Il Medioriente post Assad e l’asse della resistenza 

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 Il Medioriente post Assad e l’asse della resistenza 

 

La caduta dello Stato siriano è una catastrofe per gli equilibri in medioriente e apre ad una nuova fase di instabilità. Seppure oggi i nuovi arrivati vogliono lanciare segnali distensivi in ogni latitudine, evitando per ora, di marcare una posizione netta rispetto ai grandi temi che agitano il Medioriente, come la questione palestinese e in generale il ruolo destabilizzante di Israele, prima o poi questi temi dovranno essere affrontati e chi governerà la Siria non potrà esimersi dallo scontentare qualcuno a est o a ovest. Va anzitutto compreso cosa ha portato alla rapida estinzione dello stato siriano, a partire dal glorioso esercito che ha combattuto in maniera instancabile per oltre un decennio in condizioni estreme. 

Per prima cosa, i media mainstream occidentali sembrano straordinariamente preparati. Nel giro di poche ore hanno pubblicato rapporti dettagliati, condotto interviste e dipinto un quadro completo della situazione. Sono stati in grado di individuare i giocatori, le loro motivazioni e le loro strategie. Questo livello di precisione solleva così rapidamente una domanda: questo blitz mediatico potrebbe essere il risultato di lungimiranza, o forse di coordinamento?

Intanto la nuova realtà sul campo palesa una vittoria strategica di Israele a tutto campo: non solo i carri armati israeliani sono entrati nel territorio siriano occupandone quanto più possibile, rendendo i fanatici sionisti affamati di espansionismo entusiasti, ma con la caduta di Assad si è di fatto interrotto il sostegno ad Hezbollah che adesso appare isolato e indebolito dalla guerra appena combattuta e un cessate il fuoco che permette all’IDF di imperversare in lungo e in largo, con il silenzio complice dell’esercito libanese. Se ciò non bastasse, in Siria si è palesato l’asse nascosto tra il presidente turco Erdogan e Nathaniau. Erdogan da lungo tempo sostenitore dei palestinesi, ha compiuto un dietrofront non così sorprendente. Ora è evidentemente allineato con Israele e ne approva silente le espansioni territoriali a danno della Siria. Israele non è solo interessato a conquistare nuove terre, è probabile che il suo obiettivo sia quello di circondare la frontiera con il Libano e isolare il Paese e Hezbollah, facendone una nuova Gaza. 

Nessuno di questi sviluppi probabilmente si sarebbe verificato senza il sostegno o la diretta orchestrazione degli Stati Uniti e degli stati arabi che hanno ignorato le richieste di aiuto di un ingenuo Assad, che pensava di essere riammesso al club delle monarchie mediorientali e di ottenerne il sostegno dopo averle sconfitte sul campo. 

Dopo la catastrofica invasione dell’Iraq e la perdita di oltre un milione di vite umane, il progetto strategico degli Stati Uniti è stato chiaro: smantellare la Siria come precursore dell’isolamento e del rovesciamento dell’Iran e di tutte le fazioni della resistenza che sostiene nella regione. Ciò che sta accadendo ora si inserisce perfettamente in questa ambizione a lungo termine.
L’Iran, da sempre oggetto di tentativi di rivoluzione colorata, ora con i diritti delle donne, (altra ipocrisia occidentale che ne vede rispettati i diritti se muoiono a centinaia con figli in braccio sotto le bombe israeliane, ma devono essere difese se sono “costrette” a indossare un velo sui capelli), ora con quelli della minoranza curda, ora perché sanguinaria dittatura religiosa, sempre un po' meno di Israele però; adesso è più debole nella regione, l’asse della resistenza sembra essersi spezzato e ciò apre a nuovi equilibri in Medioriente. Anche l’Iraq trema. Nessuno può pensare che l’enorme numero di terroristi che hanno conquistato la Siria, adesso si dedicherà alla coltivazione della barbabietola da zucchero o allo sviluppo civile delle infrastrutture siriane. Costoro conoscono solo la guerra e presto o tardi si espanderanno in Medioriente, infiltrandosi in Libano e in Iraq colpendo le infrastrutture militari sciite e cercando un cambio di regime anche li. 
Tempi bui attendono il Medioriente: la guerra non è finita e se qualcuno pensava di fare un favore al popolo siriano evitando di combattere, ha semplicemente aperto le porte dell’inferno. 

Rimane però l’interrogativo di come sia stato possibile che un esercito che all’inizio del 2024 contava un organico di 220 mila uomini addestrati, reduci da una guerra urbana di 10 anni, siano stati incapaci di opporre qualsiasi resistenza a una forza di terra che non sarebbe riuscita nemmeno a conquistare Aleppo, se appunto l’esercito avesse opposto resistenza. Cosa è successo? 
Le ipotesi non sono poi molte, o i vertici dell’esercito hanno tradito Assad o Assad ha tradito il popolo siriano.

Sono state date alcune spiegazioni di natura socio economico e culturale, ma di fronte all’alternativa di essere governati dal governo corrente o da una gang di terroristi in continua guerra tra loro, nessuno sano di mente potrebbe aspettarsi di migliorare le proprie condizioni di vita. 
Ecco dunque che, se da un lato i calcoli completamente sballati di vivere una situazione di pace duratura sotto accordi di cessate il fuoco, ha invaghito la dirigenza siriana e lo stesso popolo, ormai stanco di una guerra su tutti i fronti, dall’altro l’alto comando dell’esercito siriano non solo non ha considerato l’ipotesi di un avanzamento dalla sacca di Iblid, predisponendo le opportune difese, trincee, campi minati, ecc.., ma quando questa si è verificata ha utilizzato i ridispiegamenti come metodo di contrattazione con la controparte. I terroristi democratici di Al Julani, sapevano che, di fronte alla resistenza dell’esercito siriano, non sarebbero riusciti a passare o comunque avrebbero subito perdite tali da non riuscire a conquistare Aleppo e poi Hama e poi Homs e poi Damasco. Da qui la conclusione che gli alti comandi si sono venduti al nemico, impedendo all’esercito di combattere. A questo si aggiunge la smobilitazione del 2020 fatta da Assad in persona, delle riserve con più di un anno di servizio militare, che ha tolo all’esercito siriano, personale spesso esperiente e motivato, lasciando praticamente alle forze di terra, solo reclute e comandanti più inclini alla corruzione che alla difesa del paese. Da quanto dicono alcune fonti militari poi, la Russia avrebbe proposto ad Assad una riorganizzazione dell’esercito siriano nel 2018, il cui costo venisse spalmato negli anni a venire. Pare che Assad abbia rifiutato.

Riguardo al ruolo di Iran e Russia, come possono due stati che distano migliaia di kilometri dalla Siria, aiutare un paese il cui esercito non combatte. 
Non possono essere due o tre brigate internazionali a salvare un paese che non vuole essere salvato. 
L’epilogo dell’esercito siriano è quanto di più ingiusto e denigrante per una forza che ha sacrificato centinaia di migliaia di uomini nella guerra per salvare una popolazione multietnica che rischiava di essere spazzata via dal fondamentalismo islamico dei gruppi armati finanziati dalle monarchie salafite del golfo. L’esercito arabo siriano alla fine del 2020 era una forza dirompente, capace di conquistare città enormi come Aleppo, con strategie militari efficaci. Quello che è arretrato di volta in volta all’avanzare di terroristi armati si, ma senza una vera e propria aviazione, è lo spettro di ciò che fu l’esercito siriano. 

Il popolo siriano potrà solo soffrire d’ora in avanti, degli errori di Assad e dei suoi generali. Gli sciiti, i cristiani, gli alawiti, in generale tutto il popolo che fino a ieri era fedele ad Assad, la classe media che è stata la spina dorsale del vecchio stato non ha nulla da guadagnare da questo cambio di regime che produrrà livelli di repressione non certo inferiori, riempendo le carceri di nuovi prigionieri. 

Se questa è la realtà dei fatti, non bisogna pensare in alcun modo che la coalizione di sigle estremiste che hanno provocato la caduta di Assad, adesso si ritroveranno in un governo. Queste sigle lottavano già tra di loro a Iblid, continueranno a farlo anche in Siria, producendo un caos enorme di cui Israele e la Turchia approfitteranno sicuramente. Seppur l’interesse generale internazionale vorrebbe una Siria sotto un unico governo, per ragioni a volte opposte, ma comuni in questa fase, ciò non si verificherà. 
Questi criminali hanno già dimostrato che non sono interessati a governare, ma a distruggere e saccheggiare il paese, consentendo ai loro sponsor di appropriarsi del territorio e distruggere l’infrastruttura militare del paese. 

Se per la Russia basterà forse accordarsi con il nuovo governo, per mantenere le basi militari nel Paese, l’Iran dovrà faticare non poco per tornare ad avere influenza nella regione, potrebbe finanziare qualche milizia filo iraniana in Siria, ma ciò avrà un effetto evidente solo a lungo termine, nel frattempo Teheran dovrà guardarsi bene le spalle, monitorare possibili rivolte, anche interne al suo esercito e probabilmente concludere la stagione della ambiguità riguardo all’arma nucleare. In queste condizioni l’Iran non può permettersi di non essere una potenza nucleare che, attraverso la deterrenza, scoraggia qualsiasi avventura militare contro di essa. La Cina è il grande assente di questa catastrofe, Pechino in questo caso ha preferito mantenere un basso profilo, che però potrebbe nuocere in termini di equilibri economici e di stabilità.
L’Iraq a sua volta dovrà scegliere definitivamente da che parte stare, per evitare di essere nuovamente smembrato e diventare per l’ennesima volta campo di battaglia di interessi contrapposti, che possono solo indebolire nuovamente il paese. 
Abbiamo scritto e detto più volte che la battaglia di Homs avrebbe ridisegnato il Medioriente. Cosi è stato: dopo Homs assistiamo ad un riequilibro generale e a nuovi connotati che saranno ben definiti solo nei prossimi anni. 

La Redazione de l'AntiDiplomatico

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