Cina e USA progettano la (loro) prossima guerra - (SECONDA PARTE)

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Cina e USA progettano la (loro) prossima guerra - (SECONDA PARTE)

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di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico

 

LEGGI: PRIMA PARTE - Come può esplodere il fronte in Estremo Oriente? 

 

Dopo aver analizzato nell'articolo precedente il contesto economico e diplomatico che spinge le due superpotenze mondiali, Stati Uniti e Cina, a confrontarsi direttamente in una guerra che tutti ci auguriamo essere “fredda”, in questo articolo analizzeremo le mosse militari e tecnologiche che i due colossi stanno ponendo in assere per riuscire a vincere un conflitto che si annuncia senza esclusione di colpi.

 

La Rand Corporation delinea la strategia statunitense

 

I primi statunitensi a rompere il tabù circa la necessità di un possibile conflitto tra USA e Cina sono stati gli analisti della Rand Corporation, uno dei più antichi e prestigiosi think tank americani di studi geostrategici e militari che in una serie di studi a delineato il confronto tra le due nazioni. Il think tank in uno dei suoi primi studi sull'argomento presenta quattro possibili scenari con le seguenti caratteristiche “Bassa/Alta Intensità” e “Breve/Lunga Durata”. Secondo gli esperti tutti gli scenari delineati all'epoca dalla Rand sono da considerarsi molto generosi con gli Stati Uniti e in generale particolarmente ottimisti soprattutto in relazione alla possibilità – sostanzialmente esclusa - che lo sbocco finale di un confronto militare tra le due potenze possa sfociare in uno scontro nucleare. Ma ciò che più conta di questi studi non è legato tanto alle previsioni e alle modalità del conflitto, ma alla rottura del tabù: la Cina nei circoli statunitensi che contano non era più vista come un docile junior partner, poco più che un giacimento a basso costo di manodopera per le multinazionali a stelle e strisce, ma era sostanzialmente un avversario insidioso per il dominio del mondo.

 

I preparativi militari a Washington

 

L'assunto di fondo espresso dagli esperti americani è che non si può vincere un conflitto con una potenza tecnologica come la Cina senza avere delle forze armate tecnologicamente avanzate. A questo proposito è molto interessante un articolo apparso su Foreign Affaires e firmato dall’ex capo dello stato maggiore congiunto Mark Milley e dall’ex amministratore delegato di Google Eric Schmidt, i quali hanno espresso preoccupazione per l'impreparazione delle forze armate americane. Come è facilmente intuibile questa impreparazione non è rilevata tanto nella capacità di produrre missili o proiettili di artiglieria, ma nella digitalizzazione. Il principio di fondo elaborato dai due redattori dell'articolo è che le Forze Armate degli Stati Uniti devono avere la  “la capacità di inventare, adattare e implementare nuove tecnologie più velocemente dei concorrenti”; un assunto questo che ha maggior valore quando l'avversario è – appunto – un colosso tecnologico come la Cina.

Il ragionamento di Milley e  Schmidt si basa sulla constatazione che gli Stati Uniti non sono più in grado di combattere una guerra senza poter contare sull'effetto sorpresa che è alla base delle famigerate [il giudizio è mio, NdA] campagne denominate "shock and awe" (colpisci e terrorizza), questo perchè – sempre secondo gli autori – navi e tank non sono attrezzati per proteggersi dai droni e l'Intelligenza Artificiale viene integrata in maniera troppo lenta. E proprio questo strumento informatico – argomentano sempre Milley e Schmidt – potrebbe essere la chiave di volta per vincere i prossimi conflitti grazie ad una forte integrazione dell’intelligenza artificiale in tutti gli aspetti della pianificazione ed esecuzione militare, infatti viene osservato che i sistemi di AI possono simulare diversi approcci tattici e operativi migliaia di volte, riducendo enormemente il tempo che intercorre tra la preparazione dell'azione e la sua esecuzione e riducendo anche le perdite sia in uomini che in mezzi.  Un altro tema toccato dall'articolo è quello della produzione di armi: gli USA dovranno abbandonare la logica della programmazione di tipo burocratico, tipica dei tempi di pace per abbracciare metodi di forniture più snelli e rapidi necessari nei tempi di guerra.

 

Ma anche a Pechino non dormono...

Se a Washington preparano alacremente lo scontro, anche a Pechino non stanno a guardare, infatti nel  Terzo Plenum del Comitato Centrale del PCC appena conclusosi si è parlato apertamente della necessità di portare il paese verso una “economia di guerra” ma con caratteristiche...cinesi.

Il principio di fondo a cui la dirigenza cinese dichiara di ispirarsi è naturalmente di Sun Tzu: “i buoni combattenti del passato prima si ponevano al di là della possibilità di sconfitta, e poi aspettavano l’opportunità di sconfiggere il nemico". Chiarito il principio ispiratore anche la Cina punta molto sul predominio economico e tecnologico, questo perchè anche in caso di risoluzione pacifica delle controversie le risorse non sarebbero sprecate, garantendo comunque beneficio alla popolazione.

Non sembra azzardato dire che lo scontro che si prefigura tra Cina e USA sarà,  innanzitutto una gara per il predominio tecnologico nel tentativo di provocare un crollo di schianto dell'avversario di natura economica. Un po' come già avvenuto nella guerra fredda del secolo scorso quando l'URSS non fu sconfitta militarmente ma sgretolata economicamente. Questo credo, al momento, sia il peggiore incubo a Pechino e a Washington.

Giuseppe Masala

Giuseppe Masala

Giuseppe  Masala, nasce in Sardegna nel 25 Avanti Google, si laurea in economia e  si specializza in "finanza etica". Coltiva due passioni, il linguaggio  Python e la  Letteratura.  Ha pubblicato il romanzo (che nelle sue ambizioni dovrebbe  essere il primo di una trilogia), "Una semplice formalità" vincitore  della terza edizione del premio letterario "Città di Dolianova" e  pubblicato anche in Francia con il titolo "Une simple formalité" e un  racconto "Therachia, breve storia di una parola infame" pubblicato in  una raccolta da Historica Edizioni. Si dichiara cybermarxista ma come  Leonardo Sciascia crede che "Non c’è fuga, da Dio; non è possibile.  L’esodo da Dio è una marcia verso Dio”.

 

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