Trump, Ahou Daryaei, tifosi del Maccabi: tre casi di propaganda emozionale

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Trump, Ahou Daryaei, tifosi del Maccabi:  tre casi di propaganda emozionale

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di Luca Busca


Negli ultimi anni la comunicazione mainstream si è fatta sempre più violenta e meno credibile. Il suo scopo sembra essere solo quello di dividere l’opinione pubblica in due fazioni, a loro volta frammentate in infinite frange, e di alimentare lo scontro in modo da rendere inconsistente il dissenso. Senza un’opposizione coesa e attiva, i crimini, come il genocidio palestinese, commessi quotidianamente contro l’umanità dai regimi propagandati da questo tipo di comunicazione diventano ammissibili, giustificabili.

Le occasioni per vedere all’opera questo sistema di comunicazione sono infinite. Per chi lavora nel settore riuscire a stare dietro a questa macchina propagandistica è un’impresa ciclopica, non si fa in tempo a disattivare una trappola che i media mainstream ne urlano un’altra all’unisono sulle loro prime pagine. Solo negli ultimi giorni è stato dato ampio rilievo a tre di questi inganni. Il primo, la netta vittoria di Trump alle elezioni presidenziali statunitensi, ha avuto grande risonanza in virtù della sua rilevanza internazionale. Gli altri due, la ragazza in biancheria intima che passeggia in un campus universitario in Iran e il pestaggio di tifosi del Maccabi in trasferta ad Amsterdam, pur incidendo molto meno sulla vita sociale occidentale, hanno avuto grande risalto nella propaganda di regime.

Nel primo caso la campagna elettorale della Harris è stata impostata, almeno in Italia dove comunque nessuno avrebbe potuto votarla, come l’ultima spiaggia per salvare la democrazia dal baratro trumpiano. Un po’ come nel Bel Paese i post-democratici del PD si presentano come baluardo contro il fascismo dilagante. Il risultato è stato identico in entrambi i paesi e ormai in buona parte del mondo Occidentale: i fascisti dipinti di rosso (chiamarli “sinistra” mi sembra una bestialità) vengono sistematicamente battuti dai fascisti di nero vestiti, nulla cambia e il Capitale trionfa sovrano.

Grazie però alla comunicazione violenta si costruisce una narrazione distorta dei fatti in cui il vincitore, in questo caso Trump, viene presentato come novello Freddy Kruger, pronto a fare strage di democratici. Mentre la Harris, pur se sconfitta e responsabile di decine di migliaia morti in giro per il mondo, assurge ad angelo della provvidenza non compresa dal volgo ignorante. Un esempio calzante di questo storytelling aggressivo e manipolato è rappresentato da Michele Serra che il 5 ottobre nella sua rubrica L’Amaca su La Repubblica, generalmente dedita a ironizzare sui mali del mondo, è riuscito ad affermare: “Trump è il capo patologico di un elettorato per metà incapace di accorgersene, per metà entusiasta di votarlo perché è patologico a sua volta”.

Un po’ come Berlusconi che, nel 2006, asserì che “chi vota a sinistra è un coglione”. Che poi anche allora definire di sinistra il PD era da, come dire, … coglioni! La non sottile differenza tra Berlusconi e Serra è la totale assenza di ironia del secondo, fatto che rende violenta la propria sentenza. L’effetto di questa violenza, tipica della nuova propaganda, è la divisione dell’opinione pubblica in due, i patologici con Trump, i sani di mente con la Harris, i tanti che non votano, né per l’uno né per l’altro, relegati nell’oblio dell’inesistenza.

Il 4 novembre l’Ansa diffonde una notizia corredata da video: “Una studentessa iraniana è stata arrestata sabato dopo che, per protestare contro l’obbligo del velo, si è spogliata dei vestiti rimanendo in biancheria intima nel cortile del dipartimento di Scienza e Ricerca dell’università Azad di Teheran. Da allora di lei non si sa più nulla, e il timore è che possa subire da parte della polizia la stessa violenza che due anni fa toccò a Mahsa Amini, arrestata per non aver indossato correttamente il velo e morta in seguito alle percosse della polizia. La sua tragica scomparsa scatenò un’ondata di proteste in tutto l’Iran dando il via al movimento Donna, Vita, Libertà”.

Immediatamente il web si è scatenato, milioni di sostenitori dei diritti civili hanno invaso i social postando immagini di Ahou Daryaei in biancheria, eleggendola a paladina del femminismo islamico. Una novella Giovanna d’Arco che sfida il rogo della polizia morale iraniana. Giusto il tempo di leggere la nota dell’Ansa che ha innescato la trappola e già le prede cadute nell’inganno non si contavano più. Eppure nella stessa nota dell’Ansa si faceva già riferimento a fonti attendibili che sostenevano:

“Iran International riferisce che, secondo una nota newsletter di studenti su Telegram, la ragazza è stata trasferita in un ospedale psichiatrico su ordine dell’intelligence dei Guardiani della Rivoluzione, circostanza confermata dal giornale Farhikhtegan, vicino all’Università di Azad, e dal direttore delle relazioni pubbliche dell’ateneo, Amir Mahjoub, secondo cui la studentessa soffre di un “grave disagio psicologico”. I media statali hanno diffuso un video in cui un uomo, che si presenta come il marito, sostiene che la donna è madre di due figli e soffre di problemi di salute mentale.”

Versione questa immediatamente bollata come “una tattica del regime per delegittimare le manifestanti etichettandole come mentalmente instabili.” Eppure bastava guardare attentamente il video per comprendere come ad essere falsa era la causa della protesta: “… Ahou Daryaei era stata inizialmente redarguita dalla sicurezza universitaria per aver indossato l’hijab in modo inappropriato. Come gesto di protesta, la ragazza si è tolta i vestiti, restando in mutandine e reggiseno, le braccia conserte e i capelli sciolti.” (ansa.it-2024/11/03-studentessa-iraniana-si-spoglia-per-protesta).

Le immagini svelano, infatti, che molte studentesse quella mattina indossavano male o per niente l’hijab senza essere redarguite da nessuno. Ancor più strano è il fatto che una ragazza in biancheria intima abbia la possibilità di stazionare su un muretto e di camminare indisturbata per diversi minuti sullo stesso campus in cui sarebbe stata “redarguita per aver indossato l’hijab in modo inappropriato”.

Ovviamente una volta appurata la bufala, i molti che sono caduti nell’inganno, ordito per alimentare la mostruosità del Moloch iraniano in contrapposizione al genocidio palestinese, si son guardati bene dal comunicare la propria “errata corrige”. Fatto questo che ha permesso di stratificare nell’opinione pubblica la “cattiveria” della cultura islamica, quasi a giustificare la democraticità della pulizia etnica in atto in Palestina.

Anche l’editoriale di Claudio Cerasa direttore de Il Foglio cavalca la stessa onda di violenza: “Non è tifo, è caccia all’ebreo. Cosa ci dice il pogrom di Amsterdam.” Poco diversi nei contenuti gli altri titoloni da prima pagina dei giornali del mainstream nazionale. I telegiornali hanno dedicato metà del loro tempo al dramma dell’antisemitismo dilagante in Europa, dimenticando l’ennesimo raid sulla striscia di Gaza con decine di morti e l’assalto al campo profughi di Tulkarem, in Cisgiordania. Anche in questo caso media e social si sono scatenati con una velocità degna di Usain Bolt, senza accorgersi che “Hanno iniziato ad attaccare le case delle persone con appese bandiere palestinesi, quindi è lì che è iniziata la violenza. Come reazione, gli abitanti di Amsterdam si sono mobilitati e hanno contrastato gli attacchi iniziati dagli hooligan del Maccabi”. Lo ha detto ai microfoni di Al Jazeera il consigliere comunale di un partito di sinistra della città di Amsterdam, Jazie Veldhuyzen, dando la sua versione di quella che le autorità olandesi hanno perseguito come un’aggressione ai tifosi del Maccabi da parte di gruppi filopalestinesi dopo la partita di Europa League con l’Ajax. Veldhuyzen ha postato sul suo profilo X gli slogan “Idf finisci gli arabi” e “Non ci sono scuole a Gaza perché non ci sono più bambini” che, secondo alcuni video non verificati, avrebbero cantato i tifosi del Maccabi per le strade della città olandese prima degli scontri.” (ansa.it-2024/11/08-hanno-iniziato-i-tifosi-del-maccabi).

Alla fine il bilancio del “pogrom olandese” è stato di cinque feriti (fonte Euronews) o dieci (media italiani), un numero che, grazie al battage pubblicitario della comunicazione mainstream, ha inciso sul sentire comune più dei 17.000 bambini trucidati a Gaza.

Nonostante la palese manipolazione della realtà, questo nuovo modello di informazione  raggiunge il suo scopo con un livello di efficienza mai raggiunto prima. La narrazione distorta, infatti, riesce, giocando su contenuti emozionali forti, a creare ben quattro diverse tipologie di condizionamento. La prima riguarda un ampio gruppo di “benpensanti” che cadono profondamente nelle trappole disseminate dalla propaganda e continuano a credere per anni che veramente Donald Trump e Freddy Kruger siano la stessa persona, che l’Iran sia la Spectre intenta a voler distruggere il mondo e che l’antisemitismo sia il nuovo “Virus letale”.

Il secondo gruppo dopo aver abboccato all’esca riesce, a fatica e dopo qualche tempo, a liberarsene. Nonostante ciò fatica ad ammettere l’errore e, onde evitare di ritrattare, rimane vincolato alla manipolazione della realtà di cui è stato vittima. In genere preferisce non affrontare i temi e tende a restare sul vago senza disconoscere l’inganno in cui è caduto: “Come negare d’altra parte che, comunque, Trump è una brutta persona, mentre la Harris sicuramente è meno peggio (sulla base di palesi evidenze scientifiche); in Iran si vive ancora nel Medioevo; l’antisemitismo è ancora un problema.”

Anche la “opposta fazione” subisce profondamente il condizionamento emozionale della manipolazione della realtà. Il rendersi conto dell’inconsistenza dello storytelling suscita, in questo altro folto gruppo, un moto di rabbia che innesca reazioni emotive antagoniste spesso prive di supporto razionale. Trump diventa così il salvatore del mondo, l’Iran il Paradiso terrestre del mondo multipolare, il popolo ebreo finisce per comporre una unica grande lobby massonica.

Queste posizioni ottengono molto spazio sui media mainstream, al fine di screditare l’intera area del dissenso. Spazio che viene completamento negato allo sparuto quarto gruppo vittima delle trappole della comunicazione. Questo manipolo di persone sono quelle che cercano di dare un’informazione più trasparente, sono quelli che approfondiscono, cercano fonti alternative per cercare di trovare una versione dei fatti più attendibile. In questo caso intervengono la censura, gli algoritmi dei motori di ricerca e dei social per cancellare il pensiero critico. Queste posizioni vengono abilmente assimilate a quelle “complottiste” e ridotte all’impotenza.

In questo modo lo scopo della propaganda dei regimi post-democratici è pienamente raggiunto. L’intera popolazione Occidentale viene divisa tra supporter di Trump e quelli del prossimo candidato democratico. In mezzo alle due tifoserie nessuno si rende conto che la responsabilità delle guerre, del genocidio, dell’Antropocene, delle disuguaglianze è equamente distribuito tra le due facce della stessa medaglia, il neoliberismo. Mentre il popolo si divide e si frammenta tra le infinite trappole mediatiche, le politiche neo-coloniali e imperialiste, promotrici dei flussi migratori, la promozione dei diritti civili ad personam, il consumismo dilagante, il perenne rischio di disastri nucleari bellici e civili, l’inquinamento, la privatizzazione dei beni comuni proseguono indisturbati nel loro processo di distruzione del mondo.

Tra le mille corbellerie sentite negli ultimi giorni risalta per il suo splendore quella per cui “Trump ha vinto soprattutto perché promette una nuova età dell’oro, …” mentre “La sinistra … è diventata pessimista, cupa, quasi catastrofista. Predica l’arrivo di un Armageddon, non di una Resurrezione. (Antonio Polito corriere.it-opinioni-24novembre-ottimismo-aiuta-a-vincere). Definire la Harris di sinistra dopo che, come vicepresidente degli Stati Uniti, ha promosso la guerra contro la Russia, il finanziamento del genocidio palestinese, le politiche economiche neoliberiste e neocolonialiste, etc. è di per sé un crimine contro l’umanità.

Trovare poi qualcuno che crede alla favola dell’impari lotta tra l’ottimismo trumpiano e il pessimismo democratico, che stranamente però aveva vinto quattro anni fa, è il massimo risultato della propaganda emozionale neoliberista. Ammantandosi di sana autocritica, in realtà questo storytelling contribuisce a cancellare completamente la sinistra reale. Negli Stati Uniti, ad esempio, esiste il Green Party un partito ecologista di ispirazione socialista che viene censurato in patria e all’estero.

Ottimismo trumpiano e pessimismo harrisiano è solo l’ultimo escamotage propagandistico per mantenere il Capitale al potere, poco conta chi lo rappresenti politicamente. Repubblicani o Democratici, PD o FDI non fa differenza, a scrivere le leggi saranno sempre le lobby economiche globaliste. La triste realtà della sinistra, quella vera, è l’assenza di una proposta politica antagonista al neoliberismo che abbia la capacità di aggregare quei cittadini, circa il cinquanta per cento, che ormai non votano più, liberandoli così dalle catene della post-democrazia.

Per chi volesse approfondire le dinamiche della comunicazione emozionale è vivamente consigliata la lettura di due libri editi da LAD Edizioni:

https://www.ladedizioni.it/prodotto/la-scienza-negata/

https://www.ladedizioni.it/prodotto/il-codice-della-narrazione-globale-la-soggettivita-delluomo-nellepoca-dello-storytelling/

 

Luca Busca

Luca Busca

Inizio il mio percorso giornalistico nel 1982, nel 1984 ottengo l’iscrizione all’albo dei pubblicisti come collaboratore del quotidiano La Repubblica e dell’Agenzia Giornalistica Telegraph. Entrato nel mondo musicale live come ufficio stampa, fondo, alla fine del 1984, la mia prima azienda di organizzazione di eventi musicali.  Dal 1987 al 2002 ho curato sei edizioni del Roma Live Festival, la rassegna Rock della capitale.
Come direttore di produzione ho poi partecipato alla realizzazione di Reality show, lavorando in Messico, Santo Domingo, Kenya, Sudafrica e India. Sono stato
commerciante, e amministratore di un’azienda che si occupava di fotovoltaico. Nel frattempo sono tornato a fare il giornalista occupandomi prima di arte (Next Exit), di viaggi (omonimo inserto di Repubblica) e ora di vino e olio per la rivista e la guida Bibenda. Sono anche docente presso la Fondazione Italiana Sommelier. Da un paio di anni scrivo per il blog Sinistrainrete e l’AntiDiplomatico

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