L'egemonia dei mari e il nuovo mondo multipolare

L'egemonia dei mari e il nuovo mondo multipolare

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Il concetto di Stati Uniti come civiltà del mare, con la sua egemonia basata sul controllo delle rotte marittime, è profondamente radicato nelle teorie storiche e strategiche marittime. Questa prospettiva sottolinea il ruolo significativo del potere navale nel plasmare non solo lo sviluppo della nazione nordamericana, ma anche la sua influenza globale.

L'influenza del potere marittimo sulla civiltà è un fenomeno ben documentato. Strateghi e pensatori come l’ammiraglio statunitense Alfred Thayer Mahan hanno sostenuto che le nazioni con forti capacità navali tendono a dominare il commercio e la politica globale. Le teorie di Mahan suggeriscono che il controllo dei mari è essenziale per la prosperità e la sicurezza nazionale, un principio che è stato evidente nel corso della storia. Per esempio, antiche civiltà come i Fenici e poi i Veneziani hanno sfruttato la loro abilità navale per espandere le reti commerciali e gli scambi culturali, contribuendo in modo significativo al progresso della civiltà occidentale.

Gli Stati Uniti e l'egemonia marittima

Gli Stati Uniti sono emersi come potenza marittima tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, in particolare dopo la guerra ispano-americana, che ha segnato una svolta nella loro politica estera e nella loro strategia militare. L'acquisizione di territori d'oltremare e la creazione di una forte marina militare hanno permesso agli Stati Uniti di proiettare il loro potere a livello globale. Questa strategia marittima è stata parte integrante del mantenimento dello status di superpotenza degli Stati Uniti, in quanto consente la protezione delle rotte commerciali e la proiezione della forza militare quando necessario. Il ruolo della Marina statunitense nell’ergersi a garante della ‘libertà di navigazione’ e nel proteggere i propri interessi marittimi è in linea con i principi di Mahan, secondo l'idea che il controllo dei mari è fondamentale per la sicurezza nazionale e la stabilità economica. Gli Stati Uniti si sono storicamente impegnati in diverse operazioni navali per garantire i propri interessi, dalla Seconda guerra mondiale ai conflitti contemporanei in Medio Oriente e nel Mar Cinese Meridionale.

Le rotte marittime

Il controllo delle rotte marittime ha svolto un ruolo cruciale nel determinare l'egemonia globale degli Stati Uniti. Con una vasta marina e una rete di basi navali in tutto il mondo, gli Stati Uniti sono stati in grado di proiettare potere e mantenere il predominio sulle rotte marittime strategiche. Questo controllo ha permesso agli Stati Uniti di esercitare influenza sul commercio globale, garantire l'accesso a risorse chiave e mantenere una forte presenza in regioni di importanza strategica.

Uno dei fattori chiave che ha contribuito all'egemonia degli Stati Uniti attraverso il controllo delle rotte marittime è la capacità di garantire e proteggere il commercio globale. In quanto grande nazione commerciale, gli Stati Uniti contano sul flusso regolare di beni e risorse attraverso rotte marittime per mantenere la propria prosperità economica. Attraverso il controllo delle principali rotte marittime, come lo Stretto di Hormuz nel Golfo Persico o lo Stretto di Malacca nel Sud-est asiatico, gli Stati Uniti possono garantire il passaggio sicuro di navi e merci, prevenendo interruzioni che potrebbero avere un impatto sulla propria economia.

Inoltre, il controllo delle rotte marittime consente agli Stati Uniti di proiettare potere e proteggere i propri interessi in regioni di importanza strategica. Ad esempio, gli Stati Uniti mantengono una forte presenza navale nel Pacifico per contrastare l'ascesa della Cina e garantire la stabilità (o il mantenimento dello status quo?) nella regione. Attraverso il controllo delle rotte marittime nel Pacifico, gli Stati Uniti pretendono di scoraggiare potenziali minacce e mantenere la propria influenza nella regione.

Altro aspetto dell'egemonia degli Stati Uniti attraverso il controllo delle rotte marittime è la capacità di garantire l'accesso a risorse chiave, come petrolio e gas naturale. Gli Stati Uniti fanno molto affidamento sulle risorse energetiche importate per alimentare la propria economia e il controllo delle rotte marittime consente agli Stati Uniti di proteggere e garantire l'accesso a risorse vitali. Un esempio calzante è lo Stretto di Hormuz, un punto critico per le forniture globali di petrolio.

Oltre a garantire l'accesso alle risorse chiave, il controllo delle rotte marittime consente anche agli Stati Uniti di proiettare i propri valori e norme su scala globale. La Marina degli Stati Uniti conduce spesso operazioni cosiddette di libertà di navigazione in acque contese (si vedano ad esempio le provocazioni alla Cina nello Stretto di Taiwan) per contestare rivendicazioni marittime che andrebbero a danneggiare gli interessi o la geopolitica statunitense. Affermando la propria presenza in rotte marittime chiave, gli Stati Uniti possono imporre un ordine basato su regole che si allinea esclusivamente con i propri interessi e valori.

Inoltre, il controllo delle rotte marittime consente agli Stati Uniti di costruire alleanze e partnership con altre nazioni marittime, rafforzando ulteriormente la propria egemonia. La marina militare statunitense conduce spesso esercitazioni e pattugliamenti congiunti con alleati e partner (vasalli) che dovrebbero servire per promuovere la sicurezza regionale e l'interoperabilità. Lavorando a stretto contatto con altre marine, gli Stati Uniti intendono solamente rafforzare la propria influenza e costruire una rete di alleati con idee simili a cui imporre i propri valori e interessi.

Dunque, il controllo delle rotte marittime è un fattore critico nel determinare l'egemonia degli Stati Uniti sulla scena globale. Attraverso la sua vasta marina e la rete di basi navali, gli Stati Uniti sono stati in grado di proiettare potenza, garantire l'accesso a risorse chiave e mantenere una forte presenza in regioni strategiche. Controllando rotte marittime chiave, gli Stati Uniti hanno modellato il commercio globale, ma soprattutto protetto i propri gretti interessi in zone marittime strategiche. Di conseguenza, gli Stati Uniti si sono affermati come una potenza marittima dominante che ha svolto un ruolo centrale nel plasmare l'ordine internazionale.

Egemonia perduta?

La fase storica attuale sembra invece avviarsi in una direzione opposta, dove va imponendosi il multipolarismo. Dove paesi in ascesa come la Cina hanno fatto proprie e sviluppato ulteriormente le teorie marittime di Mahan su cui si è basata l’egemonia statunitense.

Gli eventi recenti nel Mar Rosso rappresentano uno degli indicatori più evidenti del declino dell'egemonia statunitense sul mare. Negli ultimi mesi, la Marina degli Stati Uniti ha subito uno dei peggiori insuccessi degli ultimi 50 anni, superando eventi come l'affondamento della USS Bon Homme Richard o la perdita di marinai in collisioni tra cacciatorpediniere. Questo insuccesso è descritto dall’avvocato e membro del Board of Directors del United States Naval Institute Steve Cohen sulle colonne di The Hill, come una crisi esistenziale per la Marina yankee, che mina uno dei suoi ruoli storicamente più importanti: mantenere aperte quelle rotte marittime considerate vitali per il commercio globale.

Dopo nove mesi di dispiegamento nel tentativo di riconquistare il controllo del Canale di Suez e del Mar Rosso dai ribelli Houthi alleati dell'Iran, il gruppo di attacco della portaerei Dwight D. Eisenhower è tornato negli Stati Uniti senza aver raggiunto l'obiettivo. I ribelli Houthi, infatti, continuano a mantenere il controllo della regione, provocando un crollo del traffico mercantile del 90% rispetto a dicembre 2023. Questo fallimento ha avuto forti conseguenze sull'economia globale: quasi 1 trilione di dollari in commercio – il 40% di tutto il traffico tra Europa e Asia – passava attraverso quella rotta, la terza più trafficata al mondo.

Le ripercussioni sono tangibili: molte navi (quelle legate a USA e Israele o che aiutano i sionisti nella carneficina a Gaza) sono costrette a deviare attorno al Capo di Buona Speranza, aggiungendo oltre 11.000 miglia e fino a due settimane a ogni viaggio, con costi aggiuntivi di carburante pari a circa un milione di dollari per ogni tragitto. I premi assicurativi sono aumentati del 1.000%, e il costo di spedizione di un container è salito da 1.500 a 6.000 dollari. Questa crisi non riguarda solo il Medio Oriente, ma sta avendo un effetto domino sull'intero sistema commerciale globale.

Per comprendere appieno la situazione, è essenziale ricordare che circa il 90% del commercio mondiale per valore avviene via mare. Il commercio marittimo rappresenta 5,4 trilioni di dollari dell'economia statunitense e sostiene 31 milioni di posti di lavoro statunitensi. Tradizionalmente, la Marina degli Stati Uniti ha sempre avuto il compito di garantire la sicurezza di queste rotte fin dalla sua fondazione. John Kennedy affermava: "Gli Stati Uniti devono controllare i mari se vogliono proteggere la propria sicurezza".

Questo fallimento evidenzia il declino dell'egemonia statunitense, specialmente nel contesto geopolitico attuale. La mancata riconquista del controllo del Mar Rosso da parte degli Stati Uniti è un chiaro segnale che la capacità del Paese di esercitare la propria influenza in regioni strategiche è in calo. La situazione con gli Houthi rappresenta plasticamente il declino USA.

Questo episodio potrebbe segnare l'inizio di una nuova era, in cui altre potenze, come la Cina, potrebbero assumere un ruolo di primo piano nel controllo delle vie marittime globali. Il fatto che Taiwan, per la prima volta nel 2023, abbia incluso nelle sue esercitazioni militari la protezione delle rotte marittime in caso di blocco cinese, è un segno che gli alleati degli Stati Uniti stanno iniziando a prendere in considerazione scenari in cui Washington non può più incidere o imporre la propria volontà.

La risposta della Marina degli Stati Uniti a questo fallimento è stata tutt'altro che convincente. Al ritorno del gruppo di attacco Dwight D. Eisenhower, non c'è stata alcuna proclamazione di "missione compiuta". Al contrario, la Marina ha descritto la missione come "senza precedenti", sottolineando la durata eccezionalmente lunga del dispiegamento e il fatto che, per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale, una portaerei statunitense è stata costantemente minacciata da un nemico. Tuttavia, nonostante la grande quantità di munizioni utilizzate, con oltre 135 missili Tomahawk e 155 missili Standard-2 lanciati contro i droni Houthi, l'obiettivo finale non è stato raggiunto.

Questo fallimento, secondo Cohen, può essere attribuito a due possibili ragioni: o la Marina degli Stati Uniti non dispone dei mezzi e delle competenze necessarie per affrontare la minaccia, o l'amministrazione Biden ha deciso che il costo e il rischio di una simile operazione non giustificavano lo sforzo politico. In ogni caso, l'evento ha provocato un dibattito sulla validità di mantenere una flotta così costosa se non è in grado di garantire il successo in missioni fondamentali.

Il fallimento in Yemen rappresenta il segnale di un cambiamento più ampio nel ruolo globale degli Stati Uniti. Anche i mari, come abbiamo avuto modo di descrivere in una precedente analisi dove si è analizzato il collegamento cinese tra Nuova Via della Seta Marittima e la Teoria di Mahan, si apprestano a diventare territorio multipolare. Ormai l’egemone unipolare in declino non sembra avere più la forza necessaria per imporre la propria volontà come accaduto per oltre un secolo.

Fabrizio Verde

Fabrizio Verde

Direttore de l'AntiDiplomatico. Napoletano classe '80

Giornalista di stretta osservanza maradoniana

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