"Vietato ai Cani e agli Italiani". Alain Ughetto racconta l’immigrazione italiana in Francia

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"Vietato ai Cani e agli Italiani". Alain Ughetto racconta l’immigrazione italiana in Francia



Tutto è cominciato in Italia, all’ombra del Monviso, in una casa dove vivevano insieme in una stanza undici fratelli, due capre, un asino e qualche coniglio.
Ogni inverno, prima delle grandi nevicate, metà della popolazione del paesino piemontese emigrava in Francia.

Un giorno Luigi Ughetto decise di attraversare le Alpi e di non fare più ritorno al paese. Voleva costruirsi una nuova vita all’estero. Voleva trovare la sua «Merica», la terra dei sogni, del benessere, dei «Barbettoni», dei verdoni -  degli skei facili che crescono sugli alberi.
Ughetto lascia dunque il Piemonte, e si porta dietro la moglie Cesira e i figli. Destinazione la Provenza.

La storia non sarà facile. Non era facile per gli emigranti raggiungere e vivere in Belgio, in Germania, in Svizzera. Mia nonna, come monito o maledizione, in dialetto, mi diceva «Chi vu jire oriunnu u munnu u munnu», che il tuo destino maledetto sia il mondo, che la tua casa maledetta sia il mondo.
Ognuno ha la propria idea di mondo e mondialismo, ognuno vive il suo essere cittadino del mondo, e per noi nati con la valigia di cartone, dover diventare cittadini del mondo era una disgrazia. La globalizzazione era una disgrazia, i voli aerei e l’esotismo erano una disgrazia. Una promessa di ricchezza, ma anche una maledizione, una disavventura, condita di cibi speziati e piccanti, di vestiti stravaganti, di pettinature ardite e brillantina.
La storia di questa emigrazione, con le sue miserie e i suoi successi, è raccontata dal regista francese Alain Ughetto, nipote di emigranti, nel film «Interdit aux chiens et aux Italiens».

Il film è bello. Girato con la tecnica d’animazione dello stop-motion. È uscito nelle sale il 25 gennaio. Le musiche sono di Nicola Piovani. Ha già ricevuto diversi riconoscimenti.

In questo film, dice il regista, mi interessava portare in primo piano il tema del lavoro. Volevo mostrare e raccontare le persone che hanno costruito le infrastrutture della Francia: tunnel, strade, ponti, dighe. Persone che sono rimaste completamente invisibili, e non perché hanno scelto di nascondersi. Vite che si sono consumate e perse nelle opere che hanno costruito, diventate memoria vivente e muta di una storia senza gloria e senza fama.

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