Cina. Lo sguardo di Nenni e le sfide di oggi

Cina. Lo sguardo di Nenni e le sfide di oggi

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di Leandro Cossu - La Fionda

Sembrerebbe che il moto della translatio imperi, esaurita la supremazia politica, economica (e si spera presto militare) degli Stati Uniti d’America, sia in procinto di interrompersi per sempre, lasciando il posto a un mondo multipolare in cui più stati possano offrirsi virtuosamente come poli egemonici. In questo scenario trovano naturalmente un ruolo da protagonista Federazione Russa e, naturalmente, Repubblica Popolare Cinese. Proprio con quest’ultima è altamente probabile uno scenario di Guerra fredda tra Stati Uniti e Cina; le irriducibilità rispetto allo scorso conflitto sublimato tra USA e URSS richiederebbero quanto meno una riflessione sulle differenze storiche tra le due e sulle modalità con cui questo conflitto sarà esperito sia dalla Politica che nella quotidianità della popolazione. Fino a che punto può essere definito uno scontro ideologico, visto anche che a quarant’anni dalle riforme di Deng (di cui mancano in italiano biografie significative o raccolte di scritti e discorsi) la stragrande maggioranza di intellettuali e giornalisti nostrani continua a ignorare o a non aver capito la portata. Per questo è necessaria della letteratura critica che, al netto della propria simpatia ideologica per l’argomento trattato, consenta al lettore di avere una visione organica sulla storia, la politica e l’economia cinese.

È uscito da qualche mese Cina. Lo sguardo di Nenni e le sfide di oggi del già ambasciatore a Pechino Alberto Bradanini, pubblicato dalla Anteo Edizioni. Come dice il sottotitolo, il libro consta di due sezioni: da una parte, il resoconto dei due viaggi che Nenni compie in Cina in due anni, nel 1955 e nel 1971; nella seconda parte, verrebbe da dire quasi come se fosse un terzo viaggio ideale di Nenni, viene ritratta la Cina contemporanea sia negli aspetti ideologici e politici interni, sia in chiave geopolitica: un paese che è contemporaneamente continente, ideologia e civiltà, e che ha trovato il suo equilibrio riflessivo pur nella contraddizione. L’ammiratore della Repubblica Popolare non troverà una piatta agiografia, come il detrattore non troverà conferma delle accuse sobillate dal coro monocorde dei media – a proposito delle libertà di stampa dei “regimi”. Chi affronterà la lettura del saggio di Bradanini avrà in mano un approccio critico, analitico, tematizzante della RPC scritto da un uomo che in Cina ha vissuto e lavorato, e che sa come collocare e interpretare certe dinamiche alla luce del mutevole e mutato contesto globale. Fa abbastanza impressione leggere il resoconto di un politico italiano che, seppur in due momenti storici distinti (il primo quando aveva ancora incarichi pubblici negli anni della guerra di Corea, il secondo senza cariche nell’epoca della diplomazia del ping-pong e della rottura irreversibile con l’Unione Sovietica) vede nella Cina, al netto delle irriducibilità culturale, una fonte di confronto dialettico, reciproca stima intellettuale e ispirazione politica, visto anche il grado di preoccupante conformismo e blaterante banalità con cui la sinistra elitaria che ci ritroviamo, a cui sono dedicate delle pagine di fuoco, guarda alla RPC.

Questa tendenza a usare il liberal-parlamentarismo come unico parametro di valutazione del mondo porta a delle vere e proprie storture interpretative nei confronti del modello cinese. A un certo punto Bradanini Molte delle torsioni che l’Occidente identifica nella Repubblica Popolare sono, a ben guardare, torsioni dell’Occidente stesso, proiettate in una dimensione altra e miticamente associata a satrapie despotiche e autoritarie. La cifra della vis polemica dell’ambasciatore Bradanini è ribaltare totalmente questo approccio: cosa pensa l’occhio critico e cosciente dell’osservatore cinese guardando e all’Europa (continentale o politicamente unificata nell’UE) e all’Italia stessa. Il giudizio che ci viene restituito di entrambe è duro. L’Unione Europea e relativi stati sono visti con sufficienza come “costole afone dell’impero atlantico”, con dei gravi vulnus democratici, da un parlamento che non legifera, succube di politiche eterodirette dalle esigenze del capitalismo finanziario con una classe dirigente sostanzialmente sprovvista di reale potere e soprattutto, incurante dei danni sociali che le politiche di privatizzazione e precarizzazione hanno portato negli ultimi tre decenni. In Cina, questo non è tollerato, in quanto “il motore è istituzionalmente situato nella sfera politica e per tale ragione ontologicamente refrattaria a lasciarsi soggiogare dal corporativismo privato su cui si regge l’impalcatura economica occidentale” [1]

Anche il giudizio sull’Italia non è da meno[2]. Suddita e non semplice alleata dell’impero atlantico, ha visto negli ultimi trent’anni l’appiattimento della classe dirigente verso il cosmopolitismo delle elite[3]dell’ordoliberalismo dei trattati europei, che in nome di un sedicente spirito teleologico all’unificazione politica (orchestrato dalla RFT) ha portato a un tradimento sostanziale della Costituzione nella misura in cui questa dovrebbe prevedere piena occupazione, centralità del lavoro e welfare pubblico. Molta della retorica di cui spesso si ammantano le relazioni bilaterali tra i due paesi (richiami alla storia millenaria, via della Seta, Matteo Ricci e simili) altro non è che un segnaposto formale con cui ammantare relazioni diplomatiche e scambi commerciali, nel nostro caso, eterodiretti.

Bradanini rileva fin dall’inizio del libro che la Cina storicamente ha rigettato pretese universalistiche o, nel caso dell’opera e del pensiero di Mao, internazionaliste. Approccio che, insieme ad altre concause (split sino-sovietico del 1960; le già citate riforme di Deng; irriducibilità dell’impostazione orientale e intrinsecamente confuciana) ha sicuramente allontanato il senso comune dall’identificazione della Cina come stato socialista. Lo stesso Bradanini è scettico a riguardo. Quando parla dell’evoluzione dei paesi socialisti a seguito dei fatti del 1989, scremandoli in tre categorie distinte (dissoluzione del modello socialista; rimodulazione mascherata del comunismo in capitalismo; residuo impossibilitato a guida egemonica)[4] non esita a inserire la Cina all’interno della seconda categoria, evidenziando più di una volta alcune criticità fattuali e ideologiche sintomatiche di una transizione de facto al capitalismo, superata l’esperienza maoista. Gli stessi successi economici della Repubblica Popolare, dallo sviluppo delle forze produttive all’uscita della povertà (o come preferisco dire io entrata nella Storia) di 800 milioni di poveri assoluti nell’arco di 40 anni avrebbero in realtà poco a che fare con lo spirito comunista inteso in quanto comunità universale di libere individualità. Vi è sicuramente una influenza di Costanzo Preve, più volte citato all’interno del testo, in questa interpretazione del marxismo in chiave idealistica[5] che nega l’essenza comunista della Cina contemporanea. Validi nomi, tra cui gli italiani Domenico Losurdo e Vladimiro Giacché, autore di un notevole contributo sul tema[6] la pensano diversamente. Sarà quindi interessante vedere come si configurerà la situazione da qui al 2049, anno in cui si prevede il raggiungimento dello “stadio primario del socialismo”: se quindi avverrà l’inesorabile scivolamento (per alcuni semplicemente relativa presa di coscienza del fatto avvenuto) verso il capitalismo, o se la sintesi tra teoria e prassi addotta per giustificare il “socialismo di mercato” supererà le macroscopiche e affascinanti contraddizioni di un paese che già adesso si pone come alternativa nel nascente mondo multipolare.

“Per il momento, almeno per chi scrive, è sufficiente che sopravviva il sogno che un’alternativa è possibile.” [7]


[1] Bradanini, cit., p. 55

[2] Bradanini, cit., p. 81

[3] Bradanini, cit., p. 101. In un recente saggio, La metamorfosi (Laterza 2021) Luciano Canfora chiama tutto ciò con una definizione consimile “l’internazionalismo dei benestanti”

[4] Bradanini, cit., p. 91

[5] Bradanini, cit., p. 107

[6] Vladimiro Giacché, Leconomia e la proprietà. Stato e mercato nella Cina contemporanea, in Aa.Vv., Più vicina. La Cina del XXI secolo, a cura di P. Ciofi, Roma, Bordeaux, 2020, pp. 11-71, consultabile qui

[7] Bradanini, cit., p. 93 e seguenti

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