“Il salario minimo non vi salverà”: oltre la falsa polemica sulla legge più discussa del momento
di Giulia Bertotto per l'AntiDiplomatico
Nelle 142 scorrevolissime pagine de “Il salario minimo non vi salverà” (Fazi 2024) Savino Balzano dichiara di voler sgombrare il campo di discussione da quelle dicotomie fittizie impostate sulla semplificazione “salario minimo sì, salario minimo no”: infatti, come molti temi della nostra attualità, quello sul limite legale di paga oraria è un’antitesi illusoria, una falsa diatriba, una polarizzazione utile solo a chi non solo non intende risolvere il problema oggetto della polemica ma bensì lo ha coscientemente creato. Non per questo Balzano si astiene dal prendere una posizione, la quale è anzi molto netta e non offre sconti né consolazioni. L’autore, capitolo per capitolo, scava molto più a fondo di questa legge e molto più indietro nella storia dello scollamento tra Lavoro e Costituzione italiana.
Balzano, da anni sindacalista e autore, smaschera il mondo del sindacato e tutta quella classe dirigente che ci raggira raccontandoci di voler contenere la disoccupazione mentre la nutre, o che esalta la ricetta secondo cui la flessibilità aumenterà le opportunità di lavoro, mentre le falcia. Il sentiero è impervio e le trappole subdole, ma la meta è chiara: rifondare il legame tra lavoro e democrazia in quanto il lavoro è partecipazione sociale, appartenenza comunitaria, dimensione collettiva di rivendicazione dei propri diritti che oggi vengono deliberatamente umiliati dalla narrazione del bamboccione.
Per ogni lavoratore il lavoro è al contempo un bisogno materiale e di dignità, e al contempo emancipazione dallo stesso, per i grandi gruppi finanziari il lavoro è solo un mercato e la merce è il lavoratore: tale merce deve restare a basso costo, e per restare a basso costo deve perdere il potere contrattuale e quindi la disoccupazione deve restare alta. La favola della flessibilità, del posto fisso noioso, della luccicante opportunità di fare tutti gli influencer alternata alla retorica dei fannulloni; questa la sovrastruttura ideologica e “In Italia qualcuno ci casca”[1].
IL SALARIO MINIMO: NEL CONTESTO ITALIANO UNA TAGLIOLA NASCOSTA
Il salario minimo è uno strumento che, se inserito in un sistema patologico e strutturalmente corrotto come quello italiano, non può che aggravare la situazione: in “un contesto nel quale l’offerta di lavoro è ben assorbita dal mercato -e dunque il potere contrattuale e politico dei lavoratori è consistente- indurrà il salario minimo legale a fungere da trampolino, da slancio per le retribuzioni. Viceversa, in un contesto nel quale a farla da padrona è la domanda -e conseguentemente il potere politico e contrattuale dei lavoratori è debole- allora il salario minimo legale non potrà che divenire una zavorra verso il basso, verso il minimo (…)”[2].
Balzano aggiunge, dato da non poco conto, che per la maggior parte dei lavoratori è tutelato dai contratti collettivi di lavoro ed è perciò superfluo. Le aziende poi potrebbero impugnarlo contro la classe lavoratrice stessa: se bastano 9 euro l’ora per avere un mestiere dignitoso (quello cioè che la nostra Costituzione detta) perché mai dovrebbero spendere per una remunerazione maggiore? L’appiattimento verso il basso è dietro l’angolo.
Inoltre, la proposta, secondo la sua ultima formulazione, sarebbe ancorata alla produttività dell’azienda, la quale però è a sua volta determinata diversi fattori interni ed esterni alla stessa e non certo solo dallo zelo dei dipendenti. Il salario minimo è per giunta suscettibile della sempre più sfacciata logica emergenziale: calamità di tipo sanitario, bellico, ambientale, infatti potrebbero legittimare trattenute dello stipendio direttamente da parte dello Stato.
“La genialità del disegno è davvero sconvolgente e, differentemente che al fronte del lavoro, al grande capitale va riconosciuto di avere sempre nutrito una visione chiarissima: con i tagli allo stato sociale, abbracciando l’austerità al fine di soffocare ogni slancio espansionistico, ci si allontanava dall’imperativo costituzionale della piena occupazione. Alimentando la disoccupazione si intaccava mortalmente il potere contrattuale e politico dei lavoratori nel mercato del lavoro, erodendo i primi diritti e consentendo di avviare la precarizzazione senza troppe resistenze. (…) e intanto la via della precarizzazione veniva proposta come la “soluzione” a ciò che si era volutamente edificato”[3]. E ora si fa credere all’opinione pubblica che i buoni sostengono il salario minimo e i cattivi lo respingono, mentre l’unico antidoto reale è quello che non prevede leggi scorciatoia, magnanimità nei periodi elettorali, e sta nelle politiche espansive mirate alla piena occupazione; le uniche, spiega l’autore, in grado di rilanciare il potere politico e contrattuale dei lavoratori.
La funzione del salario minimo? Secondo Balzano lo suggeriva già il maestro del liberismo inglese F. August von Hayek: “Serve un reddito minimo di cittadinanza a livello sufficiente affinché i poveri non raggiungano un grado di disperazione tale da rappresentare un pericolo fisico per le classi ricche”. Hanno pensato davvero a tutto.
LA MUTAZIONE GENETICA DEL LAVORO NEL LABORATORIO UNIONE EUROPEA
L’autore ci racconta con agilità stilistica, ma anche con l’impeto emotivo che la questione suscita, la mutazione genetica del tessuto sociale degli ultimi decenni e il corrispondente declino della consapevolezza collettiva in merito al rapporto tra stato di diritto e lavoro: i processi di flessibilizzazione avviati negli anni ’90 ma preparati già dalla fine degli anni ’70 quando “il PCI aveva abbracciato la via dell’austerità espressamente sostenuta dal segretario Enrico Berlinguer”[4], l’introduzione dei contratti a tempo determinato e del lavoro interinale, la precarietà reale e quella usata come minaccia psicologica anche contro il lavoratore a tempo indeterminato. E ancora il processo di desertificazione bancaria, istituti di credito accorpati in grandi gruppi finanziari e rese “ancelle della borsa”[5], smantellamento dello stato sociale, distruzione della piccola e media impresa, sfaldamento della solidarietà tra lavoratori.
Il tutto avveniva e procede con la complicità dei sindacati e di governi sia di sinistra (i peggiori afferma l’autore, perché hanno tradito in maniera strisciante la loro ragion d’essere) che di destra; ma anche quelli tecnici, i quali non sono mai neutrali, anche se devono presentarsi come terzi al di sopra delle parti, che intervengono con la loro somma competenza dall’alto delle schiere severe ma giuste dell’Unione europea. Cos’è poi quest’ultima? Un’istituzione burocratica con un’identità culturale posticcia, “un sistema giuridico ideato dall’ingegneria istituzionale e profondamente deficitario dal punto di vista democratico”[6] costruito per imporre norme economiche neoliberiste troncando la sovranità nazionale.
La tagliola nascosta nel bosco dell’austerità ha beneficiato del tradimento dei sindacati, ha mutilato le sue vittime con il Jobs Act renziano, fino al governo Meloni, il quale non fa altro che spuntare obiettivi dell’agenda Draghi, cioè dello scadenzario capitalista sovranazionale. Altro che patrioti!
Ritorna la domanda più critica: che fare? Intanto leggere questo libro per approfondire la propria consapevolezza, smetterla di sentirsi in colpa per i propri diritti di lavoratore e quindi di cittadino, farli conoscere il più possibile, perché l’inconsapevolezza è la più pericolosa tagliola nelle mani di chi ci offre un’esca dall’apparenza succulenta.
[1] È il titolo del capitolo numero 4.
[2] P. 9.
[3] P. 62
[4] “Certo era in buona fede, differentemente non riesco a immaginarlo” prosegue l’autore, pag. 77.
[5] P. 41
[6] P. 37