Patrick Lawrence - "Trump derangement syndrome": dentro la mente di Thomas Matthew Crooks

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Patrick Lawrence -  "Trump derangement syndrome": dentro la mente di Thomas Matthew Crooks

 

Con questo articolo inizia con l'AntiDiplomatico una collaborazione con il grande giornalista statunitense Patrick Lawrence.

Corrispondente pluripremiato per the International Herald Tribune per diversi anni, Lawrence ha appena pubblicato il suo ultimo libro Journalists and Their Shadows con Clarity Press. 

Per l'AntiDiplomatico è motivo di grande orgoglio ed emozione avere la possibilità di entrare dentro l'Impero statunitense con una delle migliori penne al mondo per farlo.


A.B. 

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di Patrick Lawrence per l'AntiDiplomatico

19 luglio 2024

 

Nel momento in cui scrivo è ancora impossibile dire perché un ventenne apparentemente normale abbia tentato di assassinare Donald Trump, mentre il candidato repubblicano alla presidenza parlava da un palco nella Pennsylvania rurale sabato scorso. Thomas Matthew Crooks non avrebbe potuto essere più comune di quanto gli americani di periferia si sforzino di essere: aveva vinto un premio di matematica e scienze dopo il diploma di due anni fa; i suoi insegnanti e i vicini lo descrivono come “tranquillo” e “un bravo ragazzo”; nella foto diffusa dalla stampa dopo gli eventi dello scorso fine settimana, la fa da padrone un apparecchio ortodontico.

E allora cosa può aver spinto Crooks a sparare più colpi da un AR-15, uno di quei fucili d'assalto che gli americani possono liberamente acquistare per soli 700 dollari, da un tetto di fronte al palco di Trump, con l’obiettivo deliberato di uccidere l'ex presidente e aspirante tale? Questa è la nostra domanda. Il livello in cui Thomas Matthew Crooks rappresentava l’americano comune, standard come se fosse stato stampato da una macchina, è esattamente la misura in cui questa domanda deve profondamente interrogarci.  

Non potremmo mai sentire da Thomas Matthew Crooks un resoconto diretto delle sue motivazioni. Gli agenti dei servizi segreti gli hanno sparato alla testa, uccidendolo all'istante, quando lo hanno, in ritardo, individuato. Siamo difronte ad un chiaro caso di violenza politica, ma è difficile comprendere la motivazione politica di Crooks. Registrato come repubblicano, il partito conservatore americano, non molto tempo fa aveva anche fatto una donazione - 15 dollari – ad un progetto politico “progressista” vagamente identificato con i Democratici. Crooks, sembra evidente da quel poco che sappiamo, era come decine di milioni di altri americani: politicamente confuso, vulnerabile alle manipolazioni dei media e alla immane retorica che ha invaso il discorso pubblico del paese, spinto a passioni ideologiche da un bisogno subliminale di credere in qualcosa in una nazione in cui è rimasto ben poco in cui credere.

Cui prodest? Questa linea di ragionamento è emersa ancor prima che venissero resi pubblici i dettagli del tentato omicidio di Crooks. Si è subito ipotizzato che abbia agito per conto del Partito Democratico, che si sia trovato in uno stato di panico frenetico nelle settimane successive al giorno in cui - il dibattito televisivo con Trump del 27 giugno - Joe Biden ha mostrato la misura della sua senilità davanti a 50 milioni di americani. I Democratici, dopo tutto, hanno passato quattro anni a cercare di screditare Trump con il “Russiagate” e corrotto a fondo il sistema giudiziario federale nei molteplici tentativi di eliminarlo come candidato alle elezioni presidenziali di novembre.

No, personalmente non credo che i Democratici siano oltre il ricorso alla violenza, visto che Biden si rifiuta di ritirarsi da questa corsa e nell’impossibilità di trovare un candidato convincente per sostituirlo. Sebbene questo giudizio possa apparire estremo, è bene ricordare la lunga storia di violenza radicata nella cultura politica americana.

Si sospetta che Crooks non abbia agito da solo. Gli scienziati forensi dell'Università del Colorado riferiscono che le registrazioni sonore effettuate sulla scena del crimine sabato scorso suggeriscano che potrebbero esserci stati due tiratori che hanno sparato contemporaneamente a Trump. Tutto ancora da dimostrare e dobbiamo aspettare le prove che Thomas Matthew Crooks facesse realmente parte di un complotto elaborato, come quello che, come sappiamo, uccise Kennedy 61 anni fa. Ma - e qui c'è un grosso “ma” - questo non vuol dire che gli autoritari liberali che controllano la macchina democratica non siano responsabili del fatidico atto finale di Thomas Matthew Crooks. È così. Trump è stato oggetto di una retorica sconsiderata per mesi, e tornerò presto su questo punto.

Per comprendere veramente cosa abbia spinto Crooks a prendere di mira Donald Trump, dobbiamo infatti fare un passo indietro di qualche anno e analizzare la “Trump derangement syndrome” (si tratta di una definizione data negli Stati Uniti all'isteria degli avversari dell’ex presidente così intensa da non permettere un giudizio politico sull’ex presidente - ndt) il nome che gli americani che non hanno abbandonato la loro sanità mentale danno a questo fenomeno.

Questa sindrome è una condizione ossessiva che porta coloro che ne sono affetti a perdere la ragione e il giudizio su qualsiasi questione che abbia a che fare con Donald J. Trump. Le persone afflitte, tutti “liberali” nel senso americano del termine, lo hanno presentato come l'incarnazione terrena del male assoluto. Era un agente russo, un pericolo per l'alleanza atlantica, un fascista dichiarato, nulla di ciò che ha detto o fatto era minimamente da valutare. Nulla - nessuna guerra, nessuna politica interna, nessuna iniziativa diplomatica - era di alcuna importanza rispetto all'imperativo che Trump dovesse essere rimosso dall'incarico e completamente distrutto come figura pubblica.

La “Trump derangement syndrome” ha prodotto ogni sorta di teorie cospiratorie estreme tra coloro che vi hanno ceduto, la più famosa chiaramente lo voleva un agente al servizio del Cremlino.

L’origine di questa malattia ci porta alla stagione politica 2016, quando Trump e Hillary Clinton erano in campagna elettorale per la presidenza. L’esito delle elezioni del novembre di quell'anno ha prodotto la “Trump derangement syndrome”, facendole assumere il carattere di quella follia collettiva che esplode periodicamente da quando gli europei hanno colonizzato l'America nel XVII secolo. Come le impiccagioni dei quaccheri a Boston alla fine degli anni Cinquanta, i processi alle streghe di Salem qualche decennio dopo, la paranoia antipapale del XIX secolo o le paure rosse degli anni Venti e Cinquanta, anche questa sindrome ha assunto il carattere di panico morale. Si trattava in parte di un rituale di purificazione in cui bisognava scacciare i contaminati.

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Tutti gli americani, compreso Donald Trump, si sono svegliati sotto shock mercoledì 9 novembre 2016, nello scoprire che Hillary Clinton avesse perso le elezioni tenutesi il giorno precedente. Ma per i democratici si è trattato di qualcosa di più di una sconfitta alle urne. Fin dall'inizio degli anni '90, subito dopo il crollo dell’Unione Sovietica, hanno nutrito una visione in cui l'ideologia neoliberista era destinata a regnare senza ostacoli e senza fine in tutto il pianeta. Nel 1992 Francis Fukuyama, all'epoca funzionario di secondo piano del Dipartimento di Stato, pubblicò “La fine della storia e l'ultimo uomo”, un libro assurdo in cui si teorizzava che con il trionfo del liberalismo occidentale l'umanità non avesse più nulla da fare.

La sconfitta di Clinton, quindi, fu un duro colpo ideologico per coloro che avevano abbracciato la visione che Fukuyama aveva efficacemente codificato. Le sue implicazioni erano quasi cosmiche. Una visione, un destino prestabilito, non si era realizzato. E quindi bisognava trovare e incolpare la fonte di un male che aveva travolto l'America e alterato la sua traiettoria trascendente. Trump! Trump che ha fatto entrare i russi nel puro processo politico americano! Trump deve essere espulso dal corpo politico!

Questa è la “Trump derangement syndrome” che si è manifestata per la prima volta tra gli americani di orientamento liberale. Non va confusa con un fenomeno puramente politico: Il programma politico di Trump, dopo tutto, non è in fondo molto diverso da quello di qualsiasi altro presidente americano recente. Si tratta di un “eccezionalista” impegnato nell'imperium tanto quanto i suoi predecessori e, di fatto, l'attuale occupante della Casa Bianca. No, la sindrome è fondamentalmente una questione di psicologia collettiva, una coscienza guidata non dal pensiero o dal calcolo ma dalla convinzione ideologica. E gli americani, come ho scritto altrove, preferiscono quasi sempre il credere al pensare.


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La vittoria di Joe Biden su Trump nel 2020 è stata per questo un grande trionfo per i liberali della fine della storia, carico di significato come la sconfitta della Clinton quattro anni prima. Il male all'estero in America era stato finalmente sconfitto. Il sogno del potere eterno si sarebbe avverato. È per questo che i Democratici hanno ignorato gran parte del “curriculum” di Biden: la sua disonestà cronica, la sua corruzione documentata, le sue ipocrisie seriali. Le élite del partito e i media liberali al loro servizio hanno oscurato tutto questo. Compresa la sua costante inclinazione verso la senilità.

Ma la storia non è finita quando Biden è stato eletto. Donald Trump è sopravvissuto a ogni sorta di tentativo di eliminarlo come sfidante politico nelle elezioni di quest'anno. Sono fallite numerose cause giudiziarie volte a distruggere la sua candidatura: quattro, contatele, tutte basate su motivazioni legali palesemente ridicole. E ora Trump è in testa a Biden in tutti gli innumerevoli sondaggi d'opinione che gli americani conducono durante le loro stagioni politiche. E così la sindrome torna ad avvelenare il discorso politico americano.

Questa volta la retorica è diversa: molto carica, giovanile nelle sue incessanti iperboli, crudamente propagandistica. Trump l'autoritario, Trump il tiranno, Trump il fascista - non me lo sto inventando - trasformerà l'America in una dittatura. Servirà con lo status di un re. Non ci sarà più giustizia e non ci saranno più elezioni. Le prigioni si riempiranno dei nemici politici di Trump. Biden e i democratici mainstream che lo sponsorizzano affermano senza sosta che le elezioni di novembre sono le più importanti della storia americana, perché Trump - è la descrizione preferita da Biden - è “niente di meno che una minaccia esistenziale per la democrazia americana”.

Possiamo considerare fino a che punto il ritorno e l'amplificazione della sindrome di derangement di Trump sia sintomatico del collasso del discorso americano e quindi dei processi politici della nazione. A questo punto, pensiamo alla mente di Thomas Matthew Crooks quando ha deciso di prendere l'AR-15 che suo padre aveva acquistato un decennio fa e di scaricarne il caricatore mentre Donald Trump si presentava davanti a una folla di sostenitori in una piccola città della Pennsylvania. Non possiamo e non potremo mai vederci dentro, ma sappiamo bene che Crooks era esposto all'atmosfera politica dominante. Tutti gli americani respirano la stessa aria che respirava Crooks. 

Joe Biden e il resto della macchina democratica ora negano vigorosamente che la loro stravagante retorica infiammatoria che demonizza Donald Trump abbia qualcosa a che fare con il tentativo di Thomas Matthew Crooks di assassinare un candidato politico. Si tratta di un'argomentazione palesemente falsa e del tutto stupida: Infiammare il pubblico è proprio l'intento di tutto questo linguaggio sfrenatamente distruttivo.

In modo chiaro e semplice, Crooks presenta agli americani liberali le conseguenze della loro indulgenza alla sindrome di derangement di Trump. Immaginando, per quanto possibile, lo stato d'animo di Crooks quando sabato scorso si è sdraiato prono su un tetto e ha preso la mira, il mio pensiero va ad Hannah Arendt. “In un mondo sempre mutevole e incomprensibile, le masse erano arrivate al punto di credere contemporaneamente a tutto e a niente, di pensare che tutto fosse possibile e che niente fosse vero. La propaganda di massa scoprì che il suo pubblico era pronto in ogni momento a credere al peggio, per quanto assurdo, e non si opponeva particolarmente a essere ingannato perché riteneva che ogni affermazione fosse comunque una menzogna”.

Hannah Arendt aveva in mente il regime nazista e l'Unione Sovietica di Stalin quando scrisse il suo celebre trattato del 1951. Ma il pensiero sembra non essere mai stato così lontano dalla sua mente. Gli americani dovrebbero rifletterci attentantamente. Quando si cerca di scoprire cosa abbia spinto Thomas Matthew Crooks, ci si imbatte nella realtà più amara che si possa immaginare: questo normalissimo ventenne di un sobborgo americano è perfettamente possibile che desiderasse purificare la nazione da un'impurità, per servire il suo compito in difesa della democrazia americana.

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