I Ruttiani

l'Ambasciatore Alberto Bradanini commenta la "galleria degli orrori" dell'ultimo vertice Nato e le implicazioni future di considerare la Russia "minaccia di lungo termine"

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I Ruttiani

 

di Alberto Bradanini*

3 luglio 2025

 

1. Come ogni anno al termine del Vertice Nato, eccoci qui a commentare ancora una volta la galleria degli orrori che emerge dal Comunicato Finale firmato dai sedicenti “Capi di Stato e di Governo dell'Alleanza del Nord Atlantico”. Tali autoproclamatisi padroni del mondo fanno venire le palpitazioni già nell’esordio, quando affermano che cotanta Alleanza è la più forte della storia, nobile e pacifico concetto questo, su cui si è successivamente dilungato l’attuale segretario generale Marc Rutte, un secondo omen nomen, dopo quello del suo predecessore Stoltemberg, entrambi reclutati per la loro capacità di rendere ancor più umiliante il vassallaggio europeo nei confronti del dominus atlantico.

Prima ancora di entrare nel merito, la domanda su cui pone l’accento il resto del mondo (6,4 miliardi di individui), al quale la citata distensiva riflessione filosofica è manifestamente rivolta, ha riguardato la tipologia di sostanze stupefacenti di cui fanno uso tali eccelse autorità. Con tale lessico corrosivo, infatti, cotanto raggruppamento di individui, cui anche un medico alle prime armi consiglierebbe un urgente trattamento disintossicante, mira a incutere terrore alle nazioni che si ostinano a resistere al saccheggio universale da parte dell’Impero del Bene, guidato dalle oligarchie statunitensi con accompagnamento ancillare della servitù europea.

Dopo l’immancabile richiamo all’art. 5 del Trattato di Washington, che riafferma il ferreo impegno alla difesa collettiva - su cui a decidere, sia detto en passant, sarà in ogni caso sempre e solo la Casa Bianca (che se fosse chiamata Nera renderebbe meglio l’idea!) - il documento sottolinea la saldezza della determinazione a proteggere la sicurezza di quel miliardo di cittadini che fanno parte dell’Alleanza (e che nessuno beninteso minaccia) e a salvaguardare la libertà e la democrazia in Occidente (invero in forte declino proprio a causa del liberticismo degli impopolari governi euro-atlantici), un Occidente che i restanti 7 miliardi di individui al mondo percepiscono per quello che è, una minaccia alla pace e alla loro indipendenza.


2. Il Comunicato afferma quindi che i paesi Nato sono più che mai uniti di fronte alle serie intimidazioni, minacce e sfide alla sicurezza, in particolare quelle di lungo termine provenienti dalla Russia. Ora, cosa mai nasconda la precisazione “di lungo termine” l’hanno forse in mente i cupi amanuensi della Cia, perché son loro che redigono e impongono ogni virgola di tali documenti al resto della platea atlantica, la quale si limita di norma a firmarli, qualche volta persino dopo averli letti. Su cosa fondino poi il convincimento che la Russia minacci di invadere paesi Nato, anche questo resta un mistero che sarà magari risolto dopo che siffatte personalità (si fa per dire!) politiche saranno trapassate, se non biologicamente almeno politicamente, mentre tale fabbricato convincimento viene frantumato da infinite e argomentate analisi di fonti alternative (il web ne è ricco per chi ha curiosità), fondate su logica e dati di fatto (che prendiamo la libertà di omettere, nell’assunto che a leggere queste righe non siano bambini di cinque anni, con ritardo conclamato).

Un’altra perla emergente dal documento in parola è costituita dal riferimento alla persistente minaccia del terrorismo, contro cui l’Alleanza è chiamata a rafforzare le sue difese, senza che tale sottolineatura abbia punto vaghezza ai citati governanti di riflettere sul profilo professionale dell’attuale leader di un paese chiamato Siria, Ahmad Husayn al-Shara, noto a suo tempo col nome di battaglia di Abu Muhammad al Jawlani (semplificato in al-Julani), che fino al novembre 2024 gli Stati Uniti (e quindi anche gli europei) avevano qualificato come spietato tagliagole di cristiani, al servizio di Isis, al-Qaida, al-Nusra e altre confraternite mediorientali dedite al bene comune.

L’oblio strategico imposto sui trascorsi passatempi del terrorista al-Julani da parte dell’Impero Atlantico, d’intesa con i compagni di merende, la Turchia del parolaio Erdogan e l’Usa-fratello Stato Ebraico, consente di risparmiare 10 milioni di dollari di taglia che nel maggio 2013 gli Stati Uniti avevano posto sulla sua testa, nel perseguimento del superiore obiettivo di smembrare la Siria e dividerne le spoglie tra i menzionati saccheggiatori. È così che, per caduta gravitazionale imposta, i ministri europei (tra i quali il cattolicissimo italiano) si precipitano a stringere la mano al fratello Julani. Non si può credere, facce di tola che più di tola di così difficile trovarne nel sistema solare!


3. Ma eccoci al clou del papier in questione, quello che sottolinea - con vivo compiacimento! - che gli alleati si impegnano a investire ogni anno nel settore della difesa il 5% del loro Pil entro il 2035 (una cifra astronomica di cui i paesi europei non avranno mai, dicesi, mai, a disposizione), per dare immaginifica attuazione agli obblighi collettivi ai sensi dell'art. 3 del Trattato, il quale beninteso non fa riferimento ad alcuna percentuale, ma ormai tutto può essere contraffatto o contraddetto, poiché il popolo conta un secco fico, non legge, non ascolta non chiede ragione di ciò né ora, né alle prossime elezioni. Democrazia dolce stil novo!

Mentre dovremmo rimpinguare le tasche già piene dei produttori di morte, vengono però totalmente obliterati gli obblighi contenuti nel Trattato di Non Proliferazione (TNP, sottoscritto da tutti i paesi rappresentati), che impongono di ridurre le spese della cosiddetta difesa, perché – oltre a comprimere i beni pubblici, scuole, ospedali e via dicendo - più si spende in armi più crescono le probabilità di un conflitto. Lo stesso TNP imporrebbe altresì alle potenze nucleari militari di ridurre i loro arsenali atomici, ma ahimé solo il padreterno può imporre a una potenza nucleare di fare alcunché. Se così stanno le cose, allora lorsignori, per favore, non disturbate i nostri timpani con termini nobili quali democrazia, diritto alla vita, convivenza pacifica, diritto internazionale, Trattati, convenzioni e via intortando: del resto, il cittadino-mondo, frastornato da smartphone e diavolerie varie, ha altro a cui pensare. D’altro canto, se i governanti di nazioni che si pretendono civili seguono la legge che vige nelle profondità della foresta amazzonica – che noi per semplificare chiamiamo della giungla – beh, allora tutto è drammaticamente chiaro.

Per tornare al tema, gli ingenti (e come detto velleitari) investimenti nelle armi dovrebbero garantire – secondo quei superiori cervelli - forza, capacità, risorse, infrastrutture, prontezza bellica e resilienza (non poteva mancare tale neologismo confondente) al fine di scoraggiare i nemici (?) e difenderci da essi (?), in linea con i tre compiti fondamentali di a) deterrenza e difesa, b) prevenzione, c) gestione delle crisi e sicurezza cooperativa. Stiamo freschi.

Ora, questo 5% comprende due categorie di investimenti, il 3,5% per esigenze dirette della difesa e il raggiungimento degli obiettivi di capacità Nato, e il restante 1,5% per costruire o proteggere infrastrutture critiche. Davanti alla trovata furbesca di molti paesi - tra cui l’Italia, con il Ponte di Messina – di inserirvi investimenti civili estranei alla cosiddetta difesa, per salvare la cosiddetta faccia, i padroni americani hanno manifestato visibile irritazione, non accettando di essere presi per il fondo schiena. In ogni caso, difendere le reti, garantire la preparazione civile e resilienza (ancora!), innovazione e industria della difesa, sono tutti ambiti che saranno riesaminato nel 2029, alla luce dell’evolversi degli eventi (e da parte di altre persone politiche, poiché quelle attuali saranno tutte, o quasi, defunte).

 Gli alleati – ecco una delle principali consegne imposte ai maggiordomi europei, più o meno ruttiani – s’impegnano altresì a eliminare le barriere commerciali e a favorire partnership industriali nel settore difesa, una consegna che, tradotto in lessico comprensibile, sta a significare che gli europei dovranno comprare le armi in questione soprattutto dai produttori americani e, dopo averle in qualche modo utilizzate, comprarne ancora e ancora, in un cerchio mortale senza deadline.


4. Se dunque il recente vertice Nato dell’Aja ha quest’anno partorito un comunicato asciutto, privo di quelle concettualizzazioni di alta programmazione strategica che avevano caratterizzato i deliranti vertici precedenti, prolissi e incomprensibili quanto una Bibbia in greco antico, non per questo, tuttavia, esso deve considerarsi un capitolo aggiuntivo del Vangelo secondo san Marco.

Sul tema Ucraina, sebbene non si parli (come ai Vertici 2022-23-24) di ingresso nella Nato, gli alleati riaffermano l’impegno a difenderne la sicurezza, perché questo contribuisce a sostenere la nostra (ma quando mai?), e a includere contributi diretti a quel governo (il più corrotto del sistema solare) nel calcolo delle spese. Ma il diavolo si nasconde nei dettagli. E dunque la strategia dei diabolici gnomi della Cia-Mi6 e dintorni, potrebbe essere più sottile. Se occorre rafforzare l’impianto trumpiano che prima o poi sarà necessario giungere a un compromesso con Mosca, che ne fa una questione pregiudiziale, per spostare il fronte imperiale in Estremo Oriente contro la Cina, allora è necessario ribadire “niente Nato per Kiev”. Mosca, però, non sarà per questo diventata amica, ma al massimo una nazione non nemica, essendo vista quale perenne alleata di Pechino, a sua volta vera sfidante dell’egemone unipolare.

Quanto all’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea, questo resta un obiettivo, anzi nel sotto-pensiero vonderLeyenesco, l’obiettivo cruciale dell’impianto di sicurezza europea (in mancanza dell’altro, che gli Usa non vogliono), di cui invero la bellicosa tedesca non avrebbe nemmeno titolo di occuparsi, essendo la difesa competenza primaria dei paesi membri e non della Ue.

Se l’ingresso nella Ue di Kiev è falsificato in termini di costi (enormi) e di qualificazioni richieste (discriminazione di coloro che parlano russo, ungherese, rumeno, polacco e altro) – esprimo qui l’auspicio che i gendarmi europei si rechino un giorno a casa vonderLeyen per sequestrarle tutti i beni fino al quarto grado di parentela e affinità – vi è un altro aspetto ancora più inquietante.

L’art. 42, punto 7, del Trattato di Lisbona, infatti, così recita: “qualora uno stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri stati membri sono tenuti a prestagli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità con l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite. Ciò non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni stati membri”. Mentre l’art. 5 della Nato è più chiaro, quello europeo è più involuto, ma nella sostanza dice la medesima cosa: se un paese viene aggredito, gli altri sono tenuti a intervenire. Sulla nozione di aggressione si potranno poi infiocchettare operazioni false flag o provocazioni Cia-Mi6 a non finire, basta volerlo! Quindi se l’Ucraina pur non entrando nella Nato, entrerà però nella UE, il rischio di una guerra allargata in Europa - in un mondo affollato di missili nucleari intercontinentali e altre diavoleria distruttive – sarà lo stesso, con buona pace dei confusi pacifisti euroinomani e persino, su un altro fronte, delle neutrali Austria e Irlanda.


5. Per concludere - dopo aver rivolto un pensiero ai martiri palestinesi che muoiono ogni giorno sotto le bombe disumane del macellaio B. Netanyahu, affiancato dal complice cripto-macellaio D. Trump e dai silenti complici europei, anch’essi quasi tutti aiuto-macellai – avvertiamo l’impulso di rivolgere una supplica a una mente eccelsa, da tempo non più in vita: caro George (Orwell), sempre ti saremo grati per gli ammonimenti e le riflessioni che hai avuto premura di lasciarci in eredità prima di entrare nei Campi Elisi. Oggi, tuttavia, più che mai avremmo bisogno del tuo intelletto per orientarci in un mondo dove ci sentiamo perduti. Trova dunque modo, dovunque tu sia, di fare qualcosa, perché, caro George, ci manchi tanto, ma proprio tanto!


[i] Ex-diplomatico. Già Ambasciatore d’Italia in Cina (2013-15), Coordinatore del Comitato Governativo Italia-Cina (2007-09), Console Generale d’Italia a Hong Kong (1996-98), Consigliere Commerciale all’Ambasciata d’Italia a Pechino (1991-96), Ambasciatore d’Italia a Teheran (2008-12), attualmente Presidente del Centro Studi sulla Cina Contemporanea (Reggio Emilia, Italia). Alberto Bradanini è autore di diversi saggi e libri, tra cui “Oltre la Grande Muraglia” (2018); “Cina, l’irresistibile ascesa” (2022) e “Lo sguardo di Nenni e le sfide della Cina”

Alberto Bradanini

Alberto Bradanini

Alberto Bradanini è un ex-diplomatico. Tra i molti incarichi ricoperti, è stato anche Ambasciatore d’Italia a Teheran (2008-2012) e a Pechino (2013-2015). È attualmente Presidente del Centro Studi sulla Cina Contemporanea.

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