Il motivo "politico" (secondo Haaretz) dietro il raid di Jenin

Il motivo "politico" (secondo Haaretz) dietro il raid di Jenin

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L’incursione massiva delle forze israeliane a Jenin è stata ordinata “per distogliere l’attenzione dalla potente testimonianza resa al processo contro Netanyahu da Arnon Milchan per i ‘doni sontuosi’ ricevuti [dal premier ndr], oltre che [per distrarre l’attenzione] dal golpe giudiziario, dalle manifestazioni di protesta [contro il golpe stesso ndr] e dalla resa totale di Netanyahu ai veri primi ministri [del Paese], Bezalel Smotrich, Itamar Ben-Gvir e Arye Dery” (a capo, questi ultimi, dei partiti di destra e ultra-destra che sostengono il suo governo). Così ritiene Usi Misgraw, che ne scrive su Haaretz.

Nell’incursione, sono stati uccisi 12 palestinesi, di cui tre minorenni, come annota Save The Childern in un report che dettaglia che sono stati arrestati anche “alcuni bambini” (si spera subito rilasciati). E ha perso la vita anche un soldato israeliano, anche questo va ricordato ché la morte accomuna anche i nemici.

Altri dettagli interessanti nell’articolo di Misgraw, cioè che malgrado il massivo dispiegamento di forze, non c’è stata una vera e propria battaglia, dal momento che i combattenti palestinesi hanno per lo più evitato il confronto contro un nemico tanto preponderante. E che gli alti gradi dell’esercito israeliano volevano condurre un’operazione più limitata, di un giorno, ma che la politica ha spinto per prolungarla inutilmente, con ulteriore aggravio della situazione.


Il raid senza senso

Malgrado le forze israeliane abbiano fatto sfoggio di un ulteriore progresso tecnologico, scrive sempre su Haaretz Anshel Pfeffer, “quando si tratta del motivo per cui stavano combattendo, nulla è cambiato” rispetto al passato. Quindi, registrando l’enfasi con cui politici e militari hanno salutato i risultati del raid, commenta: “È tutto tristemente identico [al passato] e privo di significato. I capi delle Brigate Jenin, la mattina dopo, stavano già sfilando nel campo profughi”.

E il fatto che le milizie palestinesi abbiano ancora il controllo del territorio, nonostante la forza e i mezzi dispiegati per eradicarle dalla città, è stato salutato da quanti sostengono la causa palestinese come una vittoria. Tale la dinamica propria della resistenza.

A descrivere il sentimento dei palestinesi per quanto avvenuto, è Jack Khouri: “Case demolite, veicoli distrutti e strade danneggiate facevano apparire la città una zona di guerra. A mezzogiorno, decine di migliaia di persone hanno dato vita al corteo funebre per dieci delle dodici vittime. Hanno iniziato a sfilare dall’ospedale della città, scortati da decine di uomini a viso coperto e armati che sono stati applauditi dalla folla”; ed è probabile, aggiunge il cronista, che gli applausi più calorosi provenissero da “quanti avevano perso la casa e tutti i loro averi” (Haaretz).

La rabbia

Se si voleva attutire la rabbia da cui nasce la violenza, lo si è solo alimentato, aggiunge Khoury, che ha registrato i canti che hanno accompagnato il corteo funebre: “ci affideremo alle nostre armi rinunciando al ramoscello d’ulivo”; “non c’è nessuno con cui parlare in Israele” e “Israele comprende solo la forza”.

Più addolorato il resoconto di Gideon Levi, che parla di “500 case distrutte” nel raid, ma soprattutto dei “figli di Jenin, che non dimenticheranno mai”. E racconta di un video girato sul web in questi giorni: “In una scena orribile, che potrebbe risalire a un qualche periodo oscuro della storia, soldati armati e corazzati invadono una piccola casa. A tutti viene ordinato di alzare le mani. Un soldato punta il fucile contro le donne e i bambini, e un urlo di terrore squarcia l’aria. Taglio. Il video finisce qui, ma i bambini non dimenticheranno. Non dimenticheranno mai quello che hanno dovuto subire questa settimana” (Haaretz).

Così si chiudono due giorni di sangue e distruzione, che hanno solo alimentato l’odio tra i due popoli, come dimostra l’automobile lanciata contro ignari passanti israeliani durante il raid di Jenin (sette i feriti nell’attentato). Una catena di sangue che discende da tragedie del passato e del presente ed è preludio a quelle future.

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