Loretta Napoleoni - Quella falsa percezione dei "Swing States" nelle elezioni USA

Come sempre la narrativa è semplice, a volte persino semplicista. Non dimentichiamo che questo tipo di certezze ci ha impedito di prevedere l’elezione di Trump nel 2016 e la Brexit.

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Loretta Napoleoni - Quella falsa percezione dei "Swing States" nelle elezioni USA

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Ad un mese dalle elezioni americane la stampa ‘ufficiale’ parla solo di swing states, swing voters, i.e.  i cosiddetti indecisi. Si ha cosi’ l’impressione che i due candidati parlino solo a loro e che tutti gli altri abbiano gia’ preso una decisione. Come sempre la narrativa è semplice, a volte persino semplicista. Non dimentichiamo che questo tipo di certezze ci ha impedito di prevedere l’elezione di Trump nel 2016 e la Brexit. Oggi, la domanda chiave è se dietro l’angolo c’e’ un altro risultato a sorpresa, a sorpresa dal momento che le proiezioni ufficiali che la stampa ci offre quotidianamente continuano a darci la Harris in leggero vantaggio rispetto a Trump nei swing states. 

Difficile sfuggire alla tentazione di raccontare ai lettori che soltanto il 3 per cento della popolazione americana deciderà con il proprio voto chi verrà eletto presidente. Come scrive il Financial Times: i sette swing state rappresentano appena il 18 per cento dei collegi elettorali (93 di 538). Al loro interno gli indecisi sarebbero appena il 3 per cento, cio’ significa che saranno loro a spostare il voto in una direzione o in un’altra. Ma questo succederebbe se la spaccatura della nazione rimanesse immutata, se l’elettorato non indeciso continuasse a votare chi ha votato nel 2020.

Se vogliamo fare un’analisi spassionata ed obbiettiva allora le cose cambiano, si fanno piu’ complesse. Prima di tutto non è vero che i candidati ignorano la massa critica dell’elettorato, quella che vota per il loro partito. Uno dei problemi di Kamala Harris, a detta del suo partito, è conquistare la fiducia di segmenti importanti della popolazione, e.g. gli uomini bianchi e neri iscritti ai sindacati nella rust belt. A differenza di Donald Trump, che è stato presidente, Kamala Harris è per la maggior parte degli americani la grande sconosciuta. Negli ultimi quattro anni si è vista pochissimo in giro per la nazione, non ha visitato le fabbriche ancora in piedi, non e’ comparsa a fianco dei vari governatori, non ha espresso un’opinione sulle condizioni sociali ed economiche dei swing states. Il fatto che sia una donna in queste elezioni pesa molto meno del fatto che nessuno la conosce.

Aver cambiato posizione su temi come il fracking, decisione presa per accattivarsi quel 3 per cento degli indecisi non risolve questo problema, anzi, rischia di farle perdere una fetta degli elettori moderati che tradizionalmente votano il candidato democratico.

Impossibile nel pochissimo tempo a sua disposizione creare un’immagine politica solida senza un vero programma politico di rottura, alternativo, che faccia parlare e discutere. In questa situazione la Harris rischia di essere la copia spolverata delle politiche di Biden, che non sono molto popolari. E questo spiega perche’ ad un mese dalle elezioni la sua è una campagna elettorale in sordina che si avvale di personaggi di spicco come Oprah per parlare al grande pubblico e di politici come Obama o la Occorsio Cortes per parlare nei comizi. Tutto cio’ è rischioso per un semplice motivo, Kamala Harris continua a proiettare l’immagine di vicepresidente, del numero due invece di essere lei il numero uno.

Trump e Vance sono entrambi di casa nella rust belt, non dimentichiamo che nel 2016 Trump vinse grazie ai voti di questi stati. E proprio perche’ sono conosciuti e’ piu’ semplice per loro avere il polso della situazione e fare una campagna piu’ mirata per conquistare il voto degli indecisi senza alienarsi quello dei decisi. Ma anche loro devono fare i conti con temi caldi come, ad esempio, l’aborto. Trump ha smorzato molto i toni per far presa sulle donne e sui moderati, lo ha fatto cercando di non alienarsi i super conservatori e la nebula del fondamentalismo cristiano che rappresenta una forza elettorale da non sottovalutare in Georgia e nella Carolina del sud, due dei sette swing states.

Altro elemento da tenere presente è la maggiore propensione dei sostenitori del partito democratico a rivelare la loro preferenza per la Harris rispetto a quelli che voteranno Trump. Attraversando due dei swing states, Pennsylvania e Michigan negli ultimi giorni ci si accorge di un fenomeno peculiare, mentre Trump ostenta costantemente un’aria di trionfalismo, il suo elettorato tende a rimanere in silenzio per non rivelare la loro scelta. Soltanto gli attivisti, i militanti del partito ed i sostenitori del MAGA pubblicizzano a gran voce il loro voto, ma si tratta fondamentalmente di un esercizio di propaganda politica. Dai professionisti agli operai fino alle casalinghe ed ai disoccupati, chi vota Trump in questi due stati se lo tiene per sé, spesso neppure in famiglia se ne parla per evitare tensioni imbarazzanti.

Diverso il comportamento del fronte pro-Harris. Tutto il suo elettorato è ben contento di dichiarare la propria adesione alla vicepresidente. Non esiste tra di loro un segmento che per scelta la tiene nascosta. E così è semplice per uno straniero imbattersi con il fronte pro Harris come lo e’ per i rivelatori dei sondaggi mentre e’ piu’ difficile incontrare i membri di quello pro Trump. Risultato, nei swing states si ha la falsa percezione che le proiezioni ufficiali corrispondano alla realtà.

Loretta  Napoleoni

Loretta Napoleoni

 

*Economista di fama internazionale. Ha insegnato alla Judge Business Schools di Cambridge e nel 2009 è stata invitata come relatrice alla Ted Conference sui temi del terrorismo. Nel 2005 ha presieduto il gruppo di esperti sul finanziamento del terrorismo per la conferenza internazionale su terrorismo e democrazia organizzata dal Club de Madrid. Autrice di diversi libri di successo tra cui Terrorismo SPAEconomia Canaglia e Maonomics, tradotto in 18 lingue, incluso l’arabo ed il cinese; ISIS, lo stato del terrore, uscito in 20 nazioni. L’ultimo si intitola Technocapitalism

 

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