Oltre la propaganda: il dialogo silenzioso tra Washington e Caracas
La conferma, arrivata a bordo dell’Air Force One, è stata tanto secca quanto strategica: “La risposta è sì”, ha detto Donald Trump ai giornalisti che chiedevano se avesse parlato con Nicolás Maduro. Nessun dettaglio, nessuna concessione alla curiosità mediatica. Ma quel “sì” basta per indicare una svolta: un canale diretto tra Washington e Caracas, aperto mentre nel Mar dei Caraibi si intensifica il dispositivo militare statunitense e cresce la tensione per le denunce venezuelane di esecuzioni extragiudiziali. Secondo il New York Times, il colloquio - avvenuto circa dieci giorni fa - è stato “corretto” nei toni. Maduro, intervenendo a Petare (quartiere di Caracas), ha confermato la versione: una conversazione “rispettosa e cordiale”, da pari a pari. Nessun ultimatum, nessuna retorica muscolare. E soprattutto, nessun elemento che giustifichi le ricostruzioni iperboliche della stampa occidentale, intenta da settimane a dipingere scenari di minacce imminenti o condizioni imposte unilateralmente dalla Casa Bianca.
Il presidente venezuelano ha rivendicato un approccio di diplomazia silenziosa, maturato negli anni da ministro degli Esteri di Chávez: “Quando ci sono cose importanti, in silenzio devono essere”. Una lezione che stride con l'abitudine di molti media a colmare l’assenza di informazioni con supposizioni utili solo a orientare l’opinione pubblica. La reazione del mondo politico venezuelano è stata durissima: Diosdado Cabello ha ridicolizzato la narrativa dell’opposizione e dei media occidentali, ricordando che nessuno conosce i contenuti reali della telefonata. Il contesto è però tutt’altro che disteso. Caracas denuncia l’“aggressione illegale” rappresentata dall’annuncio statunitense sul presunto “blocco” dello spazio aereo venezuelano e le 22 operazioni letali compiute dalle forze USA in mare aperto, che avrebbero causato almeno 83 morti dal 2 settembre.
Il Parlamento venezuelano ha avviato un’inchiesta, denunciando violazioni del diritto internazionale e dell’ONU. Washington, finora, non ha fornito prove che colleghino le imbarcazioni colpite al narcotraffico. Ma la telefonata, pur fragile e preliminare, rivela una dinamica più profonda: l’emergere di una diplomazia statunitense meno ideologica e più transazionale, in linea con la postura multipolare che l’amministrazione Trump sta costruendo su vari dossier. Se gli Stati Uniti possono negoziare direttamente con Mosca sul conflitto ucraino, possono anche aprire uno spiraglio con Caracas, soprattutto in un momento in cui la retorica dell’intervento militare coesiste con l’esigenza di ridurre conflitti e costi imperiali.
Maduro l’ha detto chiaramente: “Gli Stati Uniti sono stanchi di guerre eterne”. Ed è proprio questo il punto. In un mondo in cui le nuove potenze si affermano e il peso dell’Occidente si decentra, la Casa Bianca sembra consapevole che i vecchi paradigmi di isolamento e minaccia non funzionano più. La telefonata non annuncia un disgelo immediato, ma segnala un adattamento geopolitico: gli Stati Uniti trattano, anche con chi fino a ieri definivano “nemico”. La diplomazia del XXI secolo, quella che si muove sotto traccia mentre i media inseguono narrazioni prefabbricate, viaggia così: con conversazioni riservate, senza ultimatum, tra attori che comprendono di essere già dentro un ordine mondiale multipolare, che piaccia o meno a Washington.
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