Le tecniche repressive nei luoghi di lavoro

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Le tecniche repressive nei luoghi di lavoro

 

di Federico Giusti

1) erosione del potere di acquisto e perdita del potere contrattuale

In Italia negli ultimi anni abbiamo perso potere di acquisto mentre in ogni altro paese europeo i salari crescevano. Ci sono comunque differenze tra settori produttivi, ad esempio nella manifattura si è perso meno potere di acquisto di quanto avvenuto nella Pubblica amministrazione ove registriamo i salari più bassi in assoluto (ultimo contratto perdita di quasi il 12% di potere di acquisto)

Stando ai dati Istat non solo si perde potere di acquisto ma ci si allontana sempre più dalla tenuta dei salari rispetto al costo della vita

Poi al resto pensa il fisco non più equo e progressivo a cui aggiungere  la natura precaria della occupazione, i contratti part time sono in continua crescita (e le responsabilità sindacali sono evidenti) come anche l’occupazione tra gli over 50 .

Gli investimenti negli ultimi 30 anni al netto del PNRR sono stati inadeguati, la quota di capitali indirizzata ai profitti è cresciuta a discapito della dinamica salariale e dei processi innovativi almeno in alcuni settori. E allo stesso tempo le disuguaglianze salariali sono cresciute a dismisura senza alcun controllo e freno da parte dei contratti nazionali e della stessa azione da parte sindacale.

2) la domanda interna depotenziata e i meccanismi salariali e contrattuali causa della caduta verso il basso delle buste paga

La domanda interna sostiene la dinamica salariale e anche gli investimenti e lo sviluppo, ebbene la erosione dei salari ha indebolito anche la capacità di spesa. Ove cresce la produttività il costo del lavoro resta decisamente indietro e di conseguenza anche i salari. Cresce la produttività nelle imprese a partecipazione pubblica per fare un esempio e a vantaggio dei dividendi non certo dei salari. Una delle proposte avanzate dalla Cgil è inserire l’aumento della produttività direttamente nei ccnl ma prima di ogni altra azione dovremmo intanto potenziare il potere contrattuale, rivedere i meccanismi che assegnano aumenti contrattuali al di sotto del costo della vita reale, eliminare ogni deroga peggiorativa, eliminare il codice Ipca sostituendolo con automatismi effettivi dei salari al costo della vita. 

3  il lavoro povero

Oggi un lavoratore povero può anche avere un contratto a tempo indeterminato, povero è anche chi supera il 60% del salario mediano ma la sua busta paga è la sola presente in una famiglia numerosa. Poi ci sono i part time ormai dominanti in interi settori produttivi (ad esempio negli aeroporti, nel verde, nei beni culturali) che non arrivano a metà mese e avranno un domani delle pensioni da fame. Se poi guardiamo alla Pubblica amministrazione siamo in perdita salariale da anni, almeno da 25 anni, la stagnazione retributiva a seguito della crisi del 2008 si va a sommare alla impennata dei prezzi determinata dalla guerra per finire con i contratti nazionali siglati al massimo ribasso.  E fermo restando che tra i vari comparti ci sono fin troppe sperequazioni, oggi un dipendente pubblico in Italia guadagna il 30% in meno di un collega tedesco e francese, Ma il vero lavoro povero è nel privato e in particolare negli appalti e nei subappalti, nel mondo delle cooperative.

4) la repressione aziendale

Quanto sta avvenendo in alcuni supermercati italiani è emblematico: sono fatti di cronaca di cui si parla sulla stampa nazionale ma ormai i giornali sono sempre meno diffusi. Se andiamo nei luoghi di lavoro è ormai una rarità trovare qualche giornale che non sia una testata sportiva e locale, il crollo delle vendite dei quotidiani va di pari passo con la crisi della militanza sindacale e politica. Quindi tanti avranno sentito parlare dei fatti ma da qui ad avere una idea precisa degli avvenimenti corre grande differenza.

Non solo negli ipermercati ma in tanti posti di lavoro si applicano tecniche di controllo asfissianti che poi conducono a contestazioni disciplinari, sanzioni e licenziamenti: il personale viene accusato del mancato rispetto dei canonici doveri aziendali. I motivi addotti sono i più disparati e sovente anche pretestuosi: merce esposta in modo non consono dalle indicazioni aziendali, informazioni raccolte dall’utenza sull’operato di singoli lavoratori, contestazioni di mancata sorveglianza a qualche dipendente che poi deve controllare più file e non è oggettivamente responsabile di un eventuale furto. E poi i ritardi sui quali pesano i tagli dei servizi pubblici, il caro parcheggio.

Storie di ordinaria repressione o, se vogliamo, di normale pratica padronale? Le condizioni di vita e di lavoro nel settore del commercio si sono deteriorare nel corso del tempo, basterebbe ricordare quando, anni or sono, il sindacato fu fin troppo arrendevole verso le domeniche lavorative o verso la esternalizzazione di innumerevoli attività ad agenzie interinali che operano sovente dietro le quinte, in orari notturni e disagiati, con contratti e paghe inferiori. Quando siamo arrendevoli alla fine il conto viene presentato e i compromessi del passato si mostrano per quelli che sono ossia l’inizio della fase decadente del sindacato accumulando sconfitta dopo sconfitta.

Altro aspetto rilevante è poi rappresentato dai codici di comportamento aziendali, dall’obbligo di riservatezza, dai codici etici, supporti insostituibili per operare verso i salariati in termini repressivi e preventivi per incutere paura e rassegnazione. Sono argomenti salienti sui quali il sindacato non solo non ha operato una valutazione critica ma si è addirittura piegato a logiche padronali che andavano invece comprese prima e poi debitamente avversate

Nel corso degli anni sono avvenute trasformazioni rilevanti nella organizzazione degli ipermercati, ad esempio le casse automatiche con una operatrice che deve controllare 78 postazioni, aiutare gli utenti nella corretta digitalizzazione dei prodotti (ad esempio la cassa attende autorizzazione per l’acquisto di prodotti alcolici), distribuire buste e accertarsi che l’acquisto delle stesse sia incluso nello scontrino. Insomma, una mole di lavoro impossibile per singoli dipendenti, contestare qualche addebito con le croniche carenze di personale diventa fin troppo facile. Siamo andati in visita a numerosi ipermercati, nei discount l’addetto alla cassa nei momenti di minore affluenza può essere spostato agli scaffali, questa estrema flessibilità di personale accresce i carichi di lavoro, rende meno accurata la prestazione e può dare adito con estrema facilità a provvedimenti disciplinari. La flessibilità poi riduce gli organici e annulla ogni differenzia tra le varie mansioni spingendo le dinamiche salariali al ribasso.

5) il test del carrello ultima invenzione padronale

 E per chiudere il famigerato “test carrello”, ossia un ispettore aziendale che occulta volutamente della merce dentro altre confezioni per poi contestare al cassiere di non avere prestato la dovuta attenzione recando un danno economico alla azienda. E da qui partono sanzioni e licenziamenti

Avete capito bene? Prendiamo un giorno del mese di dicembre con file interminabili alle casse, poco personale, oggetti fuori posto tra gli scaffali, un lavoro alla catena vero e proprio, trovarsi un oggetto di piccole dimensioni occultato dentro una confezione più grande. Se il lavoratore dovesse controllare ogni oggetto ci sarebbero file interminabili e subito arriverebbero contestazioni dell’utenza all’esercizio commerciale che si ripercuoterebbero sul dipendente attraverso sanzioni e contestazioni di addebito.

Il cassiere non può controllare ogni pacco ma nonostante l’oggettiva impossibilità, con il test del carrello, viene licenziato dall’azienda. Questo, in estrema sintesi, quanto è accaduto

E invece di accrescere gli organici alle casse o al bancone, invece di predisporre personale nella gestione degli scaffali (gli addetti di solito devono svolgere più mansioni contemporaneamente) si preferiscono gli ispettori preposti al controllo dell’operato dei singoli lavoratori con il trucco del carrello. Ci sembra evidente che la scelta di alcune aziende sia quella repressiva, invece di rimettere in discussione le modalità di gestione del personale e dei servizi si cerca solo il capro espiatorio che poi è sempre il dipendente, la  classica “ultima ruota del carro”

Siamo davanti a situazioni inaccettabili e a un vero e proprio ricatto da respingere con forza. Teniamo conto che dopo anni alle celle frigo o alle casse insorgono malattie professionali che limitano le mansioni e potrebbero alla occorrenza anche rappresentare motivo di licenziamento. I sindacati contestano che tra i lavoratori colpiti ci sono fragili, beneficiari della 104, anziani prossimi alla pensione e con numerose prescrizioni. Se tutto ciò venisse confermato saremmo davanti ad una situazione ancora più grave. Urge quindi fare chiarezza ed esprimere la nostra solidarietà alla forza lavoro dei supermercati, quanto accade loro oggi presto farà scuola per noi tutti.

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