La candidatura di Harris, i capi del Partito democratico e la "strana" rinuncia di Biden

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PICCOLE NOTE


Biden non ce l’ha fatta, troppe le pressioni su di lui. Nel ritirarsi ha candidato la Vice Kamala Harris. Sarà lei a sfidare Trump… o no?

In realtà, Barack Obama, nel prendere atto del ritiro di Biden, si è detto fiducioso che la leadership del partito saprà tirar fuori dal cilindro un candidato all’altezza, che, quindi, implicitamente, non dovrebbe essere Kamala, che non ha neanche nominato.

Obama snobba Harris e chiede le primarie. C'è un terzo nome?

Axios annota che anche il potente capogruppo al Senato Chuck Schumer, il suo omologo alla Camera Hakeem Jeffries e l’ex presidente Nancy Pelosi, la cabala che più aveva spinto per il ritiro di Biden, sono rimasti in silenzio su Kamala.

Schumer, Jeffries, Pelosi mum on endorsing Harris after Biden drops out

Se il silenzio di Obama sembra significare che spera nell’incoronazione della moglie Michelle, quello dei tre capibastone del partito democratico celano altro e ben più pericoloso per la stabilità del mondo.

Pablo O’hana svela ciò che nasconde il silenzio dei tre con questo titolo su The Hill: “Pronti per il secondo round: perché abbiamo bisogno di Hillary più che mai”.

Ready for Round 2: Why we Need Hillary more than ever

Anche tra i trumpiani si evoca il nome della Clinton come quasi certa sfidante di Trump. L’ex Segretario di Stato, avendo appoggiato – insieme al marito Bill – Biden fino alla fine, apparentemente contro tutto e tutti, è pronta a raccogliere i frutti della sua infedele fedeltà al senescente presidente (in realtà, anche Sanders ha sempre appoggiato Biden, ma conta poco).

Così Obama, nel respingere la Harris nella speranza di innalzare sugli scudi la moglie sta facendo un gioco pericoloso, che rischia di favorire la cabala liberal-neocon alla quale pure non appartiene e che anzi ha avversato (venendo contraccambiato con ferocia).

Purtroppo, l’intelligenza dell’ex presidente è viziata da una notevole presunzione, come quando, nella campagna presidenziale del 2020, ebbe dire che solo Biden poteva mettere fine alle guerre infinite, al contrario di Trump. Non era possibile, come ha dimostrato tragicamente il tempo.

Detto questo, è ancora presto per capire come si risolverà il rebus-psicodramma del candidato democratico, che potrebbe essere diverso sia da Kamala che dai nomi che circolano attualmente.

En passant, si può ricordare che alle primarie democratiche, Kamala raccolse una manciata di voti, mentre Bernie Sanders diede filo da torcere fino in fondo a Biden, tanto che se non fosse stato per i voti a lui scippati da Elizabeth Warren, avrebbe anche potuto vincere. Ma nell’Impero la democrazia è un optional da brandire contro gli avversari piuttosto di una dinamica politica da rispettare e preservare.

In attesa, i trumpiani sono fiduciosi che il loro nume tutelare impallinerà Kamala, che ad oggi è il candidato ufficiale. A bocce ferme, e al netto della macchina elettorale e bellica del partito democratico, è vero. Ma il gioco sarà durissimo e altrettanto sporco (anche per questo nel partito si evoca la Clinton). Non sarà così facile come sembra.

P.s. come hanno notato alcuni, le modalità dell’annuncio di Biden sono state invero bizzarre. Invece di un discorso alla nazione, come sarebbe stato lecito aspettarsi da un presidente in carica, una lettera dattiloscritta, pubblicata su X con una firma digitale. Scelte che autorizzano qualche perplessità e fanno tornare in mente il titolo dell’editoriale del Wall Street Journal del 18 luglio scorso: “I democratici si apprestato a fare un colpo di stato contro Biden”.

Lettera di Biden

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