Olocausto palestinese, un libro da leggere
di Patrizia Cecconi
“Olocausto Palestinese” è l’ultimo lavoro di Angela Lano, saggista, giornalista professionista, ricercatrice presso l’Università di Salvador de Bahia in Brasile e direttrice dell’agenzia di stampa InfoPal.it.
Il libro, con una pregevole prefazione di Pino Cabras e un’appendice giuridica curata da Falastin Dawoud, è pubblicato da Edizioni Al Hikma di Imperia. 191 pagine, 14 euro. L’intero ricavato dalle vendite andrà alla campagna “1000 coperte per Gaza”.
Il titolo, come precisa l’Autrice, è stato scelto prendendo esempio da “Olocausto Americano” dello storico David Stannard che fu tra i primi a svelare l’entità del genocidio dei nativi americani commesso dai buoni e civili cristiani europei. Un tema che Angela Lano affronta in particolare nell’ultima parte del suo volume, ma che fa da sfondo a tutta l’analisi del dramma vissuto dai palestinesi dal giorno in cui gruppi di europei di religione ebraica iniziarono il loro insediamento quali pionieri del progetto sionista. Un progetto coloniale e razzista basato sul suprematismo “bianco”, come si deduce dallo studio dei documenti e delle pubblicazioni che rappresentano i pilastri su cui poggia il sionismo e da cui emerge l’obiettivo di sostituirsi alla popolazione nativa utilizzando strumentalmente la leggenda biblica come fonte di un presunto diritto.
La Palestina, premette l’autrice, non è solo la fonte di un immenso dolore, ma è anche “il simbolo attuale di migliaia di anni di ingiustizie, di genocidi, di pulizie etniche in nome di una superiorità razzista e suprematista” che caratterizza la “civiltà” europea. La stessa che 500 anni fa iniziò quello sterminio dei nativi americani, indagato e descritto dal citato David Stannard. È a seguito del colonialismo d’insediamento che ha sterminato tra i 60 e i 100 milioni di indigeni che si sono formati i democratici Stati Uniti d’America, attualmente principali sostenitori del genocidio incrementale dei palestinesi che vede Israele come esecutore impunito.
Il genocidio, afferma l’Autrice ricordando vari genocidi della storia moderna e contemporanea, tra cui quello tedesco degli Herero e dei Nama conseguente alla spartizione dell’Africa, “non è solo una componente del colonialismo occidentale: ne è il suo fondamento, da sempre”. Quindi passa ad esaminare la drammatica situazione in tutta la Palestina definendo Gaza “il capolinea dell’umanità e della legalità internazionale” documentando ogni affermazione sulla base dei dati reali i quali, senza l’abile e servile ammortizzatore mediatico, avrebbero reso l’opinione pubblica immediatamente consapevole dell’essenza propria del progetto sionista, delle sue orripilanti pratiche disumane e della rete di complicità politiche, governative, finanziarie ed economiche che ne garantiscono l’impunità.
Le pagine, pur dense di dati, scorrono velocemente accrescendo nel lettore la consapevolezza che gli arresti arbitrari, le illegali e continue appropriazioni di terre, le stragi di innocenti, le orrende torture che ricordano il Cile di Pinochet, il sadismo mostrato con criminale fierezza dai militari dell’IDF, l’uccisione mirata di centinaia di giornalisti, sanitari e operatori umanitari, le proposte di legge di stampo nazistoide, il disprezzo per le massime istituzioni giuridiche sovranazionali e i loro rappresentanti, e la conseguente demolizione del Diritto internazionale, tutto quanto esposto pagina dopo pagina “non è un epifenomeno o una conseguenza accidentale dell’oppressione sionista” ma è la violenza propria, “radicata nell’ideologia del sionismo e una produzione sistematica delle mentalità colonialiste”. Ogni rigo ricorda che sarebbe un grave errore considerare le criminali azioni commesse dall’Idf in questi due anni come reazione all’azione armata del 7 ottobre 2023 denominata Al Aqsa Flood. Azione con cui la Resistenza della Striscia di Gaza mirava a catturare il maggior numero possibile di israeliani per poterli scambiare con i prigionieri palestinesi sottoposti a privazioni e torture nelle carceri sioniste. L’operazione, purtroppo necessariamente violenta, della Resistenza palestinese guidata dall’ala militare di Hamas, viene spiegata dall’Autrice con una schiettezza che, data la persecuzione attuale verso chiunque osi criticare Israele o, peggio ancora, spiegare le ragioni della Resistenza, è meritevole di essere definita assolutamente coraggiosa.
Scrive infatti Angela Lano che “Assaltando basi militari e kibbutz, i militanti palestinesi miravano a catturare il maggior numero possibile di soldati e civili israeliani” per liberare attraverso gli scambi le migliaia di palestinesi di ogni età arrestati e spesso rapiti dall’IDF in tutta la Palestina, ma spiega anche che “l’azione della Resistenza va intesa all’interno di un più ampio processo geopolitico internazionale: si tratta di una battaglia de-coloniale, di una ribellione… del popolo palestinese contro il suo centenario oppressore… contro il sionismo e i suoi coloni...”.
Diverse pagine sono dedicate all’andamento dei fatti di quelle drammatiche ore, quelle che i media dediti alla propaganda e connesso corollario di menzogne, omissioni e mezze verità, hanno definito “pogrom” contro gli ebrei arricchendo le loro narrazioni di orrori mai avvenuti, come dimostrato dalle stesse inchieste israeliane. La scelta di definire pogrom un’azione indubbiamente violenta, ma di rivolta contro l’oppressore e non di natura razzista, rivela il cedimento al razzismo, questo sì, dei sostenitori del suprematismo bianco in cui è stato arruolato Israele, distaccamento medio-orientale dell’Occidente.
L’Autrice cita numerosi documenti, molti anche israeliani, a sostegno delle sue affermazioni e nota che i nostri media mainstream non hanno rettificato e smentito le loro precedenti accuse basate su menzogne ormai conclamate perché lo stereotipo che vuole arabi e musulmani generalmente ignoranti e violenti consolida la percezione negativa nei loro confronti e “Questi stereotipi rafforzano l’idea di inferiorità, disumanizzano queste popolazioni e le collocano in posizioni subordinate e oggetto di campagne diffamatorie difficili da decostruire”. Sostanzialmente, scrive Angela Lano, “ci troviamo di fronte a forme neocoloniali… al suprematismo bianco e alla visione orientalista del mondo islamico…” quindi, citando uno studio dello psicologo Mattias Desmet, afferma che grazie alla massificazione dei cittadini dovuta alla potenza dei mezzi di propaganda si “produce un conformismo generalizzato: pur avendo accesso a ogni tipo di informazione, l’essere umano … non dispone degli strumenti per una vera autonomia e di fatto diventa passivo e manipolabile” e questo spiega perché l’opinione pubblica, che in fondo un potere lo avrebbe se non fosse influenzata da narrative tese a giustificare l’ingiustificabile, va tenuta in una bolla che le impedisca la comprensione d’insieme della disumanità razzista insita nel colonialismo d’insediamento. Le impedisca, quindi, di capire che è indispensabile “un processo di decolonizzazione che smantelli l’ideologia e la struttura coloniale… che smantelli il ‘Progetto Israele’” e qui entra in campo il rispetto per la Resistenza. Hamas, insieme ad altri movimenti minori, questo rappresenta: il rifiuto della colonizzazione della Palestina, obiettivo che non si raggiunge con la sudditanza verso il colonizzatore e la richiesta di briciole in sostituzione del diritto all’autodeterminazione, ma con la Resistenza, se necessario anche armata, come riconosciuto anche dal Diritto internazionale.
Qui si coglie la determinazione con cui l’Autrice non si lascia intimidire dalle più che probabili e strumentali accuse che potranno pioverle addosso e dichiara che “La nascita di Hamas, a fine anni ’80,e la sua vittoria in elezioni democratiche nel 2006, il suo approccio politico e pratico verso la liberazione della Palestina… l’operazione del 7 ottobre 2023, Al Aqsa Flood, hanno riportato la questione palestinese sullo scenario globale… (sulla) necessità/diritto di ricorrere alla resistenza”. Aggiunge poi che “chi ancora sostiene che Hamas, anziché essere una genuina espressione del popolo palestinese che lotta, sia una ‘creatura/creazione di Israele’… o è in malafede o è semplicemente un prodotto umano del colonialismo occidentale duro a morire”.
Quindi seguono pagine sulla spiegazione della natura, delle origini e delle conseguenze del sionismo; della coincidenza di interessi tra l’impero coloniale britannico e le aspirazioni nazionaliste degli ebrei che avevano abbracciato il progetto sionista. Non importava che queste aspirazioni avrebbero dovuto realizzarsi a spese dei nativi palestinesi. Non poteva interessare, visto che “Il sionismo si definiva chiaramente come ‘ un movimento ebraico per la colonizzazione dell’Oriente’.”
Paradossalmente, scrive Angela Lano, l’olocausto di Gaza sta sterminando proprio i discendenti di quegli ebrei che circa 2500 anni fa avevano occupato la terra di Canaan, quegli ebrei che rimasero o tornarono in Palestina e che in parte mantennero la loro religione, in parte si convertirono al cristianesimo e, successivamente, in parte si convertirono all’Islam. Praticamente un olocausto di semiti commesso da sionisti in nome della difesa dall’antisemitismo!
Con una notevole capacità di sintesi Angela Lano fa ripercorrere al lettore tutte le tappe storiche che hanno portato all’olocausto palestinese, regalando anche qualche perla rara, come ad esempio l’accordo dell’haavara del 25 agosto 1933 tra il movimento sionista e il governo nazista consistente nel trasferimento in Palestina, con scambi commerciali convenienti soprattutto per la Germania, di 60.000 tedeschi di religione ebraica destinati a colonizzare le terre palestinesi.
Olocausti e pulizia etnica, come mostra questo libro, sono una costante storica della cosiddetta civiltà occidentale al punto che considerare il nazismo un’anomalia è – purtroppo – un grave errore. Conoscere la storia di cui non si parla mai fa perdere ogni illusione e l’Autrice, con pochi esempi, dalle leggi razziali dei democratici USA prese a modello da Hitler, all’eugenetica USA, ancora utile esempio per il nazismo, ai campi di concentramento africani e al conseguente genocidio tedesco di Herero e Nama trent’anni prima che si affermasse il nazismo, all’apartheid statunitense vigente fino alla metà del secolo scorso, sono tutti esempi che mostrano una poco indagata e amara verità: il nazismo non fu un male esterno dell’Occidente ma un suo prodotto, una filiazione del colonialismo. È “nato nel suo grembo e ancora vi alberga”, e il genocidio in corso in Palestina, supportato dai suoi complici e tollerato dai loro vassalli ne è una prova.
L’Autrice conclude il suo lavoro offrendo al lettore la risposta alla domanda che molti si stanno ponendo su come sia possibile che chi crede nei diritti umani possa poi giustificare o addirittura supportare le orrende azioni commesse da Israele. La risposta la si trova nell’operato dei media, nella loro scelta “del lessico che anestetizza l’orrore”. Nello spegnere l’empatia con le vittime tramite un quadro narrativo che giustifica la loro sofferenza considerandola necessaria in quanto “risposta difensiva” o altre invenzioni mediatiche utili a non uscire dalla narrativa dominante, pena la perdita di consenso, cosa grave per qualunque governo. È per questo che l’azione dei media che tenta di legittimare “l’accettazione silenziosa di un genocidio” si può inquadrare in quel che Chomsky ed Herman studiarono come “worthy and unworthy victims” il fenomeno che in passato ha consentito al colonialismo europeo l’autorizzazione morale a sterminare i cattivi “pellerossa” e che prova a ottenere il favore dell’opinione pubblica nello sterminio del popolo palestinese definendo terrorismo tutto ciò che si oppone al progetto coloniale sionista.
Per tutto questo, come scrive Pino Cabras nella sua prefazione, questo libro merita di essere letto e discusso, perché “fornisce le categorie indispensabili per non smarrirsi nel rumore di fondo”. Chi lo leggerà capirà che è “una questione che ci riguarda tutti, perché tocca le radici stesse della civiltà e della barbarie”.

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