Escalation nucleare possibile? Cosa rischia l'Europa

Escalation nucleare possibile? Cosa rischia l'Europa

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 «La deterrenza è l'arte di creare nell'animo dell'eventuale nemico il terrore di attaccare».

Il Dottor Stranamore di Stanley Kubrick



di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico

 

Probabilmente è giusto sostenere la tesi che quando si scontrano due o più potenze nucleari, anche attraverso stati proxy, è già in corso una crisi nucleare. Questa visione è ancora più corretta nel caso in cui una o entrambe le parti in conflitto dotate di armi nucleari rischino la propria integrità sia dal punto di vista territoriale, o dal punto di vista dello status internazionale, o dal punto di vista del collasso delle istituzioni statuali o ancora, rischino il collasso economico e sociale.

Sfortunatamente nel conflitto in corso nell'est Europa che vede contrapporsi USA, Nato e Ucraina da un lato e Russia dall'altro, ad essere in gioco sono elementi fondamentali come appunto la sicurezza territoriale, economico-sociale e istituzionale dei paesi coinvolti. Pertanto questa crisi sin dal primo momento della sua deflagrazione era da ritenersi – almeno potenzialmente – come una crisi nucleare.

Bisogna ammettere che, sotto questo particolare e fondamentale aspetto, sostanzialmente tutti i commentatori e gli esperti di relazioni internazionali e di warfere hanno sottovalutato i rischi. Non lo stesso però, si può dire dei decisori di una parte e dell'altra, che avevano, già da allora, ben chiaro a cosa il mondo rischia di andare incontro.  Si può sostenere questo perché già sin dai primi giorni dopo l'inizio dell' “Operazione Militare Speciale” in Ucraina gli americani e la Nato avevano iniziato a far filtrare nei mass media il dubbio che i russi potessero usare un arma nucleare tattica come forma di deterrenza preventiva (escalate to de escalate) ovvero, far vedere all'avversario la volontà di procedere con qualunque mezzo necessario e dunque, in definitiva, intimidirlo con la propria deterrenza.

Che questa visione non fosse sbagliata lo si può dire anche sulla scorta di ciò che accadde il 27 Febbraio 2022, quando Putin di fronte alla telecamera ordinò al Ministro della Difesa Sergey Shoigu e al Capo di Stato Maggiore Valery Gerasimov di porre in "regime speciale di servizio da combattimento"le forze di deterrenza delle forze armate russe (comprendenti anche le armi nucleari), con la motivazione che «i Paesi occidentali non stanno solo intraprendendo azioni ostili contro il nostro Paese nella sfera economica, intendo quelle sanzioni di cui tutti sono ben consapevoli, ma anche gli alti funzionari dei principali Paesi della Nato fanno dichiarazioni aggressive contro il nostro Paese».

Da quel momento è stato un lento ma inesorabile innalzamento del rischio di scontro nucleare tra USA-Nato e Russia; credo potremmo parlare di bradisismo nucleare in corso dove, mutatis mutandis, il magma nucleare presente nella caldera del conflitto preme verso l'alto aumentando il rischio dello scontro nucleare.

Da parte russa i momenti certamente fondamentali di questa escalation del rischio nucleare sono stati oltre alla messa in stato di “pronti al combattimento” del deterrente nucleare del 27 Febbraio 2022, il trasferimento di armi nucleari tattiche in Bielorussia  avvenuto a partire dalla prima metà del 2023 e le esercitazioni con armi nucleari tattiche in Russia ma al confine con l'Ucraina iniziate nella seconda metà di Maggio di quest'anno e tutt'ora in corso.

Anche gli americani e la Nato non sono comunque rimasti imbelli ad osservare le mosse dei russi. Fin da subito hanno riportato in Europa i bombardieri strategici con capacità nucleari B-52, hanno poi riportato anche i bombardieri B-2 e soprattutto hanno concesso agli ucraini armi con capacità nucleari (anche se solo potenziali) quali i missili britannici Storm-Shadow o gli SCALP franco-italiani. Stesso discorso va fatto  per la (finora) promessa di consegna di cacciabombardieri F-16 all'Ucraina da parte dei paesi Nato: si tratta di aerei – come notammo fin da subito – omologati per il trasporto di bombe nucleari tattiche e infatti lo stesso Sergey Lavrov ha detto che una volta in volo sui cieli ucraini saranno considerati da Mosca come una potenziale minaccia nucleare. Infine va ricordato che la Polonia ha fatto richiesta alla Nato per dislocare sul proprio territorio e dunque al confine con Russia e Bielorussia, di armi nucleari con doppia chiave, ovvero attivabili solo con l'assenso del paese ospitante (nel caso la Polonia) e del proprietario dell'arma (gli USA  e/o la Nato).

Va inoltre chiarito che la postura nucleare degli USA e della Nato è da molti anni (ben prima che iniziasse il conflitto in Ucraino)  molto aggressiva soprattutto nei confronti di Mosca.  Infatti già da anni è attivo lo scudo antimissile Nato in Europa, composto da un sistema radar di allarme precoce in Turchia e da due batterie terrestri, una nella base rumena di Desevelu in Romania e l'altra Redzikowo in Polonia (molto vicina all'enclave russa di Kaliningrad) oltre a tutte le batterie antimissile presenti nelle flotte dei paesi Nato e dunque mobili per definizione. Uno scudo antimissile che ha sin da subito fatto infuriare i russi, non solo perché ha la funzione di abbattere i missili a corto e medio raggio russi ma anche perché le batterie possono anche essere utilizzate come strumento di offesa se caricate con missili da crociera.

Inoltre a partire dal 2015 gli USA hanno deciso di sostituire le vecchie bombe nucleari aviolanciate con le bombe nucleari, sempre aviolanciate, di nuova concezione B61-12. Si tratta di strumenti “filosoficamente” pericolosissimi perché consentono di regolare la potenza dell'esplosione da un minimo di 0,3 chilotoni fino ad un massimo di 50 chilotoni e conseguentemente potrebbero essere usati quasi come delle bombe convenzionali. A tale proposito segnalo una bella intervista al Generale Fabio Mini nella quale illustra che nella visione Nato le bomba nucleari tattiche sono da considerare come semplici armi convenzionali e sono infatti nella piena disponibilità del SACEUR ovvero del comandante militare della Nato, che – per inciso - è sempre un americano, al momento il Generale Christopher Cavoli.

In questa situazione già, di per sé, incandescente - sebbene taciuta da quasi tutti i commentatori - si sono verificati, negli ultimi giorni, nuovi episodi della massima gravità che dovrebbero porre in stato di allarme qualsiasi persona dotata di senno.

Innanzitutto l'accusa del Portavoce del Pentagono Patrick Ryder secondo la quale: «La Russia ha lanciato un satellite in orbita terrestre bassa che riteniamo sia probabilmente un'arma anti-spaziale, presumibilmente in grado di attaccare altri satelliti in orbita terrestre bassa». Si tratta di un'accusa gravissima perché precluderebbe agli USA (se utilizzata) la possibilità di individuare l'eventuale lancio di missili nucleari contro il proprio territorio, e quindi di fatto renderebbe possibile un first strike che paralizzi il paese rendendo impossibile una rappresaglia credibile. Va detto, che i russi, consci della gravità dell'accusa, hanno smentito la cosa con parole molto ferme del vice ministro degli Esteri Sergey Ryabkov.

Smentita che non è stata sufficiente, visto che venerdì scorso - manco a farlo apposta - dei droni ucraini hanno attaccato le strutture dell'antenna del radar di allarme rapido Voronezh-DM vicino ad Armavir, nella regione di Krasnodar. Si tratta di un atto gravissimo che rende vulnerabile la rete di radar russi destinati ad individuare l'arrivo di missili strategici verso il paese. Va anche detto che, secondo la dottrina russa, simili attacchi sono da considerarsi di tipo strategico perché tendenti a rendere inoffensivo il deterrente nucleare. Peraltro sono esattamente le stesse considerazioni che fanno gli americani se qualcuno minaccia i loro satelliti  di allarme precoce. A questo punto, pare inutile sottolineare, che gli ucraini nel loro scellerato attacco hanno agito su ordine di qualcun altro visto che Kiev non ha disponibilità né di armi nucleari, né di vettori adeguati al loro utilizzo.

A noi non rimane altro che considerare come, secondo gli esperti, qualunque guerra nucleare inizia proprio dal tentativo di accecare il sistema di allarme precoce del nemico. Non c'è molto altro da aggiungere, se non sperare che nessuno faccia mosse sbagliate o ambigue che vengano male interpretate dal nemico.

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Giuseppe Masala

Giuseppe Masala

Giuseppe  Masala, nasce in Sardegna nel 25 Avanti Google, si laurea in economia e  si specializza in "finanza etica". Coltiva due passioni, il linguaggio  Python e la  Letteratura.  Ha pubblicato il romanzo (che nelle sue ambizioni dovrebbe  essere il primo di una trilogia), "Una semplice formalità" vincitore  della terza edizione del premio letterario "Città di Dolianova" e  pubblicato anche in Francia con il titolo "Une simple formalité" e un  racconto "Therachia, breve storia di una parola infame" pubblicato in  una raccolta da Historica Edizioni. Si dichiara cybermarxista ma come  Leonardo Sciascia crede che "Non c’è fuga, da Dio; non è possibile.  L’esodo da Dio è una marcia verso Dio”.

 

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