Quando bombardare un Parlamento era "democrazia"

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Quando bombardare un Parlamento era "democrazia"

Tanto tempo fa, in un luogo lontano lontano, un ubriacone autoproclamatosi presidente di nome Corvo Bianco decise di sciogliere la sua assemblea legislativa - pur non avendone il benché minimo potere - perché quest’ultima in grande maggioranza si opponeva strenuamente al suo piano di riforme istituzionali ed economiche. 

In opposizione a un atto ritenuto illegittimo, incostituzionale e lesivo dell’ordine democratico, il parlamento si riunì in assemblea straordinaria votando la decadenza di Corvo Bianco così come previsto dalla Costituzione.

Per tutta risposta il presidente destituito tagliò acqua, corrente elettrica e linee telefoniche al parlamento, isolandolo. 

A sostegno dell’assemblea si radunò prontamente un amplissimo fronte popolare (che spaziava dai comunisti alla destra nazionalista, passando per i sindacati ) che invase le strade e si mobilitò in massa a difesa della democrazia. 

Gli scontri con le forze di Corvo Bianco non tardarono ad arrivare, insieme ai primi morti, in un crescendo di tensione sempre più drammatica. 

Fino a quando, all’alba di una mattina d’autunno, Corvo Bianco decise di liquidare la questione nel modo più brutale possibile. 

Le unità di forze speciali e una squadra di una decina di carri armati circondarono il parlamento e aprirono il fuoco, bombardando l’edificio con dentro più di 600 persone. 

Ne seguirono violentissimi scontri di piazza fra la polizia e gli oltre 100.000 manifestanti a sostegno del parlamento. In un solo giorno morirono centinaia di persone, fra cui una decina di parlamentari. 

Eppure, in quel tragico giorno, per i nostri politici, storici, giornalisti e commentatori, quell’assalto non fu la profanazione del “tempio della democrazia”. Nonostante si fosse in presenza di un parlamento democraticamente eletto e di un presidente destituito che l’aveva posto sotto assedio. 

In quel caso non ci fu alcuna democrazia da difendere. E quindi nemmeno un colpo di stato. E poco importa che, al posto di quattro scappati di casa con lo scolapasta in testa, ad assediare un parlamento ci fossero l’esercito e i carri armati. 

In conclusione, quindi, per l’Occidente che si indigna a convenienza (come per i suoi libri di storia) il concetto di democrazia non è affatto univoco.

La pagliacciata andata in scena di Washington è stata una pericolosa deriva fascista. Un parlamento preso a cannonate da parte di un presidente illegittimo no.

Forse perché allora chi attentava alla democrazia lo faceva a favore del libero mercato e della globalizzazione. Una battaglia in nome della quale la democrazia può evidentemente essere sacrificata.

Perché ai moderni sacerdoti custodi del sacro tempio democratico, del popolo sovrano non gliene frega nulla. Le loro vesti si stracciano a comando solamente se ad essere minacciate sono le élite oligarchiche del libero mercato. 

Le stesse che benedirono il colpo di stato di Corvo Bianco che diede il via all’immane saccheggio di un’intera economia. Un’ondata di privatizzazioni selvagge che fece crollare il PIL del paese del 50%. E mise nelle mani di pochi oligarchi l’industria e le sconfinate risorse energetiche di quella che un tempo fu una delle più grandi potenze del mondo. Che da allora perse per sempre la sua competitività. 

Quel paese era la Russia, l’anno era il 1993. 

E voi siete solamente degli ipocriti.

Antonio Di Siena

Antonio Di Siena

Direttore editoriale della LAD edizioni. Avvocato, blogger e autore di "Memorandum. Una moderna tragedia greca" 

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