Andrea Zhok - Pillole di psicologia del potere

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Premessa: la dinamica descritta qui sotto è una dinamica “intelligente”, ma questo non significa che sia anche una dinamica “pianificata”. Come la biologia, la sociologia e l’economia in varie forme ci insegnano, esistono dinamiche di comportamento individuale e collettivo che presentano una logica interna ferrea, senza che questa logica sia stata meditata o pianificata da alcuna mente particolare. Questa premessa serve a chiarire in anticipo che non bisogna pensare a strateghi sottilissimi (per quanto non possano essere esclusi) di fronte a dinamiche di potere intelligenti ed efficaci: le circostanze e l’istinto possono generare questi effetti anche senza un piano a monte.
Ora, l’esercizio del potere consente sempre di creare forme di dipendenza psicologica nei sottoposti, dipendenza tanto più forte quanto più il potere è esercitato in forme arbitrarie. Questo processo è visibile sul piano psicologico nella cosiddetta “sindrome di Stoccolma” e nelle tecniche del cosiddetto “lavaggio del cervello”, tutte radicate in una dinamica iniziale di assoggettamento. La persona che viene assoggettata e che si ritrova alla mercé di qualcun altro, spesso (non sempre grazie al cielo), subisce un’involuzione psicologica, una sorta di infantilizzazione in cui la stessa sorgente della propria costrizione inizia ad essere rispettata ed apprezzata: il carceriere è infatti anche la sorgente possibile della propria liberazione.
 
Questa natura autoalimentantesi del potere è spesso percepita in modo istintivo da chi lo gestisce, ed una volta che si prende questa strada essa tende ad approfondirsi: quanto più “paternalisticamente duro” sarà l’esercizio del potere, tanto più ad esso si rivolgeranno con occhio speranzoso gli assoggettati, e tanto più intensa sarà la loro gratitudine per ogni concessione, per quanto modesta e provvisoria.
 
Se si legge alla luce di questa dinamica l’autoritarismo crescente degli ultimi due anni si possono capire meglio alcune dinamiche, e soprattutto si può capire meglio quale grave pericolo si profila all’orizzonte.
 
Possiamo concedere che all’inizio la dinamica di paura di fronte all’ignoto (virus) abbia spinto in buona fede molti governi, incluso quello italiano, ad interventi coercitivi che sembravano l’unica soluzione possibile. (Alla luce della degenerazione successiva non è facile concedere quella buona fede, ma non possiamo escluderla). Ma col passare del tempo questo esercizio si è autonomizzato sempre di più dalle sue origini sanitarie. Chi ha esercitato ed esercita il potere scopre che quanto più assurdi, ingiustificati e mutevoli sono gli obblighi e i divieti che impone, tanto più i sottoposti sono posti in una condizione di dipendenza e di inferiorità percepita, e tanto più questo pone specularmente i detentori del potere come superiori, fino a credersi amati e benvoluti.
 
Un simpatico esempio di questa dinamica psicologica è stato il libro del ministro Roberto Speranza "Perché guariremo – dai giorni più duri a una nuova idea di salute", comparso brevemente nell’ottobre 2020 in alcune librerie e immediatamente ritirato dal commercio. Quella pubblicazione era chiaramente spinta dalla convinzione del ministro di aver agito con saggia durezza, e di essere amato e benvoluto per questo. Nel testo troviamo, per dire, l’idea che le chiusure degli esercizi commerciali e il lockdown erano misure «ben ponderate e amate dalla popolazione».
 
Chiunque abbia assaggiato questo lato del potere, a meno che non abbia salde doti caratteriali a compensazione, tende ad entrare in questo circolo di rinforzo, circolo che è in parte illusorio (c’è una parte della popolazione che odia profondamente quello che sta succedendo), ma in parte reale (c’è una parte della popolazione che inizia davvero ad amare il proprio carceriere e a guardarlo con occhi pieni di gratitudine quando gli allunga un po’ la catena.)
 
La mossa decisiva per rendere questa dinamica irreversibile si offre poi da sé: il detentore del potere crea, e alimenta nella popolazione, l’idea di una gerarchia morale tale per cui chi accondiscende è posto come moralmente superiore e va premiato, mentre chi si oppone è moralmente inferiore, e perciò il suo giudizio può essere trascurato e il suo comportamento va sanzionato. Una volta che quest’ultimo passaggio è avvenuto, il potere cercherà conferma solo in quella parte di popolazione che gli rispecchia la bontà del proprio operato, in un progressivo distacco dalla realtà.
 
La dinamica dunque presenta due articolazioni fondamentali: la prima mostra al potere come il proprio esercizio arbitrario e duro, lungi dal creargli problemi ne incrementa la stima ed autorevolezza in un’ampia parte dei sottoposti (modello sindrome di Stoccolma), la seconda consente al potere di gestire questa situazione nel lungo periodo attraverso la creazione di una competizione sociale per un bene scarso (la libertà, divenuta bene scarso grazie al proprio intervento). Questa competizione rafforza il potere in quanto esso diviene l’erogatore di concessioni su base premiale, e ciò non solo gli conferisce nuova autorità, ma soprattutto lo sottrae all’agone sociale, dove esso compare come arbitro, mentre i sottoposti esauriscono le proprie energie residue nel detestarsi a vicenda.
 
È alla luce di questa dinamica che possiamo comprendere, sul piano della psicologia del potere, il delirante succedersi di conclamate assurdità che abbiamo visto. Ricordiamo tutti gli inseguimenti in spiaggia, i droni per controllare i terribili “assembramenti” sulla battigia, i lungomare o le piazze vietati all’accesso dai sindaci, i divieti di uscire di casa per un raggio di oltre 500 metri, la mascherina all’aperto (che ancora rimane come puro e semplice segno di sottomissione, nella più assoluta inutilità dal punto di vista sanitario), la disinfezione paranoica delle superfici e delle mani (nonostante sia chiaro da un anno che la trasmissione mediata dalle superfici sia insignificante), e poi, quando il gioco si è concentrato sull’alimentare la divisione tra probi e reprobi, l’infinita serie di inutili angherie inflitte ai violatori delle varie edizioni del Green Pass (di volta in volta treni locali sì, anzi no, treni a lunga percorrenza no, chiese sì, concerti all’aperto e stadi no, matrimoni sì, metropolitane sì, anzi no, poste, banche, lavoro off limits, DAD differenziale per inoculati e non, obbligo di GP anche per i lavoratori o gli studenti in remoto, fino al delirio dell’esclusione dai beni voluttuari nei supermercati).
 
E il fatto di cambiare le norme una volta la settimana è perfettamente funzionale al risultato: i sottoposti per poter mantenere la propria agibilità sociale devono rimanere costantemente all'erta ed aggiornati sulle nuove richieste, che non diventano mai un abito, ma si presentano come ordini diretti e imperscrutabili, impossibili da anticipare. La dipendenza deve essere ribadita e rinfrescata costantemente.
 
Ora, come detto, forse questa dinamica non è stata pianificata da nessuno. (È evidente che personaggi come il nostro Ministro della Sanità e i membri del CTS non sono in grado di pianificare niente di così articolato, ma questo non esclude la possibilità che altri lo abbiano fatto.) Questo tuttavia ha poca importanza, perché le dinamiche storiche che si autoalimentano tendono a permanere a prescindere da pianificazioni o “complotti”.
 
La situazione attuale è una situazione in cui, in serena violazione del dettato costituzionale, siamo da più di due anni in stato di emergenza, con la prospettiva di un’estensione illimitata del Green Pass, mentre si moltiplicano colonnine e lettori del Pass medesimo. Come che sia iniziata la vicenda, “complotto” o contingenza, è ora poco rilevante; quel che conta è che senza una resistenza determinata e crescente, il potere, dopo aver assaggiato il dolce sapore di un esercizio illimitato, eccezionale, privo di responsabilità e di controllo, non lo lascerà mai spontaneamente. E se a ciò aggiungiamo la conclamata permeabilità del potere governativo ai desiderata di interessi economici verticistici, questo quadro può degenerare ulteriormente ed irreversibilmente.
 

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Andrea Zhok

Andrea Zhok

Professore di Filosofia Morale all'Università di Milano

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