Il racconto di Suaad: "La mia vita è finita in quelle carceri israeliane"

Intervista a Suaad Genem, autrice de “Il racconto di Suaad. Prigioniera palestinese” (Edizioni Q)

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Il racconto di Suaad: "La mia vita è finita in quelle carceri israeliane"

 

di Giulia Bertotto per l’AntiDiplomatico

Suaad Genem è autrice de “Il racconto di Suaad. Prigioniera palestinese”, (Edizioni Q 2024), la testimonianza vivida e diretta del suo secondo periodo di detenzione nelle carceri israeliane, nel 1983, come prigioniera politica. Su di sé sopporta ancora i traumi del gas, i segni delle bruciature e delle umiliazioni. Nessuna vessazione fisica o psicologica ha però piegato la sua volontà, la sua affermazione di libertà per la Palestina. Suaad è una mamma e ha un dottorato in giurisprudenza sui diritti umani, Direttore Generale dell'Exeter Respect Festival. Inoltre ha fondato Devon United Women per i diritti delle donne ed è Direttore Generale del Festival Internazionale della Donne. Ricopre il ruolo di presidente anche dell'Exeter Inter United Football Club fondato nel 2012 e da vent’anni organizza il torneo Kick Racim Out of Football (il prossimo sarà il 16 giungo 2024). Ha fondato l’associazione Ziet & Za'ater per far conoscere la cultura palestinese. Lo Statuto “Universale Pilgrimage” vicino al Consiglio Comunale di Exeter porta il suo nome, in onore del suo lavoro sui diritti umani e per la dedizione ai diritti dell'umanità e della giustizia umanitaria. Siamo onorati di raccogliere le sue parole.




L'INTERVISTA

Dottoressa Genem, lei ha vissuto letteralmente sulla sua pelle la prigionia nelle carceri israeliane, la sua testimonianza è arrivata lontano grazie al suo coraggio e determinazione oltre il dolore fisico, ma anche con l’aiuto del suo fidanzato (all’epoca dei fatti del libro) e della sua famiglia. Come sta oggi? La sua denuncia sta riscontrando risultati giuridici e in termini di diritti umani?

Purtroppo le denunce che indosso sul mio corpo, come lei dice, non sono servite a molto. Anzi, dobbiamo essere realisti e ammettere che la situazione è drammaticamente peggiorata. Oggi il genocidio palestinese avviene senza che ci sia quasi più scandalo tra i governi. L’opinione pubblica è invece accogliente e ha compreso l’entità dei crimini contro l’umanità che sta compiendo Israele. Per quanto riguarda me, in un certo senso la mia vita è finita in quelle carceri, che sono rimaste dentro di me anche se io ne sono uscita. Gli incubi da cui non riesco a liberarmi e la strage del mio popolo non sono mai finiti. Lorenzo si è costruito una famiglia e sono davvero contenta che la sua vita sia sbocciata. Di una cosa posso essere sicura: non ho mai smesso di lottare e mai starò zitta davanti al massacro del mio popolo.

I media italiani riferiscono notizie solo sugli ostaggi israeliani. Lei ha informazioni sui prigionieri palestinesi nelle carceri di Netanyahu?

Forse il più grande problema, una vera tragedia, sono i numeri: non sappiamo quante persone siano segregate. Per i sionisti i palestinesi sono come animali, vengono trattati alla stregua delle bestie anche coloro che sono fuori dalle prigioni, immaginate come possano essere trattati i prigionieri politici! Se prima del 7 ottobre era difficile conoscere queste cifre, da quella data tutto è fuori controllo: le bombe sugli ospedali e sulle moschee, la carestia artificiale causata volontariamente dalle armi contro gli edifici civili, le case, i villaggi. La comunità internazionale non vigila come dovrebbe su quello che Israele sta facendo, le carceri sono tra i luoghi più oscuri di questo orrore.

Nella sua testimonianza è fortissima la sinergia tra resistenza politica e missione spirituale, c’è un dilatarsi tra martirio per la propria amata terra e vocazione oltre questa terra. Lei infatti scrive poesie ma lavora con il codice penale. Queste sue due anime emergono in maniera decisa nel suo racconto autobiografico.

Sono cresciuta tra il Mar Mediterraneo e il Monte Carmelo, luogo di antica venerazione mariana, ed è da questa altura che guardavo con emozione l’immensità dell’orizzonte. Ho abitato anche a Gerusalemme, la Via Dolorosa è per me un luogo interiore non è solo un luogo fisico. Da un lato c’è la Chiesa dell’Ascensione e dall’altro la moschea al-Aqsa; io mi sento un po’ come questa via, nel mezzo tra le fedi. Di notte, nel silenzio, sentivo un’affinità fortissima con Gesù Cristo. Quindi questo sincretismo è quindi nei luoghi della mia infanzia e nei luoghi interiori della mia anima. Amo la Palestina della terra e la Palestina del cielo.

Pochi giorni fa Israele avrebbe colpito la sede dell’ambasciata iraniana a Damasco. Si attende, secondo la CIA, una risposta iraniana. Il conflitto si sta allargando rivelando la sua natura di crisi globale legata al declino della potenza statunitense. Nel frattempo in Europa la guerra non è più un tabù morale, anzi, viene normalizzata. Cosa pensa di questa atmosfera da Terza guerra mondiale?

La Terza guerra mondiale è già in atto e la situazione è pericolosa per l’intera umanità. Tuttavia è anche vero che questa è una guerra combattuta innanzitutto con la paura che corre sui social. La paura paradossalmente indebolisce il senso critico e la coscienza politica. I germi di questa guerra sono iniziati con l’imperialismo americano e occidentale, una tappa rovinosa verso il declino è stata quella compiuta dall’Inghilterra, quando ha deciso di impiantare lo stato d’Israele in Palestina. Quello che stiamo vivendo e che ci aspetta è l’intrico di conseguenze che sono derivate dall’illusione di supremazia razziale del mondo “bianco”.  

Se per 75 anni è sempre stata documentata la violenta colonizzazione sionista, dal 7 ottobre vediamo espressamente un genocidio in diretta sui social. Prima con le bombe ora con la fame. I giornali continuano a parlare di guerra quando non ci sono neppure due eserciti. Cosa possiamo fare per incidere davvero contro questo massacro?

Dobbiamo fare tutto il possibile, anche se a volte può sembrare inutile, non lo è assolutamente. Parlare con i conoscenti per sensibilizzare contro la propaganda statunitense-sionista, manifestare nelle piazze, diffondere libri sulla causa palestinese, creare luoghi di dibattito, insegnare ai giovani cosa sta avvenendo nel Vicino Oriente. Ciò che conta è farlo nel rispetto delle regole del dialogo e di sé stessi. Bisogna proteggersi ed essere lucidi per essere credibili. Questo è importante affinché il messaggio che vogliamo mandare arrivi ai nostri interlocutori. Dobbiamo sapere e capire cosa accade nel mondo e nel nostro paese ma dobbiamo anche curarci di noi stessi, della nostra famiglia e dei nostri cari. Non possiamo difendere grandi ideali senza tutelare il rapporto con i nostri affetti più vicini. Non dobbiamo perdere l’umanità che c’è nelle nostre case. Almeno quella.

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Siamo orgogliosi come l'AntiDiplomatico nell'aver collaborato con Edizioni Q per l'uscita de "Il racconto di Suaad". Intorno a questo progetto editoriale c'è un'importante campagna di raccolta fondi per l'Associzazione "Gazzella onlus", impegnata in prima linea per gli aiuti di prima necessità alla popolazione di Gaza. 




Acquistando il libro dal nostro portale aiuterete Gazzella onlus a portare avanti i suoi progetti umanitari.

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