Venezuela nel mirino: la narrazione che assolve gli USA

Quando l’escalation militare non si chiama più aggressione

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Venezuela nel mirino: la narrazione che assolve gli USA


di Fabrizio Verde

C’è una parola che improvvisamente è scomparsa dal lessico dei media occidentali: aggressione. Dal 2022 al 2024 la stampa e la diplomazia russofoba euro–atlantica hanno ripetuto quotidianamente lo schema binario Ucraina aggredita, Russia aggressore. Era la visione unica, assoluta, obbligata. Non c’erano sfumature, esisteva solo un mantra ripetuto ossessivamente: ci sono un aggressore e un aggredito.

E tuttavia, quando gli Stati Uniti dispiegano nel Mar dei Caraibi bombardieri B-1, portaerei nucleari, sottomarini d’attacco e flotte navali a pochi chilometri dalle acque territoriali venezuelane, e quando - secondo le stesse autorità statunitensi - conducono quasi venti attacchi contro piccole imbarcazioni uccidendo più di settanta civili, allora lo schema morale improvvisamente scompare. Non più aggressore e aggredito, ma un vago, rassicurante invito a “ridurre le tensioni”, come se Caracas e Washington fossero due attori simmetrici, due metà equivalenti di un conflitto costruito a tavolino, due soggetti entrambi responsabili.

È esattamente questa la denuncia lanciata dal Governo Bolivariano, nelle parole dure e lucidissime del rappresentante venezuelano all’ONU, Samuel Moncada, che ha definito le dichiarazioni della portavoce ONU Stéphane Dujarric una “immorale equiparazione”. Secondo Moncada, la narrazione che mette sullo stesso piano un paese che difende la propria sovranità e una superpotenza dotata del più grande complesso militare del pianeta non è solo distorsione: è complicità diplomatica. La domanda che emerge è quindi inevitabile: perché quando l’esercito russo si muove in Ucraina si parla ossessivamente di aggressione, mentre quando gli Stati Uniti posizionano un arsenale offensivo alle porte del Venezuela si parla di “equilibrio”, “contenimento”, “operazioni di sicurezza”?

Il caso Venezuela non è un’eccezione: è il paradigma. Il mainstream informativo occidentale applica due pesi e due misure senza mai ammetterlo. L’Occidente dice di difendere un “ordine basato sulle regole”, ma quelle regole diventano flessibili a seconda dell’angolatura geopolitica della questione. Lo stesso António Guterres, come ricordato da Moncada, avrebbe giustificato le dichiarazioni della sua portavoce definendole una “risposta diplomatica standard”. Ma se la standardizzazione consiste nel de-responsabilizzare la superpotenza e nel rendere equivalente la vittima all’aggressore, allora è il concetto stesso di diplomazia a svuotarsi.

A oggi, non è il Venezuela a dispiegare bombardieri strategici nel Golfo del Messico. Non è il Venezuela a condurre operazioni extraterritoriali con morti civili. Non è il Venezuela a esercitare un blocco economico unilaterale paralizzante contro Washington. È, al contrario, la tracotante potenza imperialista statunitense a militarizzare il Mar dei Caraibi con mezzi offensivi, a dichiarare “obiettivi legittimi” anche imbarcazioni civili e a mantenere un regime di sanzioni riconosciuto da varie agenzie internazionali come economicamente devastante e indubbiamente contrario al diritto umanitario. La sproporzione è evidente, e Moncada lo ricorda nella sua lettera consegnata a Guterres quando afferma che non è la Repubblica Bolivariana di Venezuela a dispiegare un sottomarino nucleare davanti alle coste degli Stati Uniti. E tuttavia, la narrativa occidentale rifiuta di nominare il fatto essenziale: la proiezione di potenza statunitense non viene mai classificata come aggressione.

Il problema è più profondo della sola relazione tra USA e Venezuela. La geografia morale dei media occidentali è gerarchica: le azioni degli avversari geostrategici sono sempre aggressioni, mentre quelle delle potenze occidentali diventano “operazioni”, “missioni”, “pressioni”, “deterrenza”. Il linguaggio è un’arma strategica che seleziona la realtà, crea la cornice narrativa e decide chi ha diritto alla legittimità e chi no. E una volta stabilita la cornice, la politica segue docilmente. Così, mentre Mosca è “aggressore” per definizione, Washington non può mai esserlo; al massimo può “esagerare”, “rispondere”, “prevenire”. Il Venezuela, come molti altri paesi del Sud Globale, viene demonizzato a priori. Mentre nei confronti del presidente bolivariano Maduro viene applicata la classica reductio ad Hitlerum per giustificare azioni di forza volte a disarcionare il brutale 'tiranno'.

L’episodio tra ONU, USA e Venezuela non è solo una questione di diplomazia: è un sintomo dell’agonia dell’ordine unipolare. Oggi più che mai, i paesi del Sud Globale rivendicano parità narrativa, non solo parità giuridica. Il Venezuela riafferma la sua 'Diplomacia Bolivariana de Paz', ma denuncia - a ragion veduta - che la pace è impossibile se i media e le istituzioni internazionali operano come amplificatori automatici della potenza dominante. Il mondo multipolare che avanza chiede una revisione radicale del paradigma: chi viola la sovranità altrui è aggressore, indipendentemente dalla bandiera che sventola sul timone di una portaerei.

La neutralità che l’ONU tenta di esibire non è neutralità: è normalizzazione della forza nelle relazioni internazionali. Mettere sullo stesso piano Venezuela e Stati Uniti non significa essere imparziali: significa occultare la realtà dei rapporti di potere. Il mainstream occidentale, lo stesso che gridava “aggredito vs aggressore” in Ucraina, tace oggi di fronte a una grave minaccia militare oggettiva contro un paese sovrano dell’America Latina.

 

Fabrizio Verde

Fabrizio Verde

Direttore de l'AntiDiplomatico. Napoletano classe '80

Giornalista di stretta osservanza maradoniana

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