"TURISTI A CASA NOSTRA". Tra le macerie invisibili del neoliberismo urbano

Vi pubblichiamo l'introduzione del volume.
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di Antonio Di Siena
C’è stato un tempo in cui la crisi greca sanguinava come una ferita aperta, visibile a occhio nudo.
Le immagini delle piazze in rivolta, gli anziani in lacrime fuori dalle banche, le borse in picchiata, le dichiarazioni della politica, i titoli dei giornali, i commenti nei talk show. Un'intera società sotto attacco, chiamata a rispondere. Una reazione incendiaria impossibile da nascondere.
Certo, era anche tutto pesantemente inquinato da una narrazione farsesca, orientata a mistificare la realtà per assolvere cause e mandanti. Ma – quantomeno – la crisi economica più devastante della giovane storia dell'Unione Europea, era qualcosa di tangibile, concreto. Qualcosa che esisteva.
Oggi quella stagione è passata. E la crisi greca – ufficialmente finita – ha lasciato il palcoscenico della storia contemporanea nascondendosi dietro le quinte della vita quotidiana. Diventando l'equivalente del gatto di Schrödinger: viva e morta contemporaneamente. Un fenomeno che esiste soltanto se lo osservi. Non devasta più con l'evidenza della sciagura collettiva, ma lavora in silenzio come un nido di termiti. Si insinua nei muri, nelle case, fino a corroderne le fondamenta dall'interno.
Una nuova crisi invisibile che non è più delle banche e dei mercati, ma che ha colonizzato le città, i quartieri e i suoi abitanti, facendosi austerità urbana.
Il punto di osservazione è Atene, città che ho attraversato molte volte, non da turista ma da testimone. Fino a creare con essa un legame speciale. Fino a sentirmi quasi come a casa. Città in cui, negli anni, ho costruito legami autentici e amicizie sincere: relazioni intese, discorsi seri, chiacchierate spensierate, serate indimenticabili, incontri casuali, passeggiate notturne in solitaria. Città che ho visto evolversi, sprofondare e – per certi versi – rinascere sotto nuove vesti. E mentre la osservavo cambiare si trasformava, paradossalmente, in qualcosa che già conoscevo: un fenomeno a cui assistevo in diretta anche altrove, in Italia.
La tesi di fondo di questo lavoro nasce da tale constatazione: non viviamo più nel tempo della crisi transitoria, destinata a concludersi con l'avvento di un nuovo ciclo economico favorevole. Ma in un'epoca in cui la crisi si è fatta sistema, in cui le profonde ferite che produce non sono emergenze ma nuova normalità. Una fase storica che vede imporsi un nuovo modello economico e di sviluppo, in cui il turismo e la precarietà sembrano operare come una sorta di welfare capovolto. Un dispositivo che ho definito welfare surrogato e, nella terza parte del libro, provo a delinearne il funzionamento.
Un cambiamento radicale che svuota i quartieri, disgrega le comunità, recide i legami personali, fagocita la memoria. E trasforma il diritto a vivere la città e le relazioni umane in pianta stabile, in un privilegio per pochi.
Per tale ragione ho deciso di scrivere questo libro. Per raccontare un passaggio di fase che non è un fenomeno esclusivamente greco, per nominare ciò che accade e non abituarmi al silenzio. E l'ho fatto per il tramite di vicende solo apparentemente scollegate: pignoramenti, aste, sfratti, turistificazione, rigenerazione urbana. Tutte parti di un unico meccanismo, intrinseco al modello neoliberista. Non casi esemplari, non eccezioni, ma epifanie. Luoghi e vite in cui la crisi si manifesta, rendendosi visibile proprio mentre cerca di nascondersi. Il lettore non ceda quindi all'apparenza, perché questo non è semplicemente un libro sulla Grecia. È un libro sull'Europa del Sud.
I luoghi che ho raccontato sono frammenti di Atene: case, strade, quartieri e persone in carne e ossa. Sono realtà e metafora al tempo stesso. Lo specchio in cui si riflette il destino di tante città mediterranee. L'esito ultimo di un processo che – a velocità variabili – è già in moto anche altrove: a Napoli, Siviglia, Marsiglia. Come anche a Bari, Catania, Palermo.
Per testimoniare questa mutazione profonda e rendere al meglio ciò che ho osservato e raccolto sul campo (indagine diretta, conversazioni informali, interviste), ho sentito il bisogno di cambiare stile e registro. Di una scrittura in grado di descrivere e al tempo stesso narrare, immergersi nel dettaglio, evocare immagini e atmosfere. Di restituire le voci autentiche di chi è definitivamente sparito dai radar della denuncia sociale, condannato a sopravvivere senza far rumore.
A volte ho utilizzato immagini forti e passaggi lirici, ben sapendo di assumermi un grande rischio. Il dolore può infatti trasformarsi in trauma porn, il lirismo diventare estetizzazione, trasformando la denuncia in formula di stile e la lotta in coreografia. Ne sono consapevole. Ciononostante, è un rischio che ho scelto comunque di correre, perché ciò a cui assistiamo oggi non si racconta più soltanto con la rabbia. Se con Memorandum, quindi, scrivevo un bollettino, oggi redigo un inventario. Non della crisi, ma del dopo. Di ciò che non si racconta più, di ciò che si è mimetizzato per farsi sistema e metodo di governo su larga scala.
Pertanto, Turisti a casa nostra, non è un reportage. E non è nemmeno un saggio narrativo. Ha l'ambizione di essere una mescolanza di tutto ciò: descrizione, racconto, narrazione, approfondimento e analisi tutto insieme. Un ibrido di cui ho tentato di lasciare una traccia minima nell'indice, offrendo al lettore una lente per interpretare le diverse sezioni.
Alcune pagine nascono con l'ambizione di avere portata generale, in modo che il lettore possa riconoscervi le stesse dinamiche della propria città, del proprio quartiere. Altre le ho immaginate per accompagnarsi a fotografie, musiche, installazioni e – perché no – camminate urbane.
Il desiderio ultimo di questo lavoro, infatti, è andare oltre il testo stesso, diventando parte di un progetto più ampio: visivo, sonoro, performativo. Non per decorare lo scritto, ma per restituire un'esperienza che la lingua, da sola, non riesce più a contenere. Non c'è una trama. Ogni capitolo è come una porta aperta su una stanza diversa dello stesso edificio che va in pezzi. Non ci sono eroi. Solo le voci di chi resiste, soltanto perché non ha ancora finito di crollare. E non c'è neanche un finale. C'è una città svuotata che continua a parlare a quanti hanno ancora voglia di ascoltare, senza illudersi. Questo libro è per loro.
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