Pirateria nei Caraibi: la guerra energetica USA contro il Venezuela
La crisi tra Stati Uniti e Venezuela ha subito un’accelerazione senza precedenti dopo il sequestro (leggi furto), da parte delle forze armate statunitensi, di un petroliera venezuelana nelle acque caraibiche. Caracas definisce l’episodio un atto di “pirateria internazionale” e un attacco diretto alla propria sovranità energetica, denunciando che Washington utilizza la narrativa della lotta al narcotraffico come semplice copertura per appropriarsi del petrolio venezuelano. Il presidente Nicolás Maduro ha accusato gli Stati Uniti di aver portato a termine un’operazione militare contro una nave civile, senza alcuna base giuridica e in violazione del diritto internazionale. Il governo venezuelano denuncia che l’episodio conferma la reale finalità dell’aggressione statunitense: non la difesa dei diritti umani né la lotta alle droghe, ma il controllo delle immense risorse energetiche del paese.
Un’accusa corroborata dal fatto che la stessa ONU e la DEA statunitense indicano che oltre l’80% del narcotraffico verso gli USA utilizza la rotta del Pacifico, non quella caraibica. La condanna non arriva solo dai tradizionali alleati di Caracas. Cina e Russia hanno denunciato l’operazione come una palese violazione delle regole del commercio internazionale e della libertà di navigazione. Pechino ha respinto come illegittime le sanzioni unilaterali USA contro petroliere anche di bandiera hongkonghese, ricordando che solo il Consiglio di Sicurezza dell’ONU può imporre misure restrittive. Mosca ha richiesto pubblicamente chiarimenti sulle motivazioni e sulle prove che avrebbero giustificato l’abbordaggio. Anche Messico, Brasile e Colombia hanno espresso preoccupazione per l'escalation militare statunitense nel Caribe, dove Washington mantiene da agosto un imponente dispositivo navale, formalmente inquadrato nella lotta al narcotraffico. Secondo fonti regionali, tuttavia, l’attività si è tradotta in bombardamenti contro imbarcazioni sospette, con decine di morti e senza evidenze che si trattasse realmente di traffici illeciti.
Parallelamente, Caracas ha presentato una denuncia formale all’Organizzazione Marittima Internazionale, sottolineando che l’attacco contro una petroliera impegnata nel trasporto di greggio costituisce una minaccia diretta alla libertà di navigazione e mira a sabotare il commercio energetico venezuelano. Il governo parla ormai apertamente di “strategia di cambio di regime” mirata a destabilizzare il paese per appropriarsi dei suoi giacimenti di petrolio e gas. Mentre cresce il sostegno diplomatico a favore di Caracas, Washington continua a minimizzare la portata dell’evento.
Tuttavia, l’episodio segna un precedente grave: per la prima volta una potenza occidentale ricorre apertamente alla forza militare per sequestrare risorse energetiche altrui, inaugurando quella che diversi osservatori definiscono una nuova fase imperialista nel Mar dei Caraibi. Il messaggio venezuelano, oggi rilanciato da Mosca, Pechino e da una parte crescente dell’America Latina, è chiaro: non si tratta di narcotraffico né di sicurezza regionale, ma di una disputa globale sulle risorse strategiche in un mondo sempre più multipolare.
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