Il pluslavoro, il potere e la moneta: "Sputiamo sul lavoro"

Il pluslavoro, il potere e la moneta: "Sputiamo sul lavoro"

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di Leo Essen


"Sputiamo sul Lavoro".  Perché ho scelto questo titolo? Come ho dichiarato recentemente in una bella intervista a Giulia Bertotto per l'AntiDiplomatico riprendo il titolo di un famoso libro di Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel, scritto nel 1970. Ciò che dà fastidio, scrive Lonzi, è il nostro attacco al concetto di potere. Il potere è fallo-centrico. Di più, il potere è logo-centrico. E siccome la donna non ha un accesso al Logos, dunque non ha accesso al comando. Rivendicazione del potere. Potere alle donne. Il tema delle donne – il femminismo, la questione femminista - non può essere subordinato a nessun altro tema. L'oppressione della donna, scrive Lonzi, è il risultato di millenni: il capitalismo l'ha ereditata piuttosto che prodotta. Le donne non possono accettare di subordinare, in un’ottica marxista e leninista, le loro sofferenze, i bisogni e le aspirazioni, alla questione economica, dove la centralità è attribuita al lavoro. Dove si dice, state buone, abbiate pazienza, lavorate per la rivoluzione, chinate la testa, prima risolviamo il problema del lavoro, il problema dello sfruttamento del lavoro, e poi, vedrete, il problema della donna si risolverà di conseguenza, automaticamente. Nel femminismo c’è un attacco forte ad ogni teleologia. Primo fra tutte la teleologia che gira sotto il nome di Caduta tendenziale. C’è un attacco alle leggi scientifiche dell’economia e della storia. Si tratta di un attacco alla scienza che arriva da lontano e che, sotto le forme del post-modernismo e del pensiero debole giunge siano ai giorni nostri. Si tratta, in molti casi, di un anarchismo violento, di un individualismo estremo che trova nella polemologia e nel geopolitismo, cioè nell’idea di due forze nemiche che muovono il corso della storia, il motivo di articolazione del discorso. La lotta di classe viene recuperata, reintrodotta nel circuito, ma sotto una veste romantica, anarchica, antiscientifica, anti-illuminista.


LEGGI "SPUTIAMO SUL LAVORO" 

Eppure negli anni Sessanta e Settanta c’è una forte attenzione ai temi dello sfruttamento, un fioriere di partiti, di collettivi, di studi, di riviste. In Italia nasce persino una scuola - IItalian Theory – che avrà un’eco enorme, persino all’estero.

Nel 1972 esce L’Anti-Edipo di Deleuze e Guattari. Si afferma il connubio tra French Theory e lItalian Theory. Anche qui si dice, Deleuze dice, la tendenza alla Caduta del saggio del profitto non ha fine. Non attendete che il sistema crolli in virtù di qualche legge economica, non attendete niente dall'economia, non attendente più. Perché non ha fine? Probabilmente per le stesse ragioni che fanno ridere i capitalisti e i loro economisti, quando constatano che il plusvalore non è matematicamente determinabile. Come si vede, c’è un attacco alla scienza. Se il sistema non va in crisi è perché ha fatto della crisi il motore del suo sviluppo. Il capitalismo ha saputo interpretare il principio secondo cui le cose funzionano bene se non a condizione di guastarsi: la crisi come mezzo immanente al modo di produzione capitalistico. È impressionante come questa lettura di Deleuze calzi bene con ciò che è successo a partire del 1972 – un’emergenza continua, un'esigenza continua di riforma, una messa in questione continua di linguaggi, di stili, una critica continua, incessante, stancante, una polemica continua, un dibattito perenne, funzionale alla continuità del capitalismo. 

Nel 1971 Nixon annuncia la fine della convertibilità del dollaro in oro, la moneta perde la sua ancora e comincia a fluttuare liberamente.

Deleuze, e ciò lo possiamo ritrovare in tutti gli argomenti proposti nella IItalian Theory, soprattutto in Tronti e Potere Operaio e, successivamente, in Autonomia Operaia, Deleuze sgancia il plusvalore dal lavoro. Il plusvalore (plusvalore = sfruttamento economico, sfruttamento del lavoratore), dice Deleuze (lo si legge sempre nell’Anti-Edipo) non può essere definito dalla differenza tra il valore della forza-lavoro e il valore creato dalla forza-lavoro, ma dalla disparità tra due aspetti della moneta. Una moneta tenuta in tasca dalla gente, e che continua a funzionare in maniera tradizionale, come reddito convertibile equamente in oggetti di consumo, e una moneta usata dal capitalista e che esprime la potenza economica, il potere di avviare la produzione, il potere di comandare e di comandare il lavoro. È l’ingresso del potere nell’analisi della moneta. Questa uscita filosofica fa il pari con l’uscita di Nixon, la segue passo passo. Anche negli USA si pone il problema di sganciare la moneta dal valore d’uso dell’oro, per affermare una moneta fiduciaria come pura moneta di comando. Non importa il cosiddetto sottostante, lo sfruttamento non ha niente a che fare con un sub-stante chiamato lavoro, e la moneta non ha niente a che fare con un sub-stante chiamato oro, chiamato economia effettiva.

È l’idea stessa di economia che viene affettata dalla tematica del potere. La moneta è un flusso, è una forza, un flusso creato istantaneamente dalle banche, dice Deleuze. Creato ex nihilo, dal niente, a partire dal niente, mero sintomo differenziale, forza, polemica, eccetera. Invece di trasmettere una moneta che derivi da una precedente vendita, dunque che compri dopo (dopo) aver venduto, la banca – la banca centrale, ma anche le banche ordinarie, non dimentichiamo il loro potere di creare moneta derivata, la leva, eccetera -  la banca, dice Deleuze, scava all’estremità del corpo pieno una moneta negativa (debito iscritto nel passivo delle banche) e proietta all’altra estremità una moneta positiva (credito dell’economia produttiva sulle banche), flusso a potere mutante, pura disponibilità, potere di comandare – comando. C’è un attacco senza precedenti al marxismo tradizionale, all’idea di una sub-struttura economica la quale determina un sovra-struttura culturale, istituzionale, di comando, dove la forza è sempre commisurata a una sub-struttura. Dove il potere è sempre il potere economico – il potere che deriva dal luogo, dal suolo, dalla casa, dal proprio, dall’intimo. Qui il potere non deriva da un sottostante. Pensiamo ai titoli sub-prime e tutte quelle operazione che, a partita dalla fine degli anni Settanta, portano a quel fenomeno delle Securitisation che esplode nel 2008 con il caso Lehman Brothers. Pensiamo agli SVP (Special Purpose Vehicle), alla pratica di costruire società veicolo alle quali cedere crediti (palesemente inesigibili, perché senza un collaterale credibile). Società che, a loro volta, emettono titoli (Asset Bached Securities – Abs), titoli che sono venduti, e ai quali corrisponde il potere di far valere il pezzo di carta come comando, eccetera. Oppure pensiamo, sul versante opposto, alle richieste di Basic Income, al diritto di poter mettere le mani su un denaro al quale non corrisponde una vendita di forza-lavoro, a un denaro e dunque a un reddito che non derivino più dal lavoro.

Si tratta di un’onda lunga che arriva sino ai nostri giorni, un’onda non minoritaria, una sorta di koinè polemologica, post-moderna, pensiero-debolista che subordina l’economico al polemico, la materia alla forza. È tutto un gioco di potere, tutto è potere. La metafora stessa del gioco diventa pervasiva. Una certa incapacità – impossibilità - di distinguersi deriva proprio da ciò, dal fatto che questo discorso sul potere diventa pervasivo, questo discorso sulle banche e sul denaro, denaro usato come arma in una lotta di potere, o della lingua usata come mezzo di potere – i suoi effetti performativi, la narrazione e tutte le pugnette americane dello speech act, eccetera - della scienza come potere, della medicina come potere di controllo, eccetera, tutto ciò diventa il brodo comune, comunemente accettato e socialmente convalidato, nel quale abbiamo sguazzato fino all’altro ieri. Non senza ragione, e non senza cortocircuito melanconico, lavoro del lutto, con le sue fasi di esaltazione e mania di grandezza, le fasi di denegazione e cospirazione, eccetera, una sopravvalutazione del potere dei propri desideri e atti psichici, l’onnipotenza dei pensieri, una fede nella virtù magica delle parole, la ricerca di un sostituto del padre, quando, per esempio, si chiede cosa ci sia sotto la produzione del vaccino, cosa ci sia sotto la produzione della moneta, cosa ci sia sotto la produzione del software. Cosa volete che si sia? Avete ucciso il padre. Non c’è più niente. Non c’è sub-strato. C’è solo la cospirazione, la ricerca estenuante, senza termine, il lavoro del lutto, l’ironia, la suspance, come nei libri di mille pagine di Pynchon, come in Twin Peaks di David Lynch e in tutti i suoi cloni, da X File a Lost, c’è solo questo Nome – Potere - al quale corrisponde la nostra ossessione. Siamo cresciuti con le serie televisive, siamo cresciuti con l’esigenza del capitale di continuare la serie oltre ogni limite, una puntata in più, una puntata ancora, un’altra dose, purché sia, purché si vada avanti – la cura come malattia o la malattia come cura. L’irruzione dell’omeopatia e dell’agopuntura nella farmacia. La tisana al posto della penicillina. Il dollaro al posto della sterlina.

Le donne, i giovani, persino i bambini, entrano nella storia come protagonisti. Il loro discorso non è più subordinato a quello del padre, della famiglia, della casa, dell’economia.
Dell’opposizione di classe, che vede il lavoro contrapposto al capitale, si mantiene solo l’elemento polemico, lo scontro, il conflitto. Questo salvataggio del conflitto, a scapito del lavoro, si ritrova un po’ dappertutto. Persino economisti rispettabili, pienamente inseriti nell’accademia, penso ad Augusto Graziani, ma affini al marxismo, sono sedotti da questo discorso del potere. Negli anni Settanta Graziani comincia a formulare una teoria economica – Circuitismo – che avrà un corrispettivo in Francia – Circuitistes – e una discreta fortuna internazionale, trovando, in tempi più recenti, un ‘eco nella teoria Monetaria Moderna. Questo indirizzo ha al centro l’idea di due monete, una moneta pop, usata per gli scambi della gente comune, e una moneta Hard (sexy, fallica, teo-cratica), una moneta fiduciaria, utilizzata dall’industria per comandare il lavoro. Una moneta basata su niente, senza sub-strato, se non la fiducia che si ha nel suo potere, il credito riconosciuto al suo potere – potere della banca centrale di decidere cosa si produce e chi produce. In un intervento a un convegno organizzato a dall'Istituto Gramsci a Roma nel 1983 Graziani dice: del marxismo butterei via tutto, il neoclassicismo è sicuramente più sofisticato, meglio dotato di strumenti analitici. Del marxismo salverei solo la lotta, il conflitto – l’elemento polemico. Lo dice a un convengo dove sono raccolti i maggiori economisti italiani dell’area del dissenso - c’è pure Tronti. Del vecchio Marx si ritiene valido solo l'aspetto polemico, conflittuale, post-moderno. Il lavoro viene costretto all’angolo. Il potere non passa per il lavoro e per le lotte laburiste, sindacali, eccetera. Il potere passa per le banche, per la finanzia, per chi crea moneta, eccetera. Il discorso lo conosciamo bene, è diventano il pane quotidiano del blablabla televisivo. 

L'opposizione non è tra capitale e lavoro, dice Deleuze. L’opposizione è altrove. L'opposizione è tra la classe e i fuori-classe; tra i servi della macchina, i capitalisti, e quelli (gli autonomi) che la fanno saltare o fanno saltare i congegni; se vogliamo, tra i capitalisti e gli schizo. E gli schizzo sono gli autonomi, sono la fine dei partiti comunisti occidentali, la fine dell’unione sovietica, la contestazione giovanile, i capelloni, il partito di Pannella, il femminismo e i fumatori di canne, la lotta continua e il potere operaio, i furti nei supermercati, il rock e il pallone, la medicina alternativa, l’echinacea, yoga, Kundalini, Amaroli, lo stato assistenziale con il suo carico di lavori inutili e di supponenza amministrativa, Marrakech Express e Mediterraneo, eccetera. Il denaro rappresenta la mobilità del capitale, la sua libertà di comando, dice Negri a un seminario all’École Normale Supérieure, nel 1978. Dunque, sbagliano i russi, e sbaglia Vygodskij, sbaglia Rosdolsky, sbagliano tutti i vecchi baffoni del partito comunista italiano e della sinistra comunista extra-parlamentare quando vogliono, per esempio, sottomettere i Grundrisse al Capitale e leggere i Grundrisse, non a partire dalla differenza, ma a partire dal valore capitale della legge: legge della caduta tendenziale, legge valore-lavoro, legge della composizione organica e del profitto, eccetera. Non ci sono leggi. Ci sono solo tendenze, ci sono forze che si sormontano, che si muovono, che si affrontano, ci sono amici e ci sono nemici, tutto diviene, e tutto deriva da questo scontro. Lo scontro è tutto. L’opposizione è tutto. La politica è tutto. E robe di questo genere, di cui, oggi, francamente, abbiamo piene le scatole e che non ci dicono più nulla su chi siamo, su dove andiamo, su chi guadagna un salario, e chi un salario non ce l’ha, si chi accumula fortune e chi accumula disperazione.




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Leo Essen

Leo Essen

Ha studiato all’università di Bologna con Gianfranco Bonola e Manlio Iofrida. È autore di Come si ruba una tesi di laurea (K Inc, 1997) e Quattro racconti al dottor Cacciatutto (Emir, 2000). È tra i fondatori delle riviste Il Gigio e Da Panico. Scrive su Contropiano e L’Antidiplomatico.

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