, per avere tecnologia a basso costo ormai merce rara nei paesi a capitalismo avanzato.

La crisi del settore auto in Europa e in Italia non è una novità, non si tratta di un malanno di stagione ma di una malattia che affligge la manifattura da tempo. 
 
Sarebbe fin troppo facile attribuire le cause di questa situazione alla mannaia green della Commissione Europea e all'obiettivo di raggiungere nel 2035 la intera produzione elettrica, certo ci sono stati errori di valutazione e di prospettiva (e non mancheranno, con il grande riarmo UE, i dovuti correttivi) ma è indubbio che la pandemia prima e la guerra poi abbiano determinato condizioni meno favorevoli per le imprese europee, vuoi per gli elevati costi dell'energia e delle materie prime vuoi per i ritardi nell'ammodernamento tecnologico accumulati da marchi poco avvezzi agli investimenti ma assai propensi invece alla riduzione del costo del lavoro e ai finanziamenti pubblici.
 
Siamo davanti a una crisi strutturale, basti pensare che marchi importanti hanno speso meno del 4 per cento dei loro ricavi in ricerca e sviluppo mentre i dividendi tra gli azionisti si moltiplicavano come i compensi percepiti dai managers.
 
La crisi tuttavia investe anche marchi attenti alla formazione e ai processi innovativi, fatto sta che l'ondata di scioperi nell'estate 2023 è stata ampiamente sottovalutata, in molti pensavano alla reazione della classe operaia Usa ai bassi salari (in 30 anni i salari dei metalmeccanici hanno perso metà del potere di acquisto e innumerevoli diritti collettivi e individuali) mentre invece eravamo di fronte a una situazione ancora più preoccupante come dimostrano i licenziamenti partiti nelle settimane successivi alla mobilitazione. I salottieri cantori del conflitto e della classe operaia, che una tuta da lavoro mai indosseranno, pensarono alla rinascita del sindacato statunitense senza mai analizzare i contenuti dell'accordo che pose fine a settimane di scioperi, al baratto tra aumenti contrattuali per le maestranze a tempo indeterminato e il licenziamento di interinali e precari con il depotenziamento della produzione.
 
A rischio di ripeterci la crisi dei marchi europei ha origini lontane, è stata persa la sfida tecnologica con i mercati asiatici ma il colpo finale è arrivato dalla guerra e dal rincaro di prodotti energetici e delle materie prime.
 
Oggi le aziende meccaniche europee vedono positivamente il riarmo della Ue come grande opportunità per riconvertire a fini militari parte della produzione. E il sindacato stesso sarà presto chiamato a operare delle scelte senza gli equilibrismi a cui siamo avvezzi, per dirne una aderire a manifestazioni favorevoli al riarmo europeo e al contempo farsi promotori di un continente di pace.
 
Vediamo alcuni esempi eloquenti per comprendere la situazione focalizzando l'attenzione sulle imprese di armi e sul loro espansionismo commerciale
 
Rheinmetall spinge sulle munizioni. Il principale produttore europeo di munizioni, sta riconvertendo due dei suoi stabilimenti automobilistici in Germania per adattarsi alla crescente domanda di equipaggiamenti per la difesa. Secondo l’annuncia della società tedesca le fabbriche di Berlino e Neuss, attualmente dedicate alla produzione di componenti per l’industria automobilistica, verranno trasferite alla divisione Armi e Munizioni della società. Pur mantenendo una quota di produzione civile, questi impianti saranno trasformati in stabilimenti ibridi, con un focus sulla fornitura di componenti meccanici per uso militare. L’azienda ha però escluso la lavorazione di materiali esplosivi in queste due fabbriche.....
Il caso di riconversione industriale annunciato da Rheinmetall non è un unicum. All’inizio di febbraio, Knds Deutschland ha annunciato l’acquisizione di uno stabilimento industriale ferroviario a Görlitz, attualmente di proprietà di Alstom, con l’intenzione di riadattarlo alla produzione di veicoli blindati. La chiusura della produzione ferroviaria è prevista per il 2026, mentre Knds avvierà gradualmente le nuove attività nello stesso periodo, investendo decine di milioni di euro nella struttura. Il sito verrà utilizzato per produzione di carri armati “Leopard II”, semoventi Rch155 e Ifv “Puma” e “Boxer”. Si prevede che il nuovo impianto raggiunga la piena capacità produttiva entro l’inizio della prossima decade.
 
Iveco spicca il volo in Borsa per i rinnovati rumors circa l’interesse di Leonardo per la divisione Iveco Defence Vehicles (IDV), la divisione dedicata ai veicoli militari del gruppo controllato da Exor.
 
Il titolo del gruppo Iveco controllato da Exor (la holding di John Elkann che possiede anche StellantisCNH Industrial e il gruppo editoriale Gedi) si è portato in cima al listino milanese con un progresso del 6,9% a 12,01 euro, quando il Ftse Mib è in rialzo dello 0,2%. Alle 15 le azioni di Iveco segnano un 4,98% a 11,80 euro mentre il titolo della società della difesa, dopo aver toccato in avvio un guadagno superiore al 2%, ripiega e viaggia al momento a 23,82 euro.
 
Secondo il Corriere della Sera il gruppo della difesa guidato da Roberto Cingolani avrebbe incaricato alcune banche d’affari internazionali, tra cui UBS, per studiare l’acquisto di Iveco Defence Vehicles (Idv) che produce blindati, carri armati e altri mezzi da combattimento con oltre 1.800 dipendenti e un miliardo di ricavi nel 2023.
 
D’altronde Leonardo conta già su una collaborazione con l’Iveco tramite la sua controllata Oto Melara, nell’ambito dell’attuale Cio, capofila dell’industria negli armamenti terrestri per lo sviluppo e la produzione di veicoli blindati come il Centauro (I e II) e il supporto ai veicoli.
 
 
 
Il Governo Meloni è chiamato ad operare da subito delle scelte e c'è chi parla di un piano , più o meno segreto, di riconversione industriale a fini militari
 
Da parte nostra siamo convinti che non ci sia nulla di occulto, piuttosto l'attenzione mediatica è spostata sapientemente su altri argomenti, il miglior approccio alla realtà resta quello di analizzare, con documenti alla mano, la situazione ricordando che le strategie politiche e industriali sono in ogni caso decise a livello comunitario e, al pari di altri Esecutivi, il governo italiano sta valutando un piano per riconvertire parte del settore automobilistico verso la produzione di componentistica bellica. Un progetto a cui, stando a numerosi giornali e al portale Infodifesa.it, stanno lavorando la presidenza del consiglio, ministri dell’Economia, delle Imprese e della Difesa. 
 
È la presa d’atto di un cambiamento epocale sotto il profilo economico e internazionale. La crisi geopolitica e quella dell’automotive potrebbero trasformare l’auto in un cingolato. (Corriere della Sera)
L’occasione è data proprio dal dibattito nella Ue sull'incremento della spesa militare e dal pressing degli Stati Uniti affinché gli alleati della Nato alzino il loro contributo al 5% del Pil. Anzi, soprattutto. (il Giornale)
 
 
In Italia siamo ancora indietro rispetto alla Germania dove il Gruppo  Volkswagen sta già diversificando le sue attività industriali per uscire dalla crisi che determinerà la chiusura di siti produttivi e l'intervento dello Stato per contenere  esuberi e forti ridimensionamenti produttivi.
 
E molteplici sono le strategie individuate
 
Volkswagen  è pronta a sostenere il potenziamento della capacità di difesa dell’Europa, mentre la Germania cerca di riarmarsi e il settore auto tedesco è il profonda crisi.....
 
Volkswagen ha già un ruolo nell’industria della difesa attraverso una joint venture tra il suo marchio MAN Truck & Bus e Rheinmetall AG, che produce veicoli militari.
Le iniziative di spesa per la difesa dell’UE e della nascente coalizione di governo tedesca “sono esattamente giuste, data la situazione geopolitica in cui ci troviamo”, ha dichiarato Blume. “Dobbiamo semplicemente investire di nuovo di più per posizionarci con maggiore sicurezza”.
 
 
 
Volkswagen ha rivelato di essere il finanziatore unico di Leitmotif, un nuovo fondo di venture capital da 300 milioni di dollari focalizzato sulle nuove tecnologie, concentrandosi sul settore energetico. Leitmotif ha già investito in circa 20 startup, spaziando dai veicoli elettrici al settore aerospaziale, fino alle batterie e, soprattutto, alla fusione nucleare, con ben quattro aziende nel suo portafoglio.
 
La priorità di Volkswagen, tramite Leitmotif, è chiaramente fare profitto, nel momento in cui il business principale è in grave crisi.  Come spiega Jens Wiese, managing partner del fondo ed ex dirigente Volkswagen, l’obiettivo primario è generare ritorni economici consistenti.
 
L’investimento in tecnologie che conducono anche alla decarbonizzazione, inclusa la fusione, è visto come un’opportunità redditizia, oltre che un modo per individuare innovazioni utili per il Gruppo Volkswagen
 
 Un approfondimento a parte  meriteranno poi Aerospazio e Difesa, settore tanto competitivo quanto innovativo, con produzioni e tecnologie  sofisticate e un elevato margine di ricavi.  E mentre la polemica imperversa sull'apertura dei mercati italiani a Musk la riconversione industriale a fini di militari va avanti nel silenzio assenso dei sindacati e sotto gli occhi della sonnolenta opinione pubblica italiana.

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