Assalto a Capitol Hill, documenti FBI e la domanda a cui la Pelosi non risponde

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Assalto a Capitol Hill, documenti FBI e la domanda a cui la Pelosi non risponde

Trump ha schivato anche il secondo impeachement: il Senato ha votato contro la richiesta avanzata dai democratici. Tutto è andato come si prevedeva: i democratici speravano che se non tutti, almeno la maggioranza dei repubblicani accedesse alla loro richiesta, ma non è andata così.

Un voto politico certo, che palesa come il Great Old Party abbia bisogno dei voti dei  sostenitori di Trump, ma politico era anche il procedimento in questione, che intendeva addossare a Trump la responsabilità dell’assalto a Capitol Hill, mentre egli, in realtà, aveva solo organizzato una manifestazione per protestare contro gli asseriti brogli elettorali (sui quali il suo partito aveva preparato un dossier che doveva essere presentato e discusso quel giorno, prospetto annullato dopo l’assalto).

 

La domanda di Graham

Il giorno prima del voto assolutorio il più accanito sostenitore di Trump, il senatore Lindsey Graham, aveva posto una domanda alla più accanita avversaria del presidente, Nancy Pelosi, riprendendo un documento dell’Fbi che spiegava come il Boureau avesse avvertito per tempo le autorità del pericolo di gravi incidenti.

Una domanda irrispettosa, la sua, dato che aveva chiesto allo speaker della Camera se ella fosse nel novero delle autorità in questione (Newsweek). Irrispettosa, ma anche ragionevole che, pur non assolvendo gli “assaltatori”, per i quali Graham ha auspicato la prigione, poneva la questione principe di questo giallo: come mai nessuno, pur avvertito del pericolo, ha preso provvedimenti?

Indirizzare tale domanda a una persona specifica, la Pelosi, e non a tutti gli esponenti democratici, anch’essi parte delle “autorità” in questione, aveva un fondo di malizia, implicitamente ricordando nel Congresso la strana visita “turistica” del genero della Pelosi, immortalato in una foto scattata poco prima dell’assalto accanto allo strano sciamano che di lì a poco avrebbe lanciato la sua sfida al mondo dal seggio dell’augusta suocera (vedi Piccolenote).

La domanda non ha avuto risposta. Resta, coincidenza, che il giorno successivo le autorità della Georgia hanno annunciato che avrebbero indagato, in parallelo a Trump, anche Graham nel procedimento aperto in loco per le asserite ingerenze indebite dei repubblicani per ribaltare l’esito delle elezioni (sul punto vedi anche Piccolenote).

Si tratta di uno dei tanti procedimenti ai quali Trump  andrà incontro nella sua nuova veste di oppositore politico, dato che i suoi nemici non gli daranno tregua finché non lo vedranno morto politicamente (per precauzione si è trincerato nella sua residenza-fortino di Mar-a-lago, in Florida).

Sull’assoluzione di ieri, un significativo corollario: lo speaker dei repubblicani al Senato, Mitch McConnell, avrebbe detto a Trump che se avesse concesso la grazia al fondatore di wikileaks Julian Assange, che tanti invocavano, il procedimento di impeachment avrebbe avuto esito nefasto. Bizzarrie dell’America liberale che sta mettendo sotto processo un asserito dittatore…

Va segnalato, infine, che l’esito del procedimento è in linea con quanto aveva affermato (auspicato?) Joe Biden quando era iniziato, prevedendo l’esito favorevole a Trump.

Singolare convergenza degli opposti, avevamo segnalato nelle nostre note, confermata oggi da un articolo del National Interest dal titolo: “Il vero vincitore del procedimento di impeachment contro Trump è Biden”. Tesi confermata nel sottotitolo: “A parte Donald Trump, nessuno è probabilmente più felice di Joe Biden che il processo si sia concluso rapidamente”.

Secondo il NI Biden vuol voltare pagina, abbandonando la battaglia e la retorica anti-trumpiana per concentrarsi sulle cose da fare. La nostra tesi, che Biden ha bisogno di Trump per frenare i neocon, resta indicibile. Così non la reiteriamo neanche noi, rimandando a una nota pregressa.

 

Decessi a catena nella sicurezza di Capitol Hill

La controversia sull’assalto a Capitol Hill è destinata a durare. Sulle tante domande inevase riguardo l’accaduto abbiamo scritto molte note. Ci torneremo a tempo debito, accennando in questa sede solo a un altro mistero che vi aleggia e che riguarda la morte di tre agenti di polizia in servizio in quel giorno fatidico.

Il primo,  Brian D. Sicknick , è morto a causa delle “ferite” riportate negli scontri, questo almeno il report ufficiale riferito dai media, con la specifica che sarebbe stato colpito con un “estintore”.

Alcuni giorni fa si è scoperto che sul suo corpo non è stata riscontrata alcuna ferita ed è ancora ignota la causa del decesso: forse una reazione allergica causata dall’inalazione di uno spray al peperoncino, usato anche dalla polizia (come specifica il New York Times) o di uno spray per orsi.

Non si tratta di derubricare la violenza di quel giorno a un’allegra scampagnata, solo evidenziare il mistero su un decesso che ancora oggi, a distanza di più di un mese – tempo più che bastevole per un referto autoptico approfondito -, resta tale. E la registrazione di un errore tanto madornale, quanto così sbalorditivamente dettagliato, dell’informazione ufficiale.

Il mistero della morte dell’agente Siknik si aggiunge quello relativo ad altri due agenti di polizia che prestavano servizio quel giorno: gli agenti Jeffrey Smith e Howard Liebengood, infatti, si sono tolti la vita pochi giorni dopo l’assalto, si dice a seguito del trauma psicologico (Washington Post).

D’altronde dall’assassinio di Martin Luther King a quello di John Fitzegarald Kennedy, fino ad arrivare all’11 settembre 2001, i grandi traumi americani ci hanno abituati a un corollario di misteri rimasti inevasi…

 

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