Secondo mandato di Macron: chi ha vinto (davvero) in Francia

Secondo mandato di Macron: chi ha vinto (davvero) in Francia

I nostri articoli saranno gratuiti per sempre. Il tuo contributo fa la differenza: preserva la libera informazione. L'ANTIDIPLOMATICO SEI ANCHE TU!

 

 

 

di Fulvio Bellini, esperto di questioni internazionali, editorialista di "Cumpanis",  27 aprile 2022.

 

 

Elezioni 2022: un film già visto nel 2017 

 

Emmanuel Macron ha vinto le elezioni presidenziali francesi. Si tratta di una vittoria importante perché cade in un momento storico particolarmente grave: mentre si votava in Francia, era in corso, e lo è tutt’ora, l’operazione militare speciale condotta dall’esercito russo in Ucraina, con tutto quanto ne consegue e che è stato descritto nel precedente articolo “La crisi Ucraina un mese dopo. Il colpo di Putin” apparso su “Cumpanis” nelle scorse settimane, e che descrive le premesse che hanno reso necessaria la rielezione del Presidente francese uscente, tutt’altro che amato nel suo Paese. Perché a guardarla bene, qualcosa di strano le elezioni francesi l’hanno avuta, valutando i candidati avversari, i voti presi, la campagna elettorale lampo svolta dal presidente: l’impressione generale è stata di assistere ad un film già visto, ad un percorso preordinato che doveva dare un determinato risultato.

Perché le elezioni presidenziali del 2022 assomigliano tanto a quelle precedenti? Alla fine della prima tornata elettorale i candidati con più voti nel 2017 furono: Emmanuel Macron con il 24,01% dei suffragi, Marine Le Pen con il 21,30%, François Fillon con il 20,01% e Jean-Luc Mélenchon con il 19,58%, astenuti 25,44% “candidato vincitore” del primo turno; i primi tre candidati alla fine della tornata generale del 2022 sono stati: Emmanuel Macron con il 27,58% dei suffragi, Marine Le Pen con il 23,15% , Jean-Luc Mélenchon con il 21,95% e astenuti 28,01% “candidato vincitore” sempre del primo turno.

La differenza sostanziale con la tornata del 2017 è stata la débâcle del partito conservatore e neogollista “Les Républicains”, sugli scudi ai tempi di Nicolas Sarkozy, che ha perso 5.533.994 voti conquistati da François Fillon nel 2017. Queste preferenze dovevano ragionevolmente beneficiare innanzitutto Macron (che invece ha guadagnato solo 1.126.712 voti) e in minor parte Le Pen (che infatti ha aumentato i suoi consensi di soli 455.337 voti). Il resto dei suffragi ex repubblicani non è ovviamente andato a beneficio di Jean-Luc Mélenchon, visto che il candidato di sinistra ha aumentato i suoi voti di sole 652.569 unità rispetto alle precedenti presidenziali. Macron e Le Pen non sono, quindi, piaciuti più di tanto ad un bacino elettorale contiguo come quello del partito dell’ex Presidente Sarkozy.

Possiamo, pertanto, affermare che i due vincitori del primo turno erano due candidati di grande attrattiva? Cominciamo ad avere qualche dubbio visto che al primo turno del 2022 il “candidato” con la maggiore performance rispetto al 2017 è stata l’astensione: più 2.245.714 voti. Focalizziamo ora l’attenzione sui due vincitori del primo turno di entrambe le elezioni 2017 e 2022: Emmanuel Macron e Marine Le Pen. Cinque anni fa il loro percorso fu decisamente più difficile. Macron presentava la sua formazione politica, La République En Marche, per la prima volta, e il bacino elettorale di centro liberale e liberista doveva fare i conti con la formazione precedentemente egemone, Les Républicains, da un lato e il Partito socialista dall’altro il quale, grazie al candidato Benoît Hamon, era stato in grado di raccogliere ancora 2.291.288 voti pari al 6,36%. Macron doveva calare il suo partito tra queste due ali e cercare di prendere voti ad entrambi, missione tutt’altro che facile per le matrici originarie dei repubblicani, quella gollista, e dei socialisti, mentre La République En Marche si poneva inevitabilmente come outsider essendo la prima prova elettorale con un candidato anch’esso nuovo ad elezioni di tale importanza.

Anche per Marine Le Pen l’obiettivo di raggiungere il ballottaggio nel 2017 non era per nulla scontato. In quelle elezioni Le Pen era ancora a capo del Front National, formazione di estrema destra ancora legata alla figura del padre di Marine e fondatore del Partito, Jean-Marie Le Pen. Questa posizione permetteva alla candidata Marine di fare il pieno dei suoi voti solo al primo turno, non riuscendo a godere di nessun appoggio al ballottaggio da parte del partito contiguo dei Repubblicani. A riprova delle difficoltà incontrate dal Front National nel raccogliere i consensi al secondo turno, nel 2017 Macron, tra primo turno e secondo turno, riuscì ad aumentare i propri consensi di 12.086.782 voti, mentre Marine Le Pen di soli 2.959.984. Una ébâcle, per usare un termine appropriato.

 

Elezioni 2022: Macron era veramente un candidato forte?  

Tra il 2017 ed il 2022 vi sono stati cinque anni di presidenza di Emmanuel Macron. Detta così sembra una tautologia, e invece da un punto di vista politico non lo è affatto. Perché la domanda che ci dobbiamo porre è: questi cinque anni di presidenza hanno rafforzato oppure indebolito il candidato Macron del 2022? La Francia non è l’Italia, altra affermazione solo apparentemente banale. In Italia puoi politicamente permetterti quasi tutto: partiti che stanno al governo e fingono di fare l’opposizione (la Lega), altri che si danno il nome del primo articolo della Costituzione per poi violarla pervicacemente (Articolo 1), altri ancora che fingono di fare opposizione mentre sorreggono esternamente il governo (Fratelli d’Italia). Sono state recentemente fatte le celebrazioni del 25 aprile, che dovrebbero essere la festa della Liberazione dal nazifascismo.

I giornali hanno riportato, ad esempio, questa notizia: «“Letta servo della Nato”, “Fuori i servizi della Nato dal corteo” sono gli slogan che alcuni manifestanti hanno urlato al segretario del Pd Enrico Letta che si trova nello spezzone dei democratici del corteo del 25 aprile a Milano», riporta Il Fatto Quotidiano.it. del 25 aprile.

La vera notizia doveva essere che ad un promotore della guerra confesso come Enrico Letta, e al suo incredibile partito pro NATO, non fosse stato permesso di partecipare al corteo. Invece, il Presidente dell’ANPI Gianfranco Pagliarulo lo ha pubblicamente difeso, proteggendo il potente di turno, che tra l’altro non ne ha nessun bisogno, snaturando così il significato stesso del termine Resistenza, che invece dovrebbe essere rivolta nei confronti degli uomini di potere avversari degli interessi popolari. Al contrario, Pagliarulo censura le critiche al segretario PD: «È un grave errore perché queste cose il 25 aprile non servono mai. Anche quando ci sono posizioni diverse bisogna evitare che su singoli fatti si perda la bussola di una posizione unitaria». Oppure ancora, al sindaco Beppe Sala, la cui carriera è fondamentalmente dovuta alla graziosa intercessione di Letizia Moratti, e che gode della stima, ricambiata, di un Gabriele Albertini è concesso di salire su un palco a fare la lezione di antifascismo: «Il 25 aprile è il nostro giorno… Questa è la festa della democrazia, questa è la festa della libertà dal fascismo e dal nazismo e su questo non ci dividiamo, basta ambiguità... Fino al punto di non scegliere tra una candidata che non ha mai rinnegato il nazismo e un candidato democratico, in Francia come in Italia – ha aggiunto. Basta ambiguità». Insomma, che significato assume una simile celebrazione: “Milano, bandiere Nato al corteo del 25 Aprile. L'associazione radicale: Le portiamo noi”, titola il Giorno del 24 aprile. In Francia queste cose non possono accadere, il giochino di dire e fare tutto e il suo contrario, purché sia sempre a tutela dei potenti che possono schernire la folla, non è concesso; i francesi non sono simpatici ma sono seri e non permetterebbero mai ad un Letta oppure ad un Sala di prenderli platealmente in giro.

Quando Macron pensò di applicare un po' di liberismo brutale all’italiana, blandendo i francesi con le solite favole liberiste sulla magia del mercato globale a discapito dei diritti dei lavoratori, tra il 17 ed il 23 novembre 2018, 287.710 francesi arrabbiati indossarono dei gilet gialli per protestare contro l’aumento dei prezzi del carburante e l'elevato costo della vita; contro l’inasprire dell’onere delle riforme fiscali sulle classi lavoratrici specialmente nelle aree rurali e suburbane. I Gilet gialli chiedevano la diminuzione delle tasse sul carburante, la reintroduzione della tassa di solidarietà sulla ricchezza, un aumento dei salari minimi che già ci sono, e l'attuazione dei referendum d'iniziativa dei cittadini: una piattaforma che nemmeno LEU penserebbe mai di proporre in Italia.

Certamente non hanno giovato alla popolarità del Presidente francese gli svariati tentativi di riforma delle pensioni durante il primo mandato, cercando di alzare l’età pensionabile da un lato e diminuire gli importi degli assegni dall’altro: “Perché la ‘pensione a punti’ di Macron non piace ai francesi”, titola Lavoce.info del 20 dicembre 2019. Poi, due anni di pandemia hanno “congelato” il rapporto tra il presidente e i francesi, che comunque lo hanno già inquadrato come esponente dell’élite parigina, vicino al mondo della finanza e assai lontano dalla Francia profonda e rurale. Nel frattempo, Marine Le Pen ha meditato l’esperienza del secondo turno delle elezioni 2017 e ha deciso di togliere il suo partito dall’angolo, cercando quindi di non fare solo il pieno dei voti al primo turno, ma di rendere il suo partito “potabile” anche per un eventuale ballottaggio. Il Front National lascia il posto al nuovo partito “Rassemblement National” nel 2018, pensionando definitivamente il novantenne e ingombrante genitore: “Marine Le Pen cambia nome al Front National (e caccia papà Jean-Marie)”, titola il Corriere della Sera del 11 marzo 2018. La missione di Marine è chiara, spostare il suo partito al centro andando ad intercettare il voto gollista e conservatore. Per Macron il quadro si complicava ulteriormente.

 

I centri di potere francesi decidono per Macron

Anche in Francia si pone il tema di questi partiti personali che nascono dal nulla, propongono leader privi di una tradizione, che si dimostrano fragili ma che sono utili “al sistema”. Se si accostano le biografie di alcuni presidenti francesi del passato con Macron, questa differenza risulta clamorosa: partendo da Charles De Gaulle, Georges Pompidou, Valéry Giscard d'Estaing, François Mitterrand, Jacques Chirac, Nicolas Sarkozy (meno degli altri), e lo stesso François Hollande presidente al crepuscolo del Partito socialista. Sono tutti uomini politici che potevano vantare una lunga carriera alle spalle, nazionale e internazionale, e l’appoggio sia di partiti strutturati e dotati di storia e radicamento, sia di un certo consenso personale, come quello notevole di De Gaulle. È noto, invece, come l’idea Macron nasca dalla consapevolezza di Hollande del tramonto non solo del Partito socialista, ma anche delle altre formazioni tradizionali: da quello comunista fino al repubblicano, tranne la destra del Front National. Ecco che nasce dal nulla La République En Marche nel 2016, capace però di intercettare il voto in uscita del Partito socialista e parte di quello centrista e repubblicano. I poteri forti francesi non erano disposti ad avere a che fare con Marine Le Pen. Avvicinandosi però alle elezioni 2022, Macron aveva bisogno di ottenere nuovamente l’investitura dei poteri forti, non potendo contare, appunto, su quello di un proprio partito solido, radicato e con una tradizione nel paese. È importante analizzare questo delicato passaggio, perché il dibattito nell’élite francese è quello che dà il titolo al presente articolo, la Francia si trova ad un bivio storico e tutt’altro che agevole: accettare di essere un paese totalmente privo di una propria politica estera, come sono l’Italia, parzialmente la Germania, e quelli dell’Est europeo, oppure mettersi a capo della “fronda”, per rimanere nella storia francese. Innanzitutto occorre cercare di individuare chi siano i poteri forti in Francia.

I più noti sono quelli dell’alta borghesia che vive negli Arrondissement centrali di Parigi. Questa élite, però, è divisa in due “partiti”: la borghesia fortemente legata all’attività bancaria, borsistica e finanziaria, gli eredi dei Rothschild di Parigi, sostanzialmente formata dall’importante, colta e influente comunità ebraica della città, caratterizzata da una forte propensione internazionale, comunità di origine, ad esempio, della famiglia Elkann che è riuscita a sposare i propri interessi italiani e francesi in Stellantis. Questo partito è per ora schierato con gli interessi americani in Europa. L’altra borghesia francese è invece a capo dei grandi gruppi industriali come Louis Vuitton, L’Oréal, Michelin, Sanofi, Hermés. Questa élite è maggiormente sensibile agli interessi nazionali, del mercato europeo e di quello cinese, e certamente non ha gradito la recente esclusione dalla pioggia di denaro pubblico che ha irrorato esclusivamente le Big Pharma anglo-americane escludendo un campione nazionale del calibro di Sanofi. Un altro grande potere è rappresentato dall’alta burocrazia, e sia chiaro non ha nulla a che vedere con la burocrazia borbonica di casa nostra, me ne è l’esatto contrario.

I vertici dello Stato francese hanno una propria scuola di eccellenza, L’École nationale d'administration di Strasburgo, hanno una propria tradizione centenaria come centenaria è la storia della Francia stato nazionale, hanno una visione precisa del proprio ruolo a difesa degli interessi francesi. Di questo partito fanno parte anche i manager delle industrie pubbliche come Renault e franco-europee come Airbus, e fanno parte anche i vertici militari che vantano la disponibilità dell’arma atomica. Questo partito è d’ispirazione più genuinamente gollista e meno propensa ad accettare il giogo americano. Infine, vi è una classe dirigente “rurale”, erede della Francia antica e aristocratica, l’élite per intenderci di provenienza di Valéry Giscard d'Estaing. Questo gruppo è certamente vicino alle posizioni dell’alta burocrazia, ma essendo di minore entità, disperso su un enorme territorio rurale, ha un peso specifico minore rispetto alle altre.

Elencando questi gruppi sembrerebbe che la maggior parte dei “partiti” dell’élite sia propensa a perseguire uno smarcamento dal tallone americano, e di opposizione all’atteggiamento altrettanto anti russo degli inglesi. Potrebbe essere questo il mandato assunto da Macron per ottenere l’appoggio delle élite francesi, ottenendo una sorta di neutralità da parte della comunità ebraica parigina, che rimane il punto di riferimento del Presidente.

 

Replicare il 2017: unica via alla vittoria per Macron

L’appoggio delle élite è stata condizione necessaria ma non sufficiente a garantire la vittoria al Presidente uscente. A differenza dell’Italia, dove l’incessante opera dei partiti ha raggiunto lo scopo di scoraggiare in ogni modo l’espressione del voto d’opinione, a vantaggio di quello clientelare e organizzato, in Francia l’aliquota dei votanti è ancora elevata e di conseguenza il voto d’opinione è tutt’ora rilevante. L’unico modo per garantire ad un candidato debole come Macron la vittoria era quello di portarlo al ballottaggio nuovamente contro Marine Le Pen, per poter convogliare sul Presidente uscente i voti dei candidati esclusi. Ed è quello che è successo. I candidati forti di queste elezioni sono stati tre: Macron, Le Pen e Mélenchon. Tuttavia, i timori per il successo di Le Pen al primo turno erano forti, tanto che provvidenzialmente il 5 dicembre 2021, a soli 5 mesi dalle elezioni, il giornalista Éric Zemmour ha fondato il partito di ultra destra Reconquête che è riuscito a togliere alla Le Pen ben 2.485.226 al primo turno. La performance del candidato “giacobino” Mélenchon è stata sostanzialmente in linea con le elezioni precedenti (19,58% nel 2017 e il 21,95% del 2022) non riuscendo ad intercettare la débâcle definitiva del Partito socialista; i repubblicani hanno presentato un candidato debole, Valérie Pécresse, e “les jeux sont faits”: Emmanuel Macron e Marine Le Pen si sono presentati al ballottaggio per la seconda volta. A questo punto è scattata la chiamata all’elettorato democratico per arginare il pericolo della destra anti europea e fascistoide ed ecco che Macron è stato rieletto. Ma anche al ballottaggio il presidente riconfermato si è dimostrato più debole del Macron candidato “vergine” delle precedenti presidenziali: in questa tornata il Presidente ha aggiunto 8.996.583 suffragi a quelli del primo turno contro i 12.086.782 del 2017. Al contrario, Marine Le Pen al secondo turno ha avuto una performance decisamente migliore aggiungendo 5.163.932 voti rispetto ai 2.959.984 del 2017: il Rassemblement National non è più un partito di estrema destra.

Il nuovo mandato di Macron

Abbiamo visto che, da un certo punto di vista, la rielezione di Macron è stata una scelta obbligata in un momento di emergenza da parte della classe dirigente francese, con il beneplacito tutt’altro che entusiasta dell’elettorato. Sull’argomento centrale della campagna elettorale, la guerra in Ucraina, entrambi i candidati, seppure con sfumature e toni diversi, non hanno dimostrato la totale preclusione alla ricerca dell’accordo con il Cremlino che invece è la cifra di Gran Bretagna (socio degli americani in questa operazione) e dell’Italia (marionetta nelle mani della Casa Bianca). Il primo compito di Macron è quindi tenere aperto il canale politico con Putin: “Rieletto Macron, le congratulazioni di Putin per la vittoria… Dal Cremlino: ‘Ti auguro successo, salute e benessere’”, titola La Repubblica del 25 aprile. Ma non è questa la missione fondamentale per il neo rieletto presidente nel frangente attuale. In passati articoli abbiamo visto quali innumerevoli effetti negativi ha generato la presenza di Mario Draghi alla presidenza del Consiglio italiano, alfiere della speculazione internazionale e fattore attivo della crescita dell’inflazione nel Bel Paese. Altrettanto nefasta è la sua influenza in campo europeo in quanto polo d’attrazione di tutti i capi europei che si vogliono sdraiare, più che schierare, al fianco degli Stati Uniti e contro gli interessi nazionali. Questo è il pericolo che sta correndo la Germania diretta da Olaf Scholz e dal partito social democratico che in pieno spirito “draghiano” ha sospeso l’omologazione del nuovo gasdotto “North Stream 2” favorendo così la speculazione sul gas anche in un paese fondamentale per l’Europa come la Germania. La decisione del cancelliere, unitamente alla partecipazione di Berlino alle cosiddette sanzioni alla Russia non hanno tardato a far sentire gli effetti sull’economia tedesca: «La guerra frena la crescita della Germania: Ifo taglia stime pil al 2,2-3,1% nel 2022. Secondo l'istituto è probabile che l'inflazione aumenterà più rapidamente del previsto, sino a portarsi al 5,1-6,1% anziché al 3,3% previsto a dicembre. L'aumento dei prezzi al consumo ridurrà il potere d'acquisto di circa 6 miliardi nel solo primo trimestre dell'anno», titola Milano Finanza del 23 marzo scorso. Macron deve ricondurre Scholz, e con lui il governo tedesco, ad un atteggiamento più responsabile nei confronti della Russia, meno proni nei confronti degli Stati Uniti e della Gran Bretagna: il Fatto Quotidiano del 22 aprile titola: «Guerra in Ucraina, Francia e Germania si smarcano da Usa e Nato: “Non saremo cobelligeranti”. Macron: “Ue sostenga Kiev, ma parli con Putin”». Il capo dell'Eliseo in un'intervista al Corriere traccia gli obiettivi della politica estera europea: Insistere a parlare con Putin, “anche se è molto duro, anche se è talvolta inefficace”, per “preparare la pace”: altrimenti “saranno i non europei a costruire la pace in Europa”. Continuare a inviare armi per “aiutare al massimo gli ucraini”, ma tenendo “una linea rossa, che è quella di non entrare nella cobelligeranza”. E “parlare ai nostri partner, nel Golfo, in India, in Cina, per evitare una frattura del mondo”. Sono i propositi della politica internazionale europea che il presidente francese Emmanuel Macron traccia in un’intervista congiunta concessa a un giornale del proprio Paese, uno tedesco e uno italiano, il Corriere della Sera. Una linea diplomatica che fa il paio con quella espressa nelle stesse ore da Olaf Scholz: “Io faccio di tutto per evitare una escalation con la Nato che possa condurre a una terza guerra mondiale”, dice il cancelliere tedesco a Der Spiegel, nell’anticipazione di un’intervista dal titolo “Non ci dev’essere una guerra nucleare”. “È molto importante valutare ogni passaggio con molta attenzione e coordinarci strettamente l’uno con l’altro”, spiega, perché “le conseguenze di un singolo errore sarebbero drammatiche”, avverte. Questo intervento congiunto è molto importante perché marca l’abissale distanza di Francia e Germania rispetto alla politica molto aggressiva nei confronti della Russia varata della Gran Bretagna. «Per la Gb è legittimo usare armi inglesi per colpire la Russia. Mosca non ci sta: “Allora possiamo colpire chi rifornisce Kiev, anche paesi Nato”», ci informa l’HuffPost del 26 aprile 2022; oppure la politica estera d’operetta di Roma: «“Draghi come Lukashenko”. E su Orsini si scatena la bufera. Il professor Alessandro Orsini ora paragona il premier italiano al dittatore della Bielorussia per sostenere che l'Italia è succube degli Stati Uniti», titola il Giornale del 24 aprile. Alla buon’ora Professor Orsini, per giungere a questa conclusione era sufficiente leggere l’articolo “Mario Draghi, uno dei Cavalieri dell’Apocalisse” pubblicato su Cumpanis il 28 marzo 2021. Torniamo ai contenuti delle dichiarazioni di Macron e Scholz. La propaganda occidentale ci sta raccontando la favola che la Russia sia un paese isolato la cui economia è strozzata dall’embargo internazionale. È vero esattamente il contrario: l’embargo che gli Stati Uniti hanno imposto di adottare ai paesi UE sta isolando proprio i paesi dell’Unione. La Russia sta semplicemente rimpiazzando un mercato per le sue materie prime energetiche e alimentari, quello europeo, con maggiori esportazioni verso Cina, India e Africa. La propaganda occidentale ci sta raccontando poi che la forza finanziaria di dollaro ed euro stanno portando il debito russo verso il default. È vero esattamente il contrario: il rublo oggi è la moneta più pregiata del mondo, perché è convertibile indirettamente in gas e direttamente in oro. Quando Macron afferma “saranno i non europei a costruire la pace in Europa” intende proprio questo: rimanendo fedeli alla linea della Casa Bianca, il vecchio continente rischia una grave crisi economica e finanziaria, travolta da un lato dalla penuria di materie prime e mercati di sbocco, e dall’altro dall’impennata dell’inflazione interna causata dall’abbondanza di monete, dollaro ed euro, prive di un valore reale. Quando Scholz afferma: “Io faccio di tutto per evitare una escalation con la Nato che possa condurre a una terza guerra mondiale”, denuncia di essere consapevole delle spinte che provengono dagli Stati Uniti perché gli eserciti ausiliari della NATO vadano al macello in Ucraina, il cancelliere tedesco sa che il conto lo pagherebbe soprattutto la Germania, come accaduto ben due volte nel XX secolo e sembrerebbe quindi non disponibile alla terza esperienza. Il pericolo di un asse Parigi-Berlino che costituisca una “fronda” nei confronti degli editti imperiali della Casa Bianca è stato immediatamente colto da Joe Biden che ha immediatamente tirato il guinzaglio al collo di Olaf Scholz nel modo più brutale e plateale, in autentico stile yankee: «Scholz capitola dopo il pressing Usa. A Ramstein il sì tedesco ai carri armati per Kiev. Vertice della “Lega per l’Ucraina” nella base aerea Usa in Germania. Blinken e Austin blindano gli alleati sulla nuova fase della guerra: armi pesanti per indebolire la Russia. E Berlino deve arrendersi». Alla fine di questo articolo possiamo individuare il valore strategico che potrebbe assumere la rielezione di Emmanuel Macron, la necessità di una strategia di uscita dalla trappola che gli Stati Uniti hanno teso all’Europa con la scusa della guerra in Ucraina, e che sta venendo alla luce dopo due mesi di conflitto anche agli occhi, spesso bendati dall’ideologia, dei privilegiati abitanti degli Arrondissement più esclusivi di Parigi.

 

I fatti di Napoli e la falsa coscienza di Repubblica di Paolo Desogus I fatti di Napoli e la falsa coscienza di Repubblica

I fatti di Napoli e la falsa coscienza di Repubblica

Voto russo e ipocrisia occidentale di Fabrizio Verde Voto russo e ipocrisia occidentale

Voto russo e ipocrisia occidentale

3 LIBRI PER "CAPIRE LA PALESTINA" LAD EDIZIONI 3 LIBRI PER "CAPIRE LA PALESTINA"

3 LIBRI PER "CAPIRE LA PALESTINA"

Il solito copione contro "il cattivo esempio" Cuba di Geraldina Colotti Il solito copione contro "il cattivo esempio" Cuba

Il solito copione contro "il cattivo esempio" Cuba

"11 BERSAGLI" di Giovanna Nigi di Giovanna Nigi "11 BERSAGLI" di Giovanna Nigi

"11 BERSAGLI" di Giovanna Nigi

Wang Yi, la visione complessiva della diplomazia cinese di Leonardo Sinigaglia Wang Yi, la visione complessiva della diplomazia cinese

Wang Yi, la visione complessiva della diplomazia cinese

Il PD e M5S votano per la guerra nel Mar Rosso di Giorgio Cremaschi Il PD e M5S votano per la guerra nel Mar Rosso

Il PD e M5S votano per la guerra nel Mar Rosso

Il caso "scientifico" dell'uomo vaccinato 217 volte di Francesco Santoianni Il caso "scientifico" dell'uomo vaccinato 217 volte

Il caso "scientifico" dell'uomo vaccinato 217 volte

L'austerità di Bruxelles e la repressione come spettri di Savino Balzano L'austerità di Bruxelles e la repressione come spettri

L'austerità di Bruxelles e la repressione come spettri

Ucraina. Il vero motivo di rottura tra Italia e Francia di Alberto Fazolo Ucraina. Il vero motivo di rottura tra Italia e Francia

Ucraina. Il vero motivo di rottura tra Italia e Francia

Il ruolo dei media in Occidente di Giuseppe Giannini Il ruolo dei media in Occidente

Il ruolo dei media in Occidente

Autonomia differenziata e falsa sinistra di Antonio Di Siena Autonomia differenziata e falsa sinistra

Autonomia differenziata e falsa sinistra

L'INDUSTRIA AUTOMOBILISTICA E L'INTERESSE NAZIONALE di Gilberto Trombetta L'INDUSTRIA AUTOMOBILISTICA E L'INTERESSE NAZIONALE

L'INDUSTRIA AUTOMOBILISTICA E L'INTERESSE NAZIONALE

Lenin fuori dalla retorica di Paolo Pioppi Lenin fuori dalla retorica

Lenin fuori dalla retorica

Uno scenario di tipo ucraino per la Moldavia? di Paolo Arigotti Uno scenario di tipo ucraino per la Moldavia?

Uno scenario di tipo ucraino per la Moldavia?

Inefficienze e ingiustizie si perpetuano di Michele Blanco Inefficienze e ingiustizie si perpetuano

Inefficienze e ingiustizie si perpetuano

Registrati alla nostra newsletter

Iscriviti alla newsletter per ricevere tutti i nostri aggiornamenti