Iran: Chi pesca nel torbido?

Un'analisi per cercare di capire gli ultimi eventi in Iran, partendo dall'ossessione costante e dagli attacchi quasi quotidiani del Presidente USA, Donald Trump.

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Iran: Chi pesca nel torbido?


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Pochi analisti credono nella buona fede degli americani quando affermano di voler sostenere "le proteste" in Iran, tanto sono stati manifestati e molteplici, ultimamente, i segni di animosità di Washington nei confronti del popolo iraniano: dal discorso offensivo di Trump dal palco delle Nazioni Unite lo scorso settembre, quando ha definito gli iraniani una "nazione terrorista" alle misure relative al "Muslim Ban", compresi i piani che Washington sta moltiplicando nella regione, una costante continua: contrastare l'ascesa dell'Iran come stato sovrano che non è riuscito ad essere sconfitto dal gigante morente.
 
Le manifestazioni a carattere  economico in Iran sono oggetto dei tweets incendiari della presidenza USA durante questo periodo festivo, o che appaiono all'ordine del giorno del "Comitato di difesa del Senato", c'è qualcosa di inaudito che sta per accadere: il gigante morente d'America crede di poter rovesciare l'ordine politico e precipitare uno dei pochi stati al mondo a resistergli in uno stato di caos cronico, interrompendo il suo slancio salvavita.
 
Giovedì, venerdì e sabato scorso, alcune città iraniane sono state teatro di proteste di carattere sociale: non così ampie come le immagini girate sui telefoni cellulari e trasmesse costantemente sullo schermo di France 24, CNN, BBC o persino sui social network, ma abbastanza importanti da essere prese in considerazione dall'esecutivo.
 
In effetti, le misure prese dal governo del presidente Rohani per portare l'Iran nella sfera del libero scambio stanno faticando a passare: la rimozione di sussidi, l'aumento dei prezzi, la tassazione ... non state gradite ad una parte della popolazione che chiede al governo di agire con maggiore moderazione e flessibilità.
 
Ma a vedere questi eventi che rimangono nel supremo esercizio della democrazia, un tentativo di "rivoluzione", ci sono solo i Thinks Tanks "sorosiani" e i loro alleati nel governo degli Stati Uniti che sono pronti a cavalcare.
 
Impigliato nei loro schemi, ciò che i media mainstream non hanno riflettuto negli ultimi tre giorni, sono le masse iraniane, che rapidamente distinguevano i "rivoltosi incappucciati", infiltrati nei ranghi dei manifestanti, che sembrano avere la missione di causare problemi e interrompere il corso delle richieste pacifiche.
 
In un articolo sul "The New York Times"  si è fatto un appello solenne al presidente degli Stati Uniti di "non mettersi in ridicolo" con l'invio di tweets indiscriminati agli iraniani perché "è difficile che gli credano." Il giornale gli ricorda la sua politica fondamentalmente ostile contro l'Iran, la sua ossessione per addossare a questo paese tutti i mali del mondo e le sue continue minacce contro la nazione iraniana invitando, quindi, a rimanere in silenzio e lasciare che gli iraniani risolvano  i loro problemi interni tra di loro.
 
Il New York Times mette in guardia Trump per l'"errore commesso" dal suo predecessore, Barak Obama: "Nel 2009 Obama pensava di poter rovesciare l'ordine iraniano sostenendo i disordini post-elettorali e finì per andare a Canossa e negoziare con il governo iraniano un accordo nucleare che Trump denuncia costantemente. Difficile credere che Trump sia più forte e più talentuoso di Obama. Quindi, lasciate che Trump si zittisca, se non vuole negoziare con l'Iran un 'JCPOA(accordo sul nucleare)' bis che istituzionalizzerebbe il peso e l'influenza dell'Iran in Medio Oriente!"
 

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