L'ostacolo principale sulla via del compromesso

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L'ostacolo principale sulla via del compromesso

 

di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

 

In attesa della convocazione di una nuova tornata di colloqui russo-ucraini a Istanbul, e anche della telefonata Trump-Putin attesa per lunedì, giungono informazioni-chiave da Mosca e notizie “curiose” da Kiev, per quanto non inattese. Tra le prime, le dichiarazioni del portavoce presidenziale russo, Dmitrij Peskov, secondo cui il Cremlino non esclude un incontro tra Vladimir Putin e Vladimir Zelenskij, come risultato del lavoro delle due delegazioni e di precisi accordi tra di esse.

Tra le seconde, il deputato della Rada Aleksandr Dubinskij scrive su Telegram che l'Ucraina viene a trovarsi in una posizione più vulnerabile: Kiev inizierà «il prossimo round in una posizione peggiore, a causa della progressiva perdita di territorio e popolazione e del deterioramento della situazione. Inoltre, ogni round, in termini di situazione sul terreno, sarà peggiore del precedente». Secondo Dubinskij, mentre Zelenskij accusava Kiev – in combutta con gli “eurovolenterosi” europei, avrebbe dovuto aggiungere – di tentare di far fallire i colloqui, era invece la parte ucraina che cercava in ogni modo di mandarli a monte, ricorrendo a «offese dirette».

Effettivamente, anche al di là dello specifico terreno dei combattimenti al fronte, la situazione ucraina sta diventando sempre più drammatica. Oltre le cifre del disastro demografico, che ormai da anni, tra elevata mortalità e paurosa contrazione delle nascite, pongono il paese agli ultimi posti mondiali, è in atto un fenomeno che indica la spaventosa realtà di oltre dieci anni di potere nazi-banderista. Le campagne ucraine stanno vivendo una tragedia peggiore della carestia dei primi anni '30, dichiara il blogger ucraino Vladimir Kokhan alla pur ferocemente antirussa “Ukrainskaja pravda”. Producendo, nelle proprie rubriche, materiali attinti dai più profondi villaggi del paese, Kokhen afferma che «le campagne soffrono sempre di più e mi sembra che si stia verificando un'enorme tragedia per i villaggi agricoli, più estesa del golodomor e delle guerre precedenti: la campagna si svuota e diviene desolata. Nei villaggi ucraini è impossibile vedere uomini in età di leva: ci sono molti morti, ma anche molti che sono semplicemente emigrati». Anche solo da tale constatazione, viene da chiedersi da dove la junta golpista possa ancora attingere per le forzate e violente campagne di mobilitazione di giovani e meno giovani da continuare a mandare al macello.

Pare però convinto del contrario il ministro degli esteri polacco Radoslaw Sikorski: che cioè le cose vadano proprio bene per gli obiettivi di guerra di Kiev e dei suoi sponsor europeisti. In un'intervista alla tedesca Tagesspiegel, a proposito dei colloqui russo-ucraini a Istanbul e delle loro prospettive, Sikorski ha detto che è possibile porre fine alla guerra in Ucraina anche senza l'intervento di Donald Trump. Da degno consorte della famigerata “storica” yankee Anne Applebaum – che, per l'appunto, ha fatto delle menzogne sul golodomor, citato sopra da Kokhan, la propria “fortuna” giornalistica - Sikorski ha ribadito l'omelia euro-volenterosa secondo cui il processo negoziale costituisce una verifica delle «intenzioni di Mosca. Se la Russia non accetta un cessate il fuoco o avanza richieste insolenti, ciò conferma la nostra opinione che Putin non sia disposto alla pace». Al solito: o si obbedisce ai diktat degli “euroquattro”, o si è “assetati di sangue ucraino”.

A ogni modo, secondo Sikorski, la partecipazione di Donald Trump non è necessaria per raggiungere la pace in Ucraina: basterebbe che la Russia si ritirasse «entro i confini riconosciuti a livello internazionale» e, allo scopo, la Cina dovrebbe far pressioni su Mosca, «mettendo Putin al suo posto». In tale sermone, commenta PolitNavigator, rimane da spiegare a che scopo Pechino dovrebbe premere sulla Russia, quando, in caso di conclusione del conflitto in Ucraina alle condizioni dell'Occidente, prossimo obiettivo sarebbe la Cina stessa. È semplice, spiega Sikorski: Mosca è «economicamente vassalla della Cina» e dunque, se Pechino minacciasse un embargo commerciale, la Russia «sarebbe costretta a sottomettersi».

Purtroppo per Varsavia e le capitali “volenterose”, le cose non stanno andando esattamente nella direzione da loro auspicata e, se insistono sulla strada del conflitto, accusando la Russia di non volere la pace, a pagarne le più amare conseguenze saranno le masse proprio dei paesi europei, costrette a livelli di vita, lavoro e repressione tipici del tempo di guerra.

Forse leggermente più accorti, nei ragionamenti non ufficiali, potrebbero però essere alcune diplomazie. A parere del politologo ucraino Andrej Ermolaev, che ne parla ai microfoni di “Dikij Live”, i diplomatici occidentali stanno valutando seriamente i diversi rischi: ampliare il dialogo con la Russia, o rischiare un'escalation che potrebbe rendere la guerra incontrollabile. Ricordiamo il "Big Frame", dice Ermolaev, cioè la questione dell'orientamento strategico ucraino. Per "Istanbul-1", la situazione sul terreno era effettivamente diversa e la Russia era più accomodante sullo status dei territori. Ora Mosca parla una lingua diversa: "tenendo conto della situazione sul terreno”, cioè "Istanbul, più realtà sul terreno".

Ma l'aspetto principale degli "accordi di Istanbul" è il cambiamento di prospettiva ucraino. Si tratta dei requisiti relativi al potenziale militare di Kiev: «verranno rivisti altre 15 volte... Verranno dislocate armi strategiche e in che misura saranno collegate alla sicurezza occidentale. A questo è collegata la questione se l'Ucraina farà parte dello spazio di sicurezza euro-atlantico o sarà un paese neutrale. Questi sono i punti principali ripresi a Istanbul... è del tutto possibile che l'Occidente (sia  a Washington, sia negli umori europei) stia iniziando a fare marcia indietro».

L'escalation del conflitto, con noi che ci troviamo nel mezzo di questa escalation, dice ancora Ermolaev, potrebbe portare all'emergere non di un rischio, ma di un'autentica minaccia di guerra europea, dal momento che, adempiendo agli «obblighi, gli aiuti all'Ucraina potrebbero essere trasformati in aiuti diretti, e allora si ripresenta il timore di un effetto domino, come  nella Prima guerra mondiale». È dunque probabile che la diplomazia stia ora «valutando seriamente i rischi: intraprendere la strada di una graduale estensione del dialogo, in cui tutti dovranno cedere qualcosa, o rischiare un'escalation, che potrebbe rendere la guerra semplicemente incontrollabile».

In tale situazione, uno degli ostacoli principali sulla via del compromesso, appare proprio il nazigolpista-capo, Vladimir Zelenskij. Per quanto lo riguarda, ha detto a “Primo Sebastopoli” l'osservatore Anatolij Vasserman, egli si è auto-estraniato da tutte le questioni serie nel momento stesso in cui si è presentato sulla linea del fronte e si è messo a spiegare ai militanti nazisti che lui «non è un coglione». Da quel momento, è stato chiaro che è davvero un coglione. Se fosse «davvero il presidente, il comandante in capo, probabilmente gli ordini non li darebbe a loro, ma a coloro che li equipaggiano, perché smettano di approvvigionarli. Se non capisce nemmeno queste cose, se non sa quali siano i compiti della sua carica, allora non è davvero adatto alla posizione, e non perché lo abbiano emarginato , ma perché si è auto-rimosso».

A detta di Vasserman, i colloqui di Istanbul hanno mostrato il «grado di idoneità», o meglio, di inidoneità, dell'Occidente collettivo: mentre la delegazione russa attendeva quella ucraina a Palazzo Dolmabahce, il Primo ministro britannico Starmer affermava che Putin non vuole la pace e sta cercando di ostacolare i colloqui. È «improbabile che i colloqui avvicinino le elezioni in Ucraina, perché comunque l'avversario non firmerà nulla di vincolante. Ma per gli Stati Uniti , le elezioni sono davvero importanti, perché quando sono in gioco i soldi, serve qualcuno che se ne occupi. Pertanto, mi sembra molto probabile che Trump possa insistere per le elezioni. E cosa darebbe in cambio a Zelenskij, per il quale le elezioni sono una garanzia di sconfitta? Sospetto che in cambio gli lascerebbe la vita: permettergli di riuscire a fuggire da qualche parte e sottoporsi a chirurgia plastica; sarebbe per lui una vera fortuna».

Sempre su “Primo Sbastopoli” e ancora a proposito del nazigolpista-capo, l'ex deputato della Rada Oleg Tsarëv osserva che uno dei risultati della prima tornata di colloqui russo-ucraini è la riduzione dello status di Vladimir Zelenskij.

Il piano iniziale di Donald Trump, afferma Tsarëv, era quello di «firmare un accordo sulle risorse naturali ucraine, avviare quindi negoziati diretti tra Russia e Ucraina, portando Kiev ad accettare le condizioni della Russia e l'opzione di compromesso concordata» tra Washington e Mosca. Il secondo passo dovrebbe essere quello per cui Zelenskij indice le elezioni e rassegna le dimissioni, oppure potrebbe rimanere in carica fino al voto e, a quel punto, dovrebbe essere «il nuovo potere a firmare l'accordo di pace definitivo».

Che poi è quanto ribadito dal portavoce presidenziale russo Dmitrij Peskov, secondo cui Mosca non annulla le proprie recriminazioni sulla legittimità di Zelenskij e non è disposta a firmare un accordo di pace con lui. Il Cremlino ribadisce insomma per l'ennesima volta che a firmare, per la parte ucraina, sia qualcuno che non abbia perso legittimità, o ne abbia acquisita una nuova. In altre parole, a firmare gli accordi potrebbe anche essere Zelenskij, ma solo se tornasse a essere presidente in seguito a nuove elezioni. Fino a quel momento, se si segue la lettera della legge ucraina, aveva detto nei giorni scorsi Peskov, nel paese esiste un «solo legittimo organo di potere: il Consiglio dei Ministri dell'Ucraina. Anche la Verkhovnaja Rada è ormai "scaduta", quanto è “scaduto” lo stesso commediante-usurpatore Zelenskij». Questo, perché la Rada non aveva il diritto di prorogare la legge marziale su proposta di un presidente illegittimo e ciò significa che la legge marziale in Ucraina è illegittima, per cui la Rada avrebbe dovuto già da tempo indire nuove elezioni, sia presidenziali, che parlamentari.

A detta di Peskov, la variante più probabile, se si raggiungeranno intese sulle linee principali dell'accordo di pace, sarà la possibilità che a firmare il cessate il fuoco da parte ucraina sia il primo ministro Denis Šmygal, con la «revoca della legge marziale per la durata del cessate il fuoco, la sospensione della mobilitazione e delle forniture di armi occidentali, e questo, come minimo, per almeno 100 giorni; quindi elezioni presidenziali e successiva firma, da parte del nuovo presidente, di un accordo di pace, per una pace sicura e duratura, alle condizioni che saranno parafate dalle delegazioni ai negoziati».

Tra l'altro, ha ricordato ancora Tsarëv, Zelenskij non dispone nemmeno dell'autorità per annullare il decreto, da lui stesso emanato, che gli vieta di incontrare Putin. Sempre a ragione dell'illegittimità, in calce all'accordo sulle risorse naturali, non c'è alcuna firma del Presidente: il documento è stato firmato per lui dal ministro dell'economia e ratificato dalla Rada.

Zelenskij, dice Tsarëv, si rende conto della situazione: vede che viene «respinto ovunque, non viene invitato, il suo status  cala, mentre lui, secondo la sua vecchia abitudine, cerca di attirare l'attenzione su di sé con ogni sorta di mosse e dichiarazioni», del tipo "non riconoscerò mai la Crimea", "pretendo i confini del '91" e così via».

Con ogni probabilità, per Zelenskij si avvicina l'ora del giudizio: ad esempio, nonostante la UE fosse categoricamente contraria all'accordo sulle risorse naturali, Zelenskij lo ha firmato. Ha «preso tempo, ritardato, ingannato, mercanteggiato; ma poi ha firmato. Questo indica che gli americani dispongano di sufficienti leve di influenza su di lui per far passare ciò che vogliono. E la consonanza di lavoro e azioni tra Russia e gli Stati Uniti di Trump ispira un certo ottimismo».

 

Fonti

 

https://politnavigator.news/peregovory-v-stambule-ponizili-status-zelenskogo.html

WWW.KP.RU: https://www.kp.ru/daily/27700.5/5089171/

 https://politnavigator.news/sikorskijj-bodritsya-postavim-putina-mesto-i-bez-vsyakogo-trampa.html

 https://politnavigator.news/poteryali-lyudejj-i-territorii-a-zapad-daet-zadnyuyu-ukrainskie-ehksperty-rydayut-po-stambulu-1.html

 https://politnavigator.news/tramp-predlozhit-zelenskomu-ischeznut-navsegda-prognoz.html

 

 

 

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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