Il monito del procuratore nazionale antimafia Roberti sul terrorismo

Il monito del procuratore nazionale antimafia Roberti sul terrorismo

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di Fulvio Scaglione* - occhidellaguerra

Ero a Roma, e come tutti smanettavo sul telefonino per capire che cos’era successo a Nizza. I morti,l’attentato, l’Isis… In un posto che conosco bene e dove passeggiavo tranquillo solo pochi giorni fa. Però, nello stesso tempo, pensavo anche a quello che avevo sentito poche ore prima con le mie orecchie. All’East Forum 2016, dedicato con raro tempismo a “La nuova Europa: migrazioni, integrazione e sicurezza”, era intervenuto anche Franco Roberti, il nostro procuratore nazionale antimafia. Il massimo esperto italiano di criminalità organizzata, uno dei più stimati investigatori d’Europa.
 
Roberti aveva lasciato cadere, durante i lavori, alcune constatazioni che per lui saranno normali ma che paragonate alla pochezza del dibattito politico italiano suonano sconvolgenti. Dice, per esempio, che “i terroristi non arrivano con i migranti” ma che dalle migrazioni l’Isis trae profitto organizzando il traffico di esseri umani, facendosi pagare dai migranti e diffondendo tra di loro il verbo del radicalismo islamico. Il che cambia la prospettiva: al posto di guardare in cagnesco i migranti come possibili stragisti, non  dovremmo affrettarci a eliminare l’Isis e i suoi compari, per tagliare alla radice almeno uno dei rami di questo meccanismo perverso? È possibile che da anni stiamo lottando contro i jihadisti, accontentandoci di una guerra di logoramento, quando tutto (anche le migrazioni) ci dicono che dovremmo lanciarci contro di loro con tutta la forza e la velocità di cui disponiamo?
 
Ma Roberti dice anche un’altra cosa, ancora più “sconvolgente”. Dice che: “Non c’è mai un attentato islamista che non sia preceduto da un frenetico giro di denaro”; sappiamo con certezza che il denaro per il finanziamento dei gruppi islamisti radicali e delle formazioni terroriste viene dai Paesi del Golfo Persico; dalle indagini della sua Procura sono emerse evidenze anche su strutture di appoggio ai terroristi situate negli stessi Paesi del Golfo.
 
Difficile sostenere che un grande servitore dello Stato della serietà, delle capacità e dell’esperienza di Roberti si sbagli. E allora dobbiamo chiederci: perché parole come le sue non bastano a fare di tutta una serie di Paesi (quelli che i nostri grandi giornali per anni hanno definito “musulmani moderati”) dei veri paria della comunità internazionale? Quei Paesi del Golfo Persico che tutti conosciamo per nome e cognome non dovrebbero scontare sanzioni e provvedimenti della comunità internazionale fino al punto di smettere di aiutare il terrorismo? Non dovrebbero, quei Paesi, essere convinti in ogni modo a tagliare i loro legami con gli estremisti?
 
È giusto chiederselo in connessione con la strage di Nizza, anche se con il passare del tempo la presunta spinta islamista che avrebbe spinto Mohamed Bouhlel ad agire lascia spazio a motivazioni più personali, al limite del disagio psichico. Perché di Mohamed ce ne sono tanti, e da decenni i finanziatori dell’estremismo islamico lavorano e spendono cifre enormi per indottrinarli e arruolarli. Le innumerevoli moschee e scuole coraniche wahabite che nel tempo sono sorte ovunque, dal Pakistan alla Bosnia, dal Kosovo al Belgio, proprio a questo servono.
 
La risposta razionale, se vogliamo davvero vincere la battaglia contro il terrorismo, non è guardare ogni migrante come a un potenziale terrorista (o portatore di Ebola, come pure si diceva) o inventarci mirabolanti piani d’attacco all’Europa da parte dell’Isis, che è un mero (anche se micidiale) fantoccio, ma colpire i mandanti. E diciamo “colpire” e non “trovare” perché i mandanti sappiamo benissimo chi sono. Nel caso avessimo le idee ancora confuse, possiamo chiedere notizie al procuratore antimafia Roberti. Lui, invece, le ha chiarissime.

*Pubblichiamo su gentile concessione dell'Autore.

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