"Un nuovo ineluttabile futuro, senza Democrazia, Libertà, Stati" - Guido Salerno Aletta
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RECENSIONE DI NON CI FIDIAMO PIU': Un nuovo ineluttabile futuro, senza Democrazia, Libertà, Stati
di Leo Essen
Nel 2001 la Old Economy, perlopiù trapiantata in Cina, presenta il conto. Il deficit commerciale degli Stati Uniti con la Cina ammonta a 83,8 miliardi di dollari.
Nel 2008 la cifra sale a 268, per poi arrivare a 308 miliardi nel 2020. La New Economy ha perso, non ha fatto grande l’America, i Big Pharma e i Big Tech hanno raccolto le briciole.
Il 2001 segna la fine della Grande Illusione. Il progetto di costruire un Impero basato sull'integrazione internazionale della catena del valore (anziché sulla tradizionale libertà del commercio), supportato dalla finanza e comandato a distanza tramite Internet (già una struttura militare), fallisce. La Cina non diventa una sorta di colonia statunitense, vanificando il progetto imperiale di assorbire il surplus prodotto dalle periferie.
Se si vogliono trovare le cause, bisogna risalire agli anni Settanta del secolo scorso. Il 1971 è l’anno di svolta per l’America (e per l’Italia). Per la prima volta, la bilancia commerciale degli Stati Uniti diventa negativa nel suo complesso. Successivamente, nel 1973, scoppia la strana guerra del Kippur, che attiva il sistema dei petrodollari, usato per scolmare le casse europee giocando sul prezzo del petrolio. Ma sono manovre che non invertono la rotta.
Poi arrivano Thatcher e Reagan, e per l’Occidente (atlantico) il disastro si annuncia con la curva di Laffer e i predicozzi di Milton Friedman. Se abbassi le tasse ai ricchi, dice Laffer, questi spenderanno e spenderanno, e ne beneficeranno tutti, soprattutto i poveri, che anziché sottostare alle temperie della stagflazione staranno sotto un padrone, che però li pagherà, e li pagherà quel tanto che basta ad assicurare loro e alla loro progenie un servaggio dignitoso, ma a vita – di più, ereditabile.
All’Italia la Reaganomics taglia le gambe. A farne le spese è soprattutto il Mezzogiorno, dove la neonata industria di base è strozzata dagli intessessi sul debito.
Zoppicando, e accumulando un enorme debito pubblico, l’Italia arriva al 12 settembre 1992, e alla svalutazione (tardiva) della lira che regala 18,5 miliardi di dollari agli spalloni in tweed.
La soluzione a tutti i mali si chiama Euro. Sono tutti contenti di entrarci, a destra e a sinistra. Ma è una soluzione che non va bene. Lo si scopre troppo tardi, quando i giochi sono fatti e l'Italia ha perso buona parte della sua formidabile industria.
La storia incalza. Siamo al 2008. E le cose vanno tutt'altro che bene.
Tra il 2008 e il 2022 il PIL reale dell’eurozona è cresciuto di soli 1.248 miliardi di euro (un aumento del 10%, meno di un punto percentuale all'anno). Numeri ridicoli. L'Italia perde (cumulativamente) 1.598 miliardi di euro – un anno di PIL andato in fumo, un anno perso, un anno di fame.
A far tremare il mondo intero è ancora il Leviatano moribondo, con la sua ingegneria finanziaria e le trovate da casinò per scaricare sui soci europei le spese di quello che Marx nel 18 Brumaio chiama rogue state, uno stato di sottoproletari che vivono di ciò che il Leviatano riesce a spreme dal resto del mondo.
Quello del 2008 è stato un vero e proprio Default. Nel 1971, i paesi che avevano esportato negli Stati Uniti e che in cambio avevano ricevuto Dollari di carta (promesse di pagamento) non avrebbero potuto convertirli in oro, ma potevano tranquillamente utilizzare i dollari per acquistare beni di consumo sui mercati internazionali. Nel 2008, i creditori degli Stati Uniti, che avevano sottoscritto i famigerati titoli Sub-prime (promesse di pagamento) in cambio di liquidi (dunque in cambio di merci), si sono resi conto che non avevano altro in mano se non carta straccia. L’America non aveva mantenuto la promessa.
Non ci si poteva più fidare.
Infine, si arriva al Green Deal – la frontiera verde. La New Economy è stata un fallimento, e lo è stata perché i valori d’uso creati (e sono stati molti) non si sono tradotti in valori di scambio, dunque non hanno generato economia, non si sono iscritti a bilancio, se non come fuffa e carta finanziaria (emblematico è il caso di Tiscali), svalutando – anzi, de-valutando – intere filiere produttive, cacciando dal mercato rispettabili mestieri e professioni, col la promessa di trasformare tutti in ingegneri e programmatori di app, promessa che è stata vanificata da quegli stessi valori d’uso che insistono nel replicarsi e riproporsi come Intelligenza Collettiva Artificiale. Siccome, dicevo, la New Economy è stata un fallimento, si cerca, incassata la lezione, di rimediare con la Green Economy. E la lezione dice di sostituire le filiere che non assorbono capitali per investimenti con filiere più ricettive, più controllabili, più domestiche. Ma le premesse non sono rosee.
Si tratta di un libro straordinario che attraversa oltre un secolo di storia mondiale, con dati e numeri dettagliati, che ho letto tutto d'un fiato, che ho sottolineato e commentato, e che terrò sempre a portata di mano per quando avrò bisogno di chiarirmi le idee e capire chi siamo, cosa siamo diventati.
Nel 2008 la cifra sale a 268, per poi arrivare a 308 miliardi nel 2020. La New Economy ha perso, non ha fatto grande l’America, i Big Pharma e i Big Tech hanno raccolto le briciole.
Il 2001 segna la fine della Grande Illusione. Il progetto di costruire un Impero basato sull'integrazione internazionale della catena del valore (anziché sulla tradizionale libertà del commercio), supportato dalla finanza e comandato a distanza tramite Internet (già una struttura militare), fallisce. La Cina non diventa una sorta di colonia statunitense, vanificando il progetto imperiale di assorbire il surplus prodotto dalle periferie.
Se si vogliono trovare le cause, bisogna risalire agli anni Settanta del secolo scorso. Il 1971 è l’anno di svolta per l’America (e per l’Italia). Per la prima volta, la bilancia commerciale degli Stati Uniti diventa negativa nel suo complesso. Successivamente, nel 1973, scoppia la strana guerra del Kippur, che attiva il sistema dei petrodollari, usato per scolmare le casse europee giocando sul prezzo del petrolio. Ma sono manovre che non invertono la rotta.
Poi arrivano Thatcher e Reagan, e per l’Occidente (atlantico) il disastro si annuncia con la curva di Laffer e i predicozzi di Milton Friedman. Se abbassi le tasse ai ricchi, dice Laffer, questi spenderanno e spenderanno, e ne beneficeranno tutti, soprattutto i poveri, che anziché sottostare alle temperie della stagflazione staranno sotto un padrone, che però li pagherà, e li pagherà quel tanto che basta ad assicurare loro e alla loro progenie un servaggio dignitoso, ma a vita – di più, ereditabile.
All’Italia la Reaganomics taglia le gambe. A farne le spese è soprattutto il Mezzogiorno, dove la neonata industria di base è strozzata dagli intessessi sul debito.
Zoppicando, e accumulando un enorme debito pubblico, l’Italia arriva al 12 settembre 1992, e alla svalutazione (tardiva) della lira che regala 18,5 miliardi di dollari agli spalloni in tweed.
La soluzione a tutti i mali si chiama Euro. Sono tutti contenti di entrarci, a destra e a sinistra. Ma è una soluzione che non va bene. Lo si scopre troppo tardi, quando i giochi sono fatti e l'Italia ha perso buona parte della sua formidabile industria.
La storia incalza. Siamo al 2008. E le cose vanno tutt'altro che bene.
Tra il 2008 e il 2022 il PIL reale dell’eurozona è cresciuto di soli 1.248 miliardi di euro (un aumento del 10%, meno di un punto percentuale all'anno). Numeri ridicoli. L'Italia perde (cumulativamente) 1.598 miliardi di euro – un anno di PIL andato in fumo, un anno perso, un anno di fame.
A far tremare il mondo intero è ancora il Leviatano moribondo, con la sua ingegneria finanziaria e le trovate da casinò per scaricare sui soci europei le spese di quello che Marx nel 18 Brumaio chiama rogue state, uno stato di sottoproletari che vivono di ciò che il Leviatano riesce a spreme dal resto del mondo.
Quello del 2008 è stato un vero e proprio Default. Nel 1971, i paesi che avevano esportato negli Stati Uniti e che in cambio avevano ricevuto Dollari di carta (promesse di pagamento) non avrebbero potuto convertirli in oro, ma potevano tranquillamente utilizzare i dollari per acquistare beni di consumo sui mercati internazionali. Nel 2008, i creditori degli Stati Uniti, che avevano sottoscritto i famigerati titoli Sub-prime (promesse di pagamento) in cambio di liquidi (dunque in cambio di merci), si sono resi conto che non avevano altro in mano se non carta straccia. L’America non aveva mantenuto la promessa.
Non ci si poteva più fidare.
Infine, si arriva al Green Deal – la frontiera verde. La New Economy è stata un fallimento, e lo è stata perché i valori d’uso creati (e sono stati molti) non si sono tradotti in valori di scambio, dunque non hanno generato economia, non si sono iscritti a bilancio, se non come fuffa e carta finanziaria (emblematico è il caso di Tiscali), svalutando – anzi, de-valutando – intere filiere produttive, cacciando dal mercato rispettabili mestieri e professioni, col la promessa di trasformare tutti in ingegneri e programmatori di app, promessa che è stata vanificata da quegli stessi valori d’uso che insistono nel replicarsi e riproporsi come Intelligenza Collettiva Artificiale. Siccome, dicevo, la New Economy è stata un fallimento, si cerca, incassata la lezione, di rimediare con la Green Economy. E la lezione dice di sostituire le filiere che non assorbono capitali per investimenti con filiere più ricettive, più controllabili, più domestiche. Ma le premesse non sono rosee.
Si tratta di un libro straordinario che attraversa oltre un secolo di storia mondiale, con dati e numeri dettagliati, che ho letto tutto d'un fiato, che ho sottolineato e commentato, e che terrò sempre a portata di mano per quando avrò bisogno di chiarirmi le idee e capire chi siamo, cosa siamo diventati.