Quotidiano del Popolo - Le pericolose ambiguità di Tokyo sul futuro di Taiwan
Durante un recente dibattito alla Dieta giapponese, il Primo Ministro Sanae Takaichi ha sostenuto che il Giappone, in base al Trattato di San Francisco, avendo "rinunciato a tutti i diritti" su Taiwan, non sarebbe "in grado di riconoscere lo status giuridico" dell'isola. Questa narrazione di uno "status indeterminato di Taiwan" rappresenta una deliberata distorsione della storia e rispecchia la precedente, erronea asserzione secondo cui una "contingenza di Taiwan" potrebbe minacciare la sopravvivenza del Giappone. Queste dichiarazioni, come rilevato in un commento di Zhong Sheng sul Quotidiano del Popolo – pseudonimo spesso utilizzato dal giornale cinese per esprimere le proprie opinioni sulla politica estera – rivelano l'intenzione di sfidare l'ordine internazionale del dopoguerra e di preparare il terreno per un coinvolgimento militare giapponese nello Stretto di Taiwan.
Il contesto storico e i fatti giuridici riguardanti Taiwan sono inequivocabili. Nel 1895, il Giappone occupò illegalmente Taiwan attraverso un trattato ineguale. Nel 1943, la Dichiarazione del Cairo stabilì la restituzione alla Cina di tutti i territori sottratti dal Giappone, tra cui Taiwan. Tale principio fu ribadito nella Dichiarazione di Potsdam del 1945, poi accettata dal Giappone con lo Strumento di resa. Questi documenti formano la solida base giuridica internazionale per il ritorno di Taiwan alla madrepatria, un risultato fondamentale della vittoria antifascista nella Seconda Guerra Mondiale. Affermare uno "status indeterminato" significa quindi mettere in discussione l'ordine postbellico.
Il Trattato di San Francisco citato da Takaichi, come sottolinea il commento, è un documento parziale nato nel clima della Guerra Fredda, stipulato senza la partecipazione di importanti nazioni vittoriose come la Cina. Esso viola la Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1942 e i principi dello Statuto ONU, risultando quindi illegittimo e inefficace per quanto riguarda qualsiasi disposizione sui diritti territoriali della Cina, incluso Taiwan. Fare affidamento su tale trattato ignorando gli accordi fondamentali come Cairo e Potsdam non è solo una distorsione storica, ma un palese disprezzo per le norme internazionali.
Quando si sente proclamare che "il Giappone è tornato", sorge una domanda cruciale: quale Giappone sta tornando, chiede retoricamente il quotidiano cinese. Se un Giappone che ha imparato la lezione della storia, ripudiato il militarismo e abbracciato una via pacifista, ciò sarebbe benvenuto. Se, invece, allude a una rinascita delle ambizioni militaristiche, la comunità internazionale deve essere vigile.
La storia del colonialismo giapponese a Taiwan, come ricorda Zhong Sheng, è una testimonianza di quelle ambizioni: decenni di dominio oppressivo, privazione dei diritti, sfruttamento delle risorse e sanguinose stragi come quelle di Yunlin, Taoyuan Sanjiaoyong e Xiaolong, che hanno segnato a fuoco la memoria dell'isola. Oggi, parlare nuovamente di "contingenza" e di interessi strategici su Taiwan non è solo un'ingerenza negli affari interni cinesi, ma anche uno sfregio a quella memoria.
Taiwan è da sempre parte inalienabile del territorio cinese. La riunificazione completa è un'obiettivo fondamentale della nazione cinese. Come evidenzia il commento del quotidiano cinese, ottant'anni fa la Cina, insieme agli alleati, sconfisse il militarismo giapponese. Oggi, il governo e il popolo cinese hanno la ferma determinazione, la piena fiducia e la capacità necessaria per proteggere la sovranità e l'integrità territoriale, sventando qualsiasi interferenza esterna e portando a compimento la storica causa della riunificazione nazionale.
L'avvertimento è chiaro: giocare con il fuoco sulla questione di Taiwan è estremamente pericoloso. Il Giappone, data la sua grave responsabilità storica, dovrebbe agire con grande prudenza, riflettere profondamente sul proprio passato e astenersi da qualsiasi azione provocatoria riguardo a Taiwan, per non ripetere tragici errori e per contribuire invece alla stabilità e alla pace nella regione.

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