Netanyahu, le elezioni israeliane e il rischio guerra

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Netanyahu, le elezioni israeliane e il rischio guerra



Piccole Note
 

Il focus mondiale “sui possibili colloqui Usa-Iran ha oscurato qualcosa di molto più inquietante”. Questo il titolo di un editoriale del Washington Post dedicato alle aperture di Trump all’Iran avvenute al G7 di Biarritz e alla parallela “escalation delle tensioni legate all’Iran in tutto il Medio Oriente, questa volta provocata da Israele”.


Un fondo, quello del giornale Usa, dedicato agli attacchi simultanei portati dall’esercito israeliano in Siria (bombardamento), Iraq (bombardamento) e Libano (due droni inviati contro Hezbollah).


Attacchi che hanno preso di mira le milizie sciite legate a Teheran presenti nei tre Paesi.


I pompieri del Pentagono


È chiaro che il giornale americano non può obiettare nulla agli attacchi in Siria, giustificati come azioni preventive per evitare un’aggressione contro Israele. La Siria è ancora nella lista nera Usa ed è difficile inserirla nel novero delle vittime.


Allo stesso  tempo, però, il WP fa notare che era dal 1981 che Israele non bombardava l’Iraq e che tale azione – peraltro insolitamente rivendicata da Tel Aviv – mette a rischio le truppe americane stanziate a Baghdad, che potrebbero essere colpite per rappresaglia e/o cacciate dal Paese, come richiesto dai partiti di orientamento sciita.


Ciò perché gli americani sono stati accusati di aver favorito il raid israeliano, come da denuncia dell’agenzia iraniana Fars, che ha riportato le accuse di un comandante delle milizie colpite: “I radar americani che il governo iracheno ha
comprato per proteggere lo spazio aereo del Paese”, ha detto, non solo sono “sotto il controllo delle forze statunitensi schierate in Iraq”, ma sono stati disabilitati durante l’attacco.


Accuse circostanziate che gli Stati Uniti hanno tentato di stornare, ma che evidentemente stanno creando allarme, tanto che il Pentagono si è affrettato a comunicare la sua contrarietà a “qualsiasi potenziale azione di attori esterni mirata a provocare violenza in Iraq”. Monito che sembra “di certo includere incursioni aeree da parte di Israele”, specifica significativamente il WP.


Non solo, il Segretario di Stato Mike Pompeo si è offerto come mediatore tra Tel Aviv e il Paese dei Cedri, “offrendo al governo libanese garanzie che Israele non intendeva rompere il cessate il fuoco con Hezbollah”.


Dure elezioni per Netanyahu


Insomma, gli Stati Uniti stanno tentando di raffreddare gli animi. Ma ricordando che Netanyahu sta per affrontare “una dura elezione” e che è un fiero oppositore “di qualsiasi riavvicinamento tra Stati Uniti e Iran”, il WP conclude che il premier israeliano “potrebbe reputare che sia un buon momento per intensificare l’ingaggio con l’Iran”.


E paventa che egli possa credere “che Trump non si opporrà a tale proposito, anche se ciò procura danni agli interessi degli Stati Uniti in Iraq e accresce i rischi di innescare una guerra su vasta scala”.


Editoriale di peso, quello del WP, che disegna un quadro realistico, ma soprattutto indica il rischio corso due giorni fa e l’azione diplomatica condotta dagli Stati Uniti per attutire le tensioni, che infatti si sono temporaneamente placate.


Rischi reali, anche se non sembra che Trump, al contrario di quanto reputa il WP, sia intenzionato a seguire Netanyahu in avventure belliche tanto a rischio. Ma ciò potrebbe non bastare a evitare il precipitare degli eventi.


Di oggi l’avvertimento egiziano ad Hamas di non intervenire nel caso di una guerra tra Hezbollah e Tel Aviv (al Manar), che indica come lo scontro con la milizia sciita libanese è ancora sul tavolo.


In tanta precarietà, si registra un sorprendente articolo di Isveztia, che annuncia un possibile incontro tra Trump e il presidente iraniano Hassan Rouhani a margine della prossima riunione delle Nazioni Unite, che si terrà il 24 settembre a New York.


Notizia che non ha il crisma dell’ufficialità, ma che ha una sua plausibilità, dato che non ha raccolto smentite e che peraltro il summit si tiene all’esito delle elezioni israeliane.


Ma far previsioni sul tema ad oggi è impossibile quanto inutile. Da qui a fine settembre può accadere di tutto, compreso l’irreparabile.

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