La resa in Ucraina? Nessuna illusione sull'imperialismo Usa-Ue

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La resa in Ucraina? Nessuna illusione sull'imperialismo Usa-Ue

 

di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico


Le ormai sempre più frequenti note, scritte e orali, sugli USA in profonda crisi e non più in grado di reggere il ritmo dei finanziamenti ai nazigolpisti di Kiev; sui paesi UE che, in diversa misura, affermano di dritto e di rovescio di esser stanchi del sostegno all'Ucraina; sulle dispute interne alla junta ucraina stessa e l'ormai evidente impossibilità, per l'esercito di Kiev, di manovrare altro che non sia una difesa di qualche posizione: tutto questo non deve alimentare illusioni su un rapido “ritorno alla normalità” antecedente al febbraio 2022. Anche perché era stata proprio quella “normalità” che, almeno da una ventina d'anni (senza ovviamente considerare i decenni precedenti di lavorio yankee attorno ai confini, prima sovietici e poi russi), aveva preparato il terreno che, alla fine, ha visto Mosca dover ricorrere all'intervento diretto.

Nessuna illusione; tanto più che discorsi e passi di Washington indicano quali siano le reali intenzioni yankee, al di là dei farfugliamenti di Joe Biden sull'inevitabile scontro della Russia con la NATO, se il fronte ucraino dovesse crollare. Farfugliamenti che, se da un lato somigliano allo stantio motto euro-atlantico della Russia che «si è avvicinata pericolosamente ai confini della NATO» - come se Mosca avesse allargato le proprie frontiere, e non fosse stata invece l'Alleanza atlantica ad aver ampliato a dismisura la propria area di dominio – dall'altro devono far riflettere sui reali piani di alcune frange “lungimiranti” del Potomac.

Prendiamo un paio di “cosette”.

A ottobre scorso, gli USA avevano accresciuto di tre volte gli acquisti di uranio dalla Russia, arrivando a oltre 43 tonnellate. E non è che l'uranio sia previsto nelle ricette per la carbonara!

Con una cerimonia alla base aerea USA di Ramstein, lo scorso 8 dicembre, il U.S. European Command (EUCOM) ha inaugurato ufficialmente il comando Space-Euraf che, con uno staff iniziale di 30 persone, controllerà le attività militari dallo spazio su Europa e Africa. Il comando, riporta Arnold Schölzel su Die junge Welt, si trova nelle immediate vicinanze del nuovo Centro spaziale NATO ed è la quarta componente della forza spaziale (creata nel 2019 da Donald Trump e incorporata in un comando regionale USA), dopo il comando centrale per Vicino e Medio Oriente, con base in Florida, il Comando Indo-Pacifico (alle Hawaii) e il US Forces Korea (Osan Airbase a Pyeongtaek) in Corea del Sud. Il Comando europeo (EUCOM) afferma che Space-Euraf è destinato a «dissuadere i potenziali avversari, reagire alle crisi e rafforzare alleanze e partnership».

All'inaugurazione, il comandante dello Space Operations of the US Space Force, generale Chance Saltzman ha affermato che l'importanza delle infrastrutture satellitari è aumentata negli ultimi decenni: «Abbiamo raggiunto un punto in cui sarebbe difficile rinunciare a questi mezzi». Il generale Michael Langley, responsabile per l'Africa, ha detto: «Siamo sul chi va là».

Sin dalla creazione della forza spaziale, Trump e il suo vice Michael Pence avevano dichiarato che si trattava di mantenere il dominio americano militare globale. Negli anni '80, Ronald Reagan aveva lanciato il programma "Star Wars": anche considerando i dubbi sollevati di recente sulla sua autenticità (che comunque aveva costretto l'URSS ad adottare misure di difesa), di sicuro gli USA si rifiutano da decenni anche solo di parlare del controllo degli armamenti nello spazio.

Appena una settimana fa, ricorda Schölzel, gli USA hanno chiarito per cosa possa e debba usarsi la forza spaziale: il 21 novembre, la RPDC ha messo in orbita per la prima volta un satellite di ricognizione militare. Il giorno seguente, l'agenzia KCNA ha riportato foto aeree dalla base aerea USA “Anderson” a Guam nel Pacifico e altre grandi basi militari. Il 2 dicembre, un portavoce del US Space Force ha dichiarato che Washington potrebbe impedire le «capacità spaziali di un avversario» con una molteplicità di «mezzi reversibili e irreversibili».

Ma anche sulla terra, i paesi UE aumentano la produzione di armi e munizionamenti. Il Ministro della guerra finlandese Antti Häkkänen annuncia l'allargamento della produzione di proiettili d'artiglieria da spedire in Ucraina: «abbiamo intenzione di sostenere l'Ucraina con maggior impegno rispetto a oggi. E, così facendo, aumentiamo la capacità finlandese di produrre munizionamento» ha detto, accennando a investimenti di decine di milioni di euro e augurandosi che l'esempio di Helsinki venga seguito da altri paesi UE. A detta di Häkkänen, perfetto testimone del sempre più aperto sogno di un ritorno alla “Grande Finlandia” - che mette gli occhi sulla Karelia e sulle frontiere ante-1939 fino a Leningrado - negli ultimi 30 anni le capacità difensive della UE si sarebbero di molto ridotte; dunque, è tempo di «innalzare le capacità militari dei paesi europei, accrescendo le riserve di munizionamento, acquistando cannoni e carri armati».

Häkkänen ha annunciato il ventesimo pacchetto di assistenza militare a Kiev, per un valore di 100 milioni di euro, portando così l'aiuto militare finlandese, dall'inizio del conflitto, a 1,5 miliardi di euro. E questo rientra nei piani annunciati lo scorso marzo da Josep Borrel per la fornitura a Kiev di 1 milione di proiettili da 155 mm nel corso dell'anno (secondo Bloomberg, però, nei primi sei mesi le forniture a Kiev erano ferme al 30% di quanto previsto: circa 300.000 proiettili), per una somma di 1 miliardo di euro, cui si aggiunge un altro miliardo per acquisti di proiettili per reintegrare le scorte UE.

Ma, a parere dell'esperto militare Jurij Knutov, col pretesto degli “aiuti all'Ucraina”, i paesi NATO non fanno altro che allargare le proprie produzioni per tempi futuri, con installazioni produttive nella stessa Ucraina. Appena pochi giorni fa, si è tenuta a Washington una conferenza con rappresentanti di oltre 350 imprese del complesso militare-industriale di una cinquantina di paesi del blocco occidentale, il cui tema centrale è stato appunto quello dell'apertura di industrie militari in Ucraina. Gli europei capiscono, afferma Knutov, che nei prossimi anni una tale potenza industriale, allargata ad altri paesi oltre quelli tradizionali, sarà necessaria a loro stessi e non solo all'Ucraina: «La concezione strategica NATO di conduzione della guerra sta radicalmente cambiando, ora che l'Operazione speciale russa in Ucraina ha dimostrato che il vecchio approccio dell'Alleanza è inInappropriato e inefficace. Così, la leadership NATO, col pretesto di “aiutare Ucraina”, ha deciso di migliorare le proprie risorse e capacità militari. Dato però che l'Alleanza è orientata a una contrapposizione a lungo termine con la Russia, tutte le armi e i munizionamenti aggiuntivi andranno a riempire gli arsenali degli stessi paesi NATO».

Questo è il loro “ritorno alla normalità”: il loro abituale e congenito anelito imperialista ai cannoni al posto del burro.

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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