L'evacuazione delle Azovstal e il rebus afghano

L'evacuazione delle Azovstal e il rebus afghano

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L’accordo per l’evacuazione di un centinaio di civili costretti nelle acciaierie di Azovstal ha tenuto. Per la prima volta, il corridoio umanitario ha funzionato alla perfezione. Sul malfunzionamento di tali corridoio in passato c’è stata accesa diatriba, dal momento russi e ucraini si sono accusati a vicenda di aver colpito i civili in fuga, minando l’evacuazione.

Abbiamo più volte sostenuto che è nell’interesse dei russi far funzionare tali corridoi, sgombrando così l’area sotto attacco dai civili, cosa che gli consente di liberare tutto il loro potenziale di attacco, mentre potrebbe non essere nell’interesse degli assediati per opposte ragioni.

Al di là delle controversie, per capire cosa è successo in questi giorni è forse d’aiuto mettere insieme alcuni tasselli. Anzitutto, sappiamo che nel sottosuolo delle acciaierie sono asserragliati circa 2mila soldati ucraini, 400 dei quali “volontari” stranieri, come riferiva il Time.

Una definizione che abbraccia sia alcuni “volontari” veri e propri, pochi per la verità, ma soprattutto militari delle forze speciali che partecipano alla guerra ucraina in incognito.

Sul punto è istruttivo un articolo di Luca de Feo della Repubblica che spiega il lavoro sotto copertura delle Sas, le forze speciali britanniche, in ucraina: “i commando di Sua Maestà agiscono spesso sotto falso nome per non compromettere il governo di Londra. Oggi la copertura perfetta è offerta dalle società di contractor, i moderni mercenari attivissimi al fianco delle truppe di Kiev”.

Nelle profondità delle acciaierie non ci sono solo britannici (due dei quali sono stati catturati di recente dai russi), ma anche americani, com’è ovvio che sia (ne scrive anche Politico). Ed è presumibile che tra questi ci siano anche ufficiali di alto livello, dal momento che Mariupol è stato il centro nevralgico e il cuore della resistenza del Donbass, il sito dal quale si coordinavano le operazioni di difesa della zona.

Così, quando Putin ha dato ordine di non attaccare le acciaierie, sono iniziate le trattative segrete con gli americani per far esfiltrare i militari in incognito assediati. Lo scambio di prigionieri tra russi e americani avvenuto alcuni giorni fa – Trevor Reed (detenuto in Russia) contro Konstantin Yaroshenko (da tempo ristretto in un carcere americano) – era indizio di trattative più ampie.

Così che il New York Times commentava che lo scambio tra i due prigionieri dimostrava che i rapporti tra Washington e Mosca non sono affatto “collassati“.

Altro indizio che il corridoio umanitario aperto alle Azovstal in questi giorni serviva proprio a tale scopo, è la visita a sorpresa dello speaker della Camera Nancy Pelosi a Kiev, nel corso della quale ha incontrato Zelensky.

Ufficialmente la visita serviva per ribadire il sostegno incrollabile degli Stati Uniti alla causa ucraina, ma è ovvio che non c’era alcun bisogno di un viaggio del genere per segnalare tale prossimità, dal momento è ribadita ogni giorno e più volte al giorno.

Più probabile, così, che la visita servisse a evitare colpi di testa da parte degli assediati, che rispondono a Kiev, e supervisionare l’esfiltrazione senza danni del proprio personale militare, fuoriuscito, in tutto o in parte, dalle Azovstal, confuso tra i civili in fuga.

Così che più che un’operazione umanitaria, la liberazione dei civili dell’Azovstal è stata una operazione militare sotto mentite spoglie. Detto questo, nelle acciaierie resta un numero imprecisato di civili, come riferiscono i media, che notificano numeri diversi da fonte a fonte.

È possibile che i civili non abbiano contezza della loro reale entità, essendo sparpagliati nel complesso, come spiegano diversi media. Ma è impossibile che non lo sappiano i militari assediati, dal momento che devono necessariamente avere sotto controllo ogni centimetro quadrato dell’area da loro presidiata, per evitare brutte soprese. Eppure, nonostante comunichino con l’esterno, evidentemente evitano di dare i numeri precisi dei civili intrappolati con loro.

Tale indeterminatezza serve a contrattare con gli assedianti, i quali, contando i civili fuoriusciti, non potranno mai essere sicuri che siano stati messi tutti in salvo. Insomma,  per avere un potere contrattuale, è necessario agli assediati poter dire che un certo numero di civili è ancora intrappolato. Tale la complessità, e la barbarie, di questa sporca guerra, nella quale si sta facendo ampio uso di scudi umani (Washington Post).

Chiudiamo con due notizie. Il 1 marzo la Russia ha accreditato ufficialmente un emissario diplomatico dell’Afghanistan (Ansa), compiendo il primo passo formale di Mosca verso il Paese confinante.

L’accreditamento è parte di una nuova apertura di Mosca verso Kabul, riferita così da Tolonews: “Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha dichiarato che i l suo Paese vede ‘aree promettenti’ per lo sviluppo della cooperazione commerciale ed economica con l’Afghanistan”, in particolare nel campo “dell’agricoltura, dei trasporti e dell’energia”.

Riportiamo il titolo di un articolo del New York Times del 1 maggio: “Con un’ondata di attacchi, l’ISIS avvia un sanguinoso nuovo capitolo in Afghanistan”. Sottotitolo: “Almeno 100 persone sono morte in attacchi terroristici nelle ultime due settimane, perché lo Stato islamico, in Afghanistan, sta prendendo di mira le minoranze e intende destabilizzare il governo talebano”.

 

NB. Molto interessante l’intervista di Jeffrey Sachs al Corriere della sera, nella quale l’ex direttore dell’Earth Istitute della Columbia University ribadisce la necessità di trovare un compromesso con la Russia per ottenere la pace, opzione che finora gli Stati Uniti non hanno neanche preso in considerazione, volendo vincere questa guerra.

“Il grande errore – spiega – è credere che la Nato sconfiggerà la Russia: tipica arroganza e miopia americana. Difficile capire cosa significhi ‘sconfiggere la Russia’, dato che Vladimir Putin controlla migliaia di testate nucleari. I politici americani hanno un desiderio di morte? Conosco bene il mio Paese. I leader sono pronti a combattere fino all’ultimo ucraino. Meglio fare la pace che distruggere l’Ucraina in nome della ‘sconfitta’ di Putin”.

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