Non ci sarà mai rivoluzione (neanche gentile) senza egemonia culturale

Non ci sarà mai rivoluzione (neanche gentile) senza egemonia culturale

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Smantellato il decreto dignità, messo in discussione il reddito di cittadinanza, sfasciata la riforma Bonafede sulla giustizia, regalati all'editoria, invece di tagliare,  altri 30 milioni di euro ai giornali del mainstream, prorogata la norma salva-Mediaset, regalati 7,9 miliardi di euro ai Benetton (invece di revocare e penalizzare), ampliati i limiti di inquinamento elettromagnetico per la promozione del 5G, sbloccati i licenziamenti, introdotti nel PNRR emendamenti a favore delle banche (nessuna possibilità di diritto di ricorrere in giudizio per le famiglie sfrattate), insomma tutto quello per cui il Movimento 5 Stelle ha deciso di entrare nel governo Draghi per "difendere le conquiste" realizzate agli inizi della legislatura.


C'è un limite di dignità alla supina sopportazione?


Forse i parlamentari del Movimento 5 Stelle si stanno accorgendo che, Conte o Grillo, modifiche delle modifiche delle modifiche dello statuto, 7 saggi, piattaforme varie che in questo preciso momento stanno invadendo il box email degli iscritti, senza un'identità riconosciuta, senza una visione e con il taglio dei parlamentari, non ci sarà comunque un secondo, terzo o quarto mandato.


È finita.


Ed è già finita alle amministrative, dove tutti i territori si sono spaccati, perché i candidati imposti dal duo Letta Conte non piacciono agli elettori, che hanno votato 5 stelle proprio perché si è presentato come soggetto politico oltre quel falso bipolarismo, che, soprattutto a livello locale, è denudato da sovrastruttura ideologica e mostra il vero volto: quello di un sistema di potere che usa la debolezza delle classi allo stremo per sfruttarle economicamente e sul piano del consenso ricattatorio.

 

La crisi del Movimento 5 Stelle è iniziata da lì, dal credere di poter combattere il sistema facendosi sistema.


Non è una questione di individui più o meno opportunisti, più meno "traditori" dei valori originari, non è neppure una problematica inerente alla mancata selezione della classe dirigente.


No.


È proprio perdente l'assunto di fondo: non puoi mai avere la forza, pur con il 33%, di cambiare un sistema agendo secondo le regole che quello stesso sistema si è dato per proteggersi.


È una lezione amara.


Ma, se la rivoluzione culturale gentile non parte dalla formazione, da un'egemonia culturale, dal vero cambiamento di paradigma in senso opposto al neoliberismo, rischia di diventare una rivoluzione colorata, un giro di ballo di gattopardiana memoria, per calmierare la protesta, per impedire la lotta di classe.


Oggi anche il vicepresidente del parlamento europeo scrive che ci vuole subito una leadership forte, per contrastare questa macelleria di tutti i provvedimenti 5 stelle.
Come se Draghi e il governo dei migliori avessero approfittato della debolezza interna del movimento 5 stelle.


No. 


È esattamente il contrario.


Il Movimento 5 Stelle si è sfaldato proprio con la progressiva cessione di ogni sua bandiera, dal TAV all'acqua pubblica, perdendo credibilità, dalla val Susa alla geotermia della Tuscia, dalla terra dei fuochi ai cittadini di Taranto, dal famigerato ponte sullo stretto alle mamme No Muos di Niscemi.


E già bisognava accorgersene alle europee, quando, in piena campagna elettorale, 200 mila da tutta Italia alla manifestazione nazionale contro le grandi opere inutili hanno attraversato Roma fino a piazza San Giovanni gridando "il Movimento 5 Stelle dov'è?


Il Movimento 5 Stelle aveva ricevuto l'ordine di non essere presente, per conservare l'immagine istituzionale, cravatta e calzini coordinati, che stava costruendo per "essere credibile in Europa".


Alle tardive dimissioni di Di Maio capo politico non è seguita alcuna analisi, alcuna seria autocritica.


È rimasto un reggente sospeso che non è stato in grado di indire gli Stati Generali, se non troppo tardi, con un'agenzia deputata ad "appianare i conflitti", che già si era distinta per "appianare" il popolo no TAV.

 

E neppure questi controversi Stati Generali hanno visto la loro completa realizzazione.


Perché?


I motivi sono tanti, non ci interessa enumerarli.


Ma la vera motivazione di questo record di fallimenti è a monte: si è cercato di risolvere la contraddizione di base del "cambiamento nel sistema" e non "del sistema", attraverso soluzioni di amministrazione e organizzazione interna.

 

Non sarà Conte, non sarà neppure Grillo, non sarà neppure il più elevato guru a risolvere la contraddizione del movimento nato antisistema e diventato, più di ogni altro partito, funzionale al sistema, quale dimostrazione storica che, dall'interno della scatoletta di tonno, non puoi che contrattare se finire in una insalata di riso o di pollo.

Agata Iacono

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Sociologa e antropologa

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