I Biden. Passato e presente di un'ascesa lunga cinquant'anni
Il libro di Ben Schreckinger “The Bidens. Inside the First Family’s fifty-year rise to power” di Ben Schreckinger”, rivisita in chiave provocatoria la definizione della famiglia Biden proposta dallo scrittore Jules Witcover: ”una famiglia cattolica irlandese particolarmente unita che ha messo la lealtà, insieme alla religione, al di sopra di ogni altra considerazione.”
Il libro mette l'immagine della famiglia Biden alla prova delle vicende internazionali in cui Joe Biden è coinvolto insieme al figlio Hunter, vicende che pongono pesanti ambiguità sugli intrecci tra politica e affari della coppia padre-figlio.
Molte sono le inchieste giornalistiche che si sono susseguite con il rinvenimento di documenti compromettenti in un computer del figlio dell'attuale presidente degli Stati Uniti, documenti che testimoniano grossi movimenti bancari, rapporti controversi con figure della politica e della finanza internazionale, oltre al materiale pornografico che ritrae Hunter in compagnia di varie prostitute.
Il “caso Hunter” non ha arrestato la corsa di Joe Biden alla presidenza, ma continua a rappresentare uno dei talloni d'Achille dell'attuale amministrazione, alle prese - come riportato anche da un'inchiesta di Us Today - con un drastico calo del gradimento da parte dei propri elettori e della società statunitense in generale.
Il pesantissimo calo di consenso sembra spingere l'attuale presidente statunitense ad alimentare l'isteria antirussa e la retorica della guerra, forse nella speranza che questo espediente possa aiutarlo nelle elezioni mid-term che si svolgeranno il prossimo novembre.
Il “caso Hunter” è stato riportato ripetutamente all'attenzione dell'opinione pubblica statunitense ed internazionale: pochi mesi fa, ad esempio, il rappresentate repubblicano dell’Ohio Jim Jordan si è detto intenzionato a sollecitare inchieste giudiziarie sulle controversie che riguardano il caso.
La vicenda ha suscitato un clamore notevole muovendo la pubblicazione di libri, come “Laptop from Hell” di Miranda Devine e la realizzazione di serie tv: tutto lascia intendere, insomma, che le vicende di Hunter siano destinate ad entrare a far parte della cultura popolare statunitense. Ben Schreckinger estende il focus del suo libro all’intera carriera politica di Joe, nella quale la famiglia avrebbe avuto un ruolo importante. I connotati della “dinastia Biden”, non diversamente da quelli della “dinastia Kennedy” appaiono nella lettura di Ben Schreckinger del tutto antitetici al mito del self-made man, mito a cui spesso viene accostata la cultura statunitense.
Come sottolineato dal Times e come riportato dall’autore, anche la campagna elettorale del 1972 ebbe un risvolto “familiare”, venendo condotta “alla maniera dei Kennedy”: ogni componente della famiglia Biden si trovava infatti a svolgere un ruolo ben preciso all'interno della campagna elettorale. L’avversario di Joe Biden era allora il repubblicano James Caleb Boggs, figura che nel 1972 vantava già un'esperienza decennale come senatore.
A causa di uno sciopero condotto nelle giornate a ridosso delle elezioni dai camionisti e dai tipografi sindacalizzati, alcuni giornali in cui era allegato un inserto di propaganda repubblicano non furono distribuiti. I volontari repubblicani distribuirono a mano l’inserto, ma in tempi troppo ristretti per consentire una diffusione efficace. Joe Biden vinse le elezioni il 7 novembre 1972 con un stacco di circa 4.000 voti e divenne senatore in rappresentanza dello stato del Delaware.
La vicenda della campagna elettorale del 1972 tornò alla ribalta delle cronache nel 2004 con l'uscita del libro-intervista di Charles Brandt sul famoso killer della mafia Frank “the Irishman” Sheeran: il libro, intitolato I Heard You Paint Houses, ispirò anche il film “The Irishman” di Martin Scorsese. Nella lunga intervista realizzata da Charles Brandt, Frank Sheeran confessa l’omicidio di Jimmy Hoffa, leader del sindacato dei Teamsters - sindacato degli autotrasportatori - ma a destare ancora più scalpore è l’attività di Sheeran in relazione all’elezione di Biden del 1972.
Frank Sheeran era, come Joe Biden, di origine irlandese ed in quel periodo lavorava per il sindacato di Jimmy Hoffa a Wilmington, città natale dell'attuale presidente degli Stati Uniti. Stando a quanto da lui riferito, all'inizio della campagna elettorale Frank Sheeran aveva negato al repubblicano James Caleb Boggs il sostegno che questo avrebbe voluto ricevere dal sindacato. Un sostegno che invece sembrerebbe essere non essere mancato all'allora futuro senatore democratico. In seguito alla pubblicazione del libro di Charles Brandt, Biden ha negato l'esistenza di qualsiasi rapporto con Frank “the Irishman” Sheeran, ormai peraltro deceduto.
Molto interessante, nel testo di Ben Schreckinger, è il riepilogo dell'impegno di Joe Biden nel contrasto all'uso ed al commercio degli stupefacenti. Nel corso degli anni ottanta Joe Biden ha portato avanti una posizione intransigente rispetto ai reati legati al traffico ed al consumo di droghe: negli anni della presidenza Reagan è stato coautore del pacchetto di leggi Comprehensive Crime Control Act approvato nel 1984 e comprensivo di vari provvedimenti adottati che aumentarono le pene per il possesso di marijuana stabilendo pene minime per i tutti i reati legati agli stupefacenti.
Mentre in tutte le metropoli statunitensi dilagava l’uso del crack, Joe Biden si impegnò a promulgare anche un'altra legge - Anti-drugs Abuse Act - approvata nel 1986. Il provvedimento irrigidì ulteriormente i provvedimenti legati agli stupefacenti imponendo pene durissime per il possesso di crack, ed arrivando persino a determinare un paradosso: la pena con cui si prevedeva di punire il possesso di cinque grammi di crack era sostanziamene la medesima con cui si sarebbe punito il possesso di cinquecento grammi di cocaina, sostanza ben più costosa specie negli anni ottanta e quindi nella disponibilità quasi esclusiva dei benestanti.
Molti anni dopo le problematiche legate al crack avrebbero interessato anche la famiglia Biden, con le note vicende legate alle dipendenza di Hunter. E' lo stesso Hunter a scrivere nella sua biografia “Beautiful things”: “Compravo il crack per le strade di Washington, e mi «cuocevo» la dose nel bungalow di un albergo di Los Angeles”. Ma nonostante i propositi che negli anni ottanta aver mosso la politica della “tolleranza zero” di Joe Biden, Hunter non sembra non aver ricevuto alcuna punizione esemplare.
Oltre ad essere fortemente stigmatizzata dall'elettorato repubblicano, la condotta non esattamente invidiabile di Hunter sembra essere poco apprezzata anche da quello democratico: ma al di là della frequentazione di prostitute e dell'abuso di droghe e di alcool con cui Hunter B. si è contraddistinto, da parte della corrente amministrazione non c'è finora stato alcun chiarimento convincente sulla posizione da lui ricoperta in Ucraina e sugli “affari cinesi” in cui è stato coinvolto. Mentre le elezioni di medio termine si avvicinano l'imbarazzo dell'amministrazione Biden sembra farsi ogni giorno meno dissimulabile: intanto lo spettro dell'impeachment si aggira per la Casa Bianca.