I guerrafondai della Nato sbraitano: bluff, follia o speranza nel caso?

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I guerrafondai della Nato sbraitano: bluff, follia o speranza nel caso?

 

di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

 

Le cose non si mettono bene per nulla per qualcuno; in particolare a ovest. Come in altri periodi storici, i guerrafondai sbraitano e fanno i gradassi, impongono al mondo gravi perdite di vite umane. Ma, alla lunga, anche a costo di grandi sacrifici, le forze popolari e anche i settori economici che hanno da guadagnare soltanto da condizioni non belliche, riescono ad avere il sopravvento e ricondurre la situazione a uno stato di “normalità”.

Dunque, l'argomento del giorno, che viene riproposto in queste ore, è quello dei due bellimbusti che tornano a parlare di spedire truppe in Ucraina. Di quali armigeri si tratti – personale addetto alla programmazione di Scalp e Storm Shadow, o truppe di terra e mercenari - fa poca differenza: ci sarebbe in ogni caso uno scontro diretto con le forze russe sul teatro ucraino, pur se tali mosse presuppongano il crollo della junta di Kiev o la presunzione di imporre a Mosca un congelamento del conflitto alle condizioni franco-britanniche, con la presenza di contingenti d'occupazione NATO su quanto potrebbe restare di terra ucraina in mani occidentali. Sono convinti, gli idioti, di poter impartire ordini, oggi, a Mosca. Cretini.

A far da sponda ai due bulli “cis-trans-manicali”, ci si è messo in questi giorni l'altro sbruffone, il danese messo a capo del Comitato militare della NATO, l'ammiraglio Rob Bauer, il quale, non pago delle precedenti esternazioni sulla auspicabile presenza di forze NATO in Ucraina, ma solo se Mosca non avesse armi nucleari (“che disgrazia l'atomica”, si potrebbe rispondergli, parafrasando Griboedov) parla ora addirittura di colpi d'anticipo contro la Russia in caso di conflitto armato, senza aspettare l'attacco nemico prima di reagire. Cioè, Bauer vaneggia di attacchi di precisione che mettano fuori uso i sistemi di lancio nemici: «è questa una nuova discussione nella NATO e sono lieto che sia cambiato l'atteggiamento rispetto all'idea che siamo un'alleanza difensiva che, per reagire, rimane seduta ad aspettare l'attacco russo».

C'è solo da “salutare” tanta sincerità; ecco uno smargiasso che almeno spiattella le cose come stanno e qualifica la NATO per quello che è sempre stata: una combriccola di guerra che dal 1949 si è invece sempre presentata quale alleanza difensiva che va per il mondo a “portare la democrazia”. Per il resto, se uno così dirige le flotte come “argomenta” le teorie, compatiamo i suoi equipaggi: «portare colpi preventivi», come dice lui, «se la Russia attacca», costituisce un “rollio” dell'analisi logica che rischia lo sbandamento dello scafo perché, se «la Russia attacca», quelli della NATO non sono più colpi “preventivi”, bensì di risposta. Se invece la Russia non attacca, allora l'ammiraglio vuol dire chiaro e tondo che non c'è nulla di “preventivo”, ma una chiara e diretta volontà di guerra.

Ha così buon gioco la portavoce del Ministero degli esteri russo, Maria Zakharova (per la quale, ci sia permesso un inciso, non nutriamo alcuna simpatia, da quando ne abbiamo sentito le esternazioni su Stalin che «dovrebbe bruciare all'inferno»), a notare che alla NATO non hanno ancora ben introitato le basi della nuova dottrina nucleare russa e, soprattutto, aggiungiamo noi, non sembrano rendersi conto di quanto possano risultare indigesti quei “grappoli di nocciolo”, che cadano sulle basi euro-atlantiche sparse nel vecchio continente, su bunker majdanisti o al di là dell'Oceano. E c'è da chiedersi, nota Elena Panina su news-front.su, cosa prevalga nelle reazioni dei politici occidentali: bluff, follia o speranza nel caso? Secondo una moderna letteratura militare russa, la fase che stiamo attraversando è quella delle ostilità locali con l'uso di armi convenzionali: una fase di deterrenza politica e militare. Si passa però poi al conflitto su larga scala, sempre con armi convenzionali: una fase che «potrebbe arrivare in qualsiasi momento tra dicembre e marzo» - se davvero, per esempio, i bighelloni di cui sopra portassero truppe NATO in Ucraina - e, se non si riuscirà a evitarla, lo scenario successivo sarebbe quello nucleare.

E, anche in quel caso, è ormai da tempo acclarato come siano oggi impossibili attacchi improvvisi - lo stesso lancio di “Orešnik” è stato preceduto da 30 minuti di preavviso a Washington: questo, soprattutto per volontà russa di de-escalation, ma anche di avvertimento, dopo il via libera concesso a Kiev per il lancio di missili euro-yankee contro la Russia – dato che già i movimenti preparatori dei lanci missilistici rivelano all'istante le intenzioni belliche, consentendo all'avversario di lanciare a sua volta. E se l'ipersonico “Nocciolo” balistico arriva su Berlino, per dire in 11 minuti, o su Roma in 15, oppure in 5 minuti su Londra, se lanciato da Kaliningrad, senza possibilità di scampo, ecco che, però, da Washington hanno tutto il tempo di lanciare, prima di venir distrutti, distruggendo a loro volta Mosca.

Ma, è utile ribadirlo, nonostante qualche imbecille allo SM britannico sbavi di esser pronto, «anche stasera stessa», a scontrarsi coi russi, o un “ministro ombra” di sua maestà vomiti un «Non ascoltiamo nessuno. Dobbiamo colpire la Russia», ecco che, però, non pochi “spavaldi guerrieri” (fino a mezz'ora prima) proprio a Londra, o anche Berlino o Roma, sono rimasti abbastanza frastornati dal boato di “Orešnik” su Dnepropetrovsk, la cui potenza (per non parlare della velocità!) ha sfondato come burro tre piani sotterranei, ciascuno alto 6 metri, della “JužMaš”; frastornati e inebetiti da un razzo in grado di colpire obiettivi in tutta Europa e di cui Mosca, come ha dichiarato Vladimir Putin, ha già deciso produzione in serie e «continuerà a testare i missili più moderni, anche in condizioni di combattimento, in base alle minacce alla propria sicurezza».

E, ciononostante, è innegabile che, pur notandosi una discreta contrazione nella volontà occidentale di sostenere la junta nazista di Kiev, USA e loro “alleati” sono ancora disposti a foraggiarla, fornendole nuovi mezzi militari – è di poche ore fa la dichiarazione del Ministro della guerra britannico John Healey di aver discusso con l'omologo nazi-golpista Rustem Umerov il raddoppio degli aiuti a Kiev - e alzando così ancor più la posta in gioco nel confronto con la Russia, nel quadro della strategia generale euro-atlantica di graduale aumento di confronto diretto con la Russia, saltando sempre nuove e più pericolose “linee rosse” di guerra aperta. Non per nulla, The New York Times riferisce di funzionari yankee e europei che cianciano sulla possibilità che Washington fornisca a Kiev armi nucleari.

Così, nota Dmitrij Novikov sulle Izvestija, attacchi missilistici sul territorio russo costituiscono di per sé il passaggio da un conflitto su vasta scala nelle regioni di confine, a una guerra totale fino all'interno della Russia. E, quantunque, secondo informazioni indirette, la decisione di espandere la geografia degli attacchi riguardasse le aree di confine, «non c'è dubbio che nella fase successiva si colpirebbero infrastrutture alla massima distanza possibile, per poi estenderne la pratica su massima scala». Cioè, quanto già detto sopra sulle varie e successive fasi delle ostilità.

E questo non è ammissibile, perché lasciare impuniti attacchi missilistici e consentendone l'allargamento contro una potenza nucleare, minerebbe definitivamente la sicurezza nucleare globale, che «si basa, tra l'altro, sul tacito principio della inviolabilità dei paesi in possesso di armi nucleari e sull'equilibrio strategico nelle relazioni tra di essi. In questo senso, la squadra di politica estera di Biden ha oltrepassato i propri principi, ammesso che ne abbia ancora», afferma Novikov.

In concreto, non c'è da aspettarsi che nuovi missili e nuova dottrina nucleare russa fermino le smanie dei guerrafondai euro-atlantici, convinti di rimanere comunque più forti, sia della Russia, che «dell'intero gruppo di stati convenzionalmente “anti-occidentali”, quali Cina, Iran, Corea del Nord e altri. Tuttavia, giocando di forza, Mosca può contare su vantaggi tattici, o quantomeno, gettare le basi per una futura normalizzazione delle relazioni con l'Occidente alle proprie condizioni».

Insomma, al momento è quantomeno prematura, o dubbia, la speranza in un arresto della escalation di confronto politico-militare: a dimostrarlo, sono sufficienti i due attacchi con 13 ATACMS portati dai nazi-golpisti negli ultimi due giorni contro la regione di Kursk. Si attendono ora nuovi “Orešnik”: e più in profondità.

 

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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