Trattato del Quirinale Italia-Francia: perché i conti non tornano

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Trattato del Quirinale Italia-Francia: perché i conti non tornano

 

No, i conti non tornano. L'Italia si accinge a firmare un trattato bilaterale con la Francia senza che il parlamento sia stato informato dei contenuti. Sia chiaro, la responsabilità è anche dei partiti: in una repubblica parlamentare i deputati hanno il diritto di fare un'interpellanza sulle attività del governo. Ma nessuno, né l'opposizione né, la maggioranza ha chiesto nulla a Draghi sulle trattative. Il risultato è che questo trattato è stato redatto nel più stretto riserbo.
 
I conti inoltre non tornano perché le trattative sono iniziate sull'impulso di una figura estremamente ambigua come Paolo Gentiloni, secondo molti in pole position per la presidenza della Repubblica. In un paese normale uno come Gentiloni farebbe l'impiegato in qualche città di provincia. Ma è nato nobile e una serie di eventi incredibili lo hanno portato a scalare il potere fino a spingerlo ai vertici dell'esecutivo.
 
Da ministro degli esteri si è distinto per la sua attitudine filo francese. Per consolidare i suoi rapporti con Parigi ha addirittura firmato un accordo che prevedeva la cessione da parte dell'Italia di una quota significativa del suo territorio marittimo prossimo alla Toscana e alla Sardegna. In cambio di cosa? Di niente.
 
Il parlamento, che non era stato avvisato di quegli accordi, ha poi bloccato tutto. Ma evidentemente la buona volontà di traditore della patria è stata agli occhi di Macron sufficiente per far aprire a Gentiloni il canale per il Trattato del Quirinale. Ora il nostro uomo della origini nobili è commissario europeo e svolge questa funzione sull'esempio della Mogherini, facendo cioè di tutto per non contare nulla.
 
Non rassicura comunque sapere che al Trattato del Quirinale lavorino persone come Fassino, Bassanini e Gozi, non proprio dei campioni di patriottismo (specie Gozi) e di autonomia politica.
 
E in ogni caso, cosa chiediamo alla Francia? E cosa chiedono loro a noi? Teniamo a mente un altro fatto che la dice lunga sul clima di queste settimane. La Francia sta progettando insieme alla Germania un nuovo carro armato europeo. I due paesi hanno istituito un consorzio e chiedono all'Italia di entrare a patto che però ceda un suo gioiello dell'industria bellica, la Oto Melara, attualmente di proprietà di Leonardo. Perché? Perché l'Italia deve pagare un prezzo simile? E poi perché un paese che almeno in questa fase dovrebbe avere (o almeno fingere di avere) un atteggiamento amico pretende un atto di sottomissione simile?
 
Per carità, l'amicizia in politica estera è molto aleatoria. Soprattutto sul terreno europeo di oggi, esasperato dalla competizione tra stati nazionali, le inimicizie e in conflitti sono aumentati a dismisura, anche perché possono contare sulla copertura mediatica offerta dalla retorica europeista, la cui attinenza con la realtà è nulla. E poi non dimentichiamocelo, la Francia è quel paese che ha bombardato la Libia pochi mesi dopo la visita di Gheddafi a Roma e la firma di un accordo commerciale fondamentale per l'Italia, su cui avevano lavorato per anni sia Prodi che Berlusconi. Si è trattato di un gesto estremamente ostile.
 
Uno schiaffo all'Italia pesantissimo. Ripeto, l'amicizia in politica estera è aleatoria e i trattati, se necessario, si firmano anche con il tuo nemico. Occorre però sapere cosa si firma e per quele progetto geopolitico. A me pare che l'Italia non ne abbia alcuno. Spero di sbagliarmi.

Paolo Desogus

Paolo Desogus

Professore associato di letteratura italiana contemporanea alla Sorbonne Université, autore di Laboratorio Pasolini. Teoria del segno e del cinema per Quodlibet.

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