Legalità: l'intrinseca subcultura (e gli abusi) delle istituzioni

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Legalità: l'intrinseca subcultura (e gli abusi) delle istituzioni

 

Il concetto di legalità è qualcosa che, anche per le applicazioni pratiche dovute al corso degli accadimenti, sta diventando sempre più fuorviante. Nel nome della legge, di cui il potere è l'espressione in un determinato momento storico, vengono ad essere contemplate tutta una serie di situazioni che, alla fine, rischiano di impedire certi fatti. In questo caso i provvedimenti adottati "legano" in senso positivo gli estensori e coloro che li riconoscono, e "legano" in forma passiva quanti impossibilitati a reagire ne subiscono gli effetti.

Legge, diritto e giustizia non sempre coincidono.

Potrebbero farsi tanti esempi. Quello più drammaticamente eclatante, che testimonia l'(ab)uso del rendere legale una decisione, è stato rappresentato dalle leggi razziali. Negli anni, quando le democrazie borghesi hanno visto il loro consolidamento, l'utilizzo eccessivo di legislazioni specifiche ha preso la strada del sostegno degli apparati pubblici ad una precisa visione economica. Anche se, in linea di principio, le Costituzioni, le Dichiarazioni e Convenzioni internazionali intendono come non negoziabili determinati diritti, attinenti gli aspetti fondamentali del vivere associati, è emerso che questi possono essere sacrificati nel superiore interesse della realpolitik, che mette al centro la tutela della proprietà. L'evoluzione giuridica insieme alle ragioni etiche sono riuscite a porre un freno. Tale compromesso però è definitivamente saltato nel momento in cui l'economico è prevalso sul politico.

Spesso la legge risente del clima culturale del tempo. Tuttavia la sua messa in discussione in termini di civiltà, di mancanza di opportunità sociali, essendo vittima di quegli stati d'animo creati ad hoc, ha visto spostare i riflettori esclusivamente trattandola in ambito di sicurezza (quale?) ed ordine pubblico.

Una tendenza che mette insieme destre, liberali ed ex sinistroidi. Il tema è il decoro delle città votate al consumo. Cosi, ogni forma di protesta, che possa riguardare il lavoro, l'ambiente ( i danni dovuti ai mutamenti climatici, l'individuazione di un sito per il deposito delle scorie, o altre opere territorialmente impattanti), ma anche il reclamare l'utilizzo di spazi pubblici per finalità di socializzazione, viene affrontato mediante l'approccio della lotta alla criminalità. Il riunirsi con scopi diversi da quelli consumistici, l'occupazione, il recupero e il riuso di fabbricati, con al centro le esigenze socio-abitative (come conseguenza dell'assenza degli enti locali, che preferiscono organizzare la speculazione immobiliare, servendo i palazzinari, o pagare canoni esorbitanti per edifici in disuso invece di pensare a riqualificarli, mentre gli alloggi popolari scarseggiano), ma anche forme "scomode" di divertimento (le feste non autorizzate) sono tutti comportamenti che non possono essere tollerati dal politico che distribuisce il capitale (gli sfratti, il decreto rave).

E' necessario convincere l'opinione pubblica del pericolo che corre a causa di questi facinorosi, corruttori morali della società, la quale invece degenera a causa della lontananza di chi dovrebbe rappresentarne gli interessi.

L'ultimo pacchetto sicurezza del governo delle destre italiane prevede pene dai 4 ai 25 anni per chi protesta mettendo a rischio l'incolumità pubblica. Un generico concetto, dietro al quale, è facile intravedere la difesa dei grossi interessi proprietari.

Le manifestazioni di protesta contro le grandi opere (TAV, Ponte sullo Stretto), i blocchi stradali, quelle in solidarietà con il popolo palestinese o contro l'invio di dispositivi bellici, e comunque, tutte le iniziative volenti attirare l'attenzione sulle problematiche sociali, hanno in comune la forte presa di posizione delle istituzioni, che conoscono la risposta del manganello, delle misure di prevenzione e quello abnorme dei provvedimenti cautelari.

La democrazia borghese stenta a riconoscere altri soggetti diversi dalla mediazione istituzionalizzata (partiti, sindacati). Gli strumenti della partecipazione, la democrazia diretta, e i corpi intermedi (comitati, organizzazioni ed associazioni) sono stati superati da un decisionismo che scavalca la volontà popolare. Le istanze sociali, le rivendicazioni attinenti il mondo del lavoro o la questione ecologica, tutto ciò che dal basso vuol far emergere i danni prodotti dal sistema economico del quale le istituzioni sono incarnazione vengono affrontate con ostilità. Qualora gli interessi in ballo sono notevoli la trattazione viene spostata sul piano penalistico. La contestazione, da fatto isolato, assurge al ruolo di reato associativo. Fino a tramutarsi, negli episodi più estremi, in vero e proprio attentato allo Stato (all'impianto capitalistico delle stesse istituzioni).

Il dissenso acquisisce, suo malgrado, la dimensione del fenomeno criminoso. Una lunga scia che, dagli anni '70, anche per mezzo di legislazioni emergenziali -  la legge Reale, il diritto speciale del nemico, il protagonismo di certi magistrati (Teorema Calogero) - giunge sul finire del millennio scorso a perseguire, oltre il dovuto, le espressioni controculturali (i Centri Sociali, le occupazioni, gli espropri proletari).

Il politico usufruisce della forza della legge per tutelare l'uomo proprietario. Qui, non si tratta di assicurare la dimensione privata da furti, rapine, appropriazioni indebite, per i quali già esiste una narrazione tossica riguardante la legittima difesa e la sproporzione nella reazione, e tutto un linguaggio mediatico che fa perno sulla pubblicità dei sistemi di sicurezza, telecamere ed allarmi.

Poco importa che l'estensione di quel concetto concerne i devastatori della economia di prossimità, gli accumulatori di ricchezze basate su sfruttamento, corruzione ed evasione. Una politica ufficiale a disposizione del capitale, che da tempo ha cessato di dare risposte alla collettività. Dal locale al globale emergono le nefandezze di un modello di sviluppo che ha distrutto territori, inquinato l'ambiente, lacerato le comunità.

Ed è proprio nel tentativo di recuperare una dimensione ecocompatibile dell'esistente che nasconono i movimenti della contestazione. Il problema, giuridico e morale, è che il Movimento No Global, Extinction Rebellion, i No TAV o chi reclama la sovranità alimentare (non il sovranismo lobbistico del governo Meloni), intesa come tutela delle specificità locali (l'economia circolare), costituiscono il nemico del progresso (gli attacchi alla decrescita in nome dello sviluppismo), che non è mai del vivente ma delle rendite, all'interno della competizione economica internazionale.

L'utilizzo eccessivo delle misure cautelari, le carcerazioni arbitrarie, e la politicizzazione (non come scontro fra correnti affini ai partiti) di certa Magistratura, che prendendo posizioni particolaristiche sposa una concezione storica. Nei fatti questo modo di operare da parte di alcuni giudici li pone al servizio degli interessi del mondo economico. Ciò riduce le garanzie degli indagati, ampliando in maniera singolare le imputazioni a carico, attraverso la creazione di fattispecie delittuose e l'inasprimento di pene che fanno invidia ai codici penali fascisti. Di conseguenza le manifestazioni di protesta a tutela della salute, del territorio, portatrici di rivendicazioni sociali ecc. trovano traduzione nella dimensione dell'ordine pubblico.

A loro volta, gli organi di informazione invischiati col potere, iniziano la propaganda dando caratteristiche specifiche a singoli ed episodi, pur in assenza di un riscontro fattuale e di una pronuncia giudiziaria definitiva. In tal modo, le attenzioni pregiudiziali rivolte rendono evidente come i media fanno e condizionano i processi politici. Ad esempio inventando fantomatiche cellule eversive ( quella anarco-insurrezionalista è buona per tutte le stagioni), che come nel periodo della strategia della tensione, o dei vari tentativi di golpe, vogliono destabilizzare l'ordine costituzionale. La stessa Costituzione i cui principi fondanti vengono spesso disattesi dal potere politico, e che cosi facendo mette in dubbio l'ordine economico,sociale e politico alla base della convivenza fra gli apparati ed i cittadini.

L'accelerazione sulla via della legalità in realtà nasconde l'ideologia comune a tutte le forze partitiche, le quali sfruttano gli umori del momento per travisare le questioni.

Garantisti delle élite e giustizialisti, che per mezzo di un linguaggio stereotipato cancellano la specificità di ogni singolo evento, approdando spesso a pseudo riforme della giustizia unificanti sotto lo stesso regime sanzionatorio fattispecie delittuose differenti.

E' la classica sudditanza culturale ad una mentalità repressiva fatta propria anche dalla sinistra, che dal PCI del compromesso storico arriva al PDS-PD, che per recuperare terreno nei confronti degli avversari  dopo  aver abbandonato le questioni sociali ha scelto di spostare l'attenzione sul tema della giustizia (classista). La politica-spettacolo fondata sul presenzialismo e le visioni dogmatiche  di taluni ex magistrati. La moralizzazione della società causata da Tangentopoli. Il protagonismo di soggetti inquietanti, che avendo abbandonato la toga mirano al carrierismo sacrificando le vite altrui attraverso il parallelismo tra la disobbedienza e quel concetto vago di legalità.

Il disciplinamento in nome della massificazione neoliberista.

La forza della legge distante dalla giustizia sociale. Guardando a quanto successo nell'ultimo trentennio non v'è terreno che non abbia visto continuità nell'adozione delle politiche. Le migrazioni ad esempio sono state affrontate sotto il profilo securitario/repressivo ( le leggi Turco-Napolitano e Bossi-Fini, e quelle recanti i nomi di Salvini e Minniti); e poi i daspo urbani adottati in modo eccessivo anche nei confronti dei disturbatori della quiete cittadina. Infine l'emergenza che, soprattutto dopo la pandemia da Covid, diventa con i governi Conte-Draghi-Meloni fatto normale.

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