L'altra faccia della propaganda: il revisionismo storico

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L'altra faccia della propaganda: il revisionismo storico

di Giuseppe Giannini

C'è un tratto che accomuna i liberal ai conservatori. Entrambi mirano al potere per (ri)scrivere gli eventi. In tal modo, imponendo il loro pensiero, riusciranno a modellare la società secondo il volere particolaristico, corrispondente alla versione alterata della realtà da far accettare ai sottoposti.

Sono gli stessi che,  nel primo caso, dicono di combattere le fake news, mentre nel secondo, le propinano creando proseliti.

Come se non fossero bastati trent'anni di ideologia liberista sottoscritta da tutte le forze sistemiche e con un passato di sinistra ecco pronta la rivalsa storica delle destre più o meno estreme. 

Tanto le istituzioni europee che quelle nazionali hanno visto in questi decenni un deciso peggioramento delle condizioni materiali di vita di milioni di cittadini. In nome del dogma del libero mercato. Di un'economia malata sempre più basata sulla competizione selvaggia e lo sfruttamento, che rifiuta le regole, e che proprio in conseguenza di questa mancata regolamentazione, scavalcando anche diversi principi costituzionali, produce eccessi e penurie. La cattiva distribuzione della ricchezza ha dato luogo alle diseguaglianze crescenti, all'indebitamento dei singoli e degli Stati, ed ha reso normali termini quali austerità, flessibilità, precarietà, che un tempo rappresentavano l'eccezione. L'unica certezza è l'assenza di un futuro possibile. In questi decenni in cui gli Stati hanno fatto passi indietro nella gestione della vita economica, gli stessi hanno mantenuto salda, se non accresciuta, l'amministrazione politico-militare assicurata dal monopolio legittimo dell'uso della forza. 

Dopo il secondo dopoguerra l'efficacia della deterrenza tra blocchi contrapposti (più immaginaria che ideale) ha assicurato la pacificazione nel Vecchio Continente. Finita la rivalità, dagli anni '90, l'Europa ha deciso di invischiarsi nelle faccende altrui al seguito dell'imperialismo USA. In nome del diritto internazionale, del rispetto dei diritti umani, ma in realtà mal celando gli interessi geostrategici dietro alle iniziative belliche. Sono riemersi i vecchi istinti di appropriazione di territori e delle risorse tipici degli interessi coloniali mai dimenticati dalle nazioni europee. Da questo punto di vista i partiti moderati e quelli reazionari si muovono in continuità. Anche le scelte in materia di politica economica operate all'interno o in sede sovranazionale hanno fatto registrare minime differenze. Entrambi sostengono la grande impresa, la parte datoriale, le rendite acquisite, attaccando i diritti sociali e civili. Pertanto scarsa credibilità riscontra ogni appello al voto utile allargato per scongiurare l'avvento al potere delle forze reazionarie. Dagli errori i propugnatori del neoliberismo non hanno imparato nulla. Ed ora, come conseguenza delle malefatte insite al capitalismo, c'hanno rimesso nelle mani di partiti intolleranti, oscurantisti, che un pò dappertutto, avendo raggiunto il consenso popolare, dettano legge. Così sulle questioni epocali i moderati inseguono i reazionari. Vale per il tema migranti, da sempre tema divisivo in linea teorica, ma che alla prova dei fatti prende la forma dei respingimenti, delle detenzioni arbitrarie, dei muri. Il modello Minniti-Salvini guarda alla Libia dei torturatori e all'Albania delle deportazioni. Intanto la Von der Leyen e la CDU in Germania spostano a destra i programmi relativi alla gestione migratoria, con il solo scopo di racimolare qualche voto in più. Sacrificando le vite atrui. A forza di rincorrere le destre estreme la propaganda liberal diventa complice del revisionismo. L'anticomunismo è il rimosso che torna a galla anche quando i partiti comunisti non esistono più. Gli eventi da celebrare, ad uso e consumo del governo di turno, fanno emergere il doppiopesismo nell'interpretazione dei fatti. Tra gli esempi più eclatanti vi è l'istituzione della Giornata delle vittime delle Foibe.

Diventata la discriminante da superare in nome della verità da (ri)costruire nel segno dell'appartenenza. La decontestualizzazione dei fatti è figlia di quell'operazione chiamata revisionismo storico. Essa tace, colpevolmente, sugli antefatti – l'italianizzazione forzata nella Venezia-Giulia – concentrando lo sguardo su ciò che è derivato dalle violenze successive. Che sono la conseguenza e non un fatto a se stante. Il massacro degli infoibati in quanto italiani senza guardare alla complessità della vicenda. Nella quale sono morti i collaborazionisti del regime fascista ed anche i civili, che come in tutte le guerre sono gli effetti collaterali, le vittime, in alcuni casi innocenti, successive agli odi interetnici. Invece dal racconto di parte vengono fuori le brutali uccisioni dei militari titini come se fossero stati dettati dall'alto in una sorta di pulizia etnica, e non opera dei singoli o l'effetto della risposta efferata alle precedenti persecuzioni italiane verso le minoranze di lingua slava. Cruenta rivalsa scaturita da quella barbarie chiamata guerra, durante la quale i nostri "italiani brava gente" hanno sostenuto la dittatura chiudendo gli occhi di fronte ai crimini. Giustificandoli, nel caso delle leggi razziali,  ed avallando le campagne di conquista in Grecia, Albania, nei territori slavi, in Nord Africa. Purtroppo, non c'è nulla di cui meravigliarsi dinanzi a queste violenze. Ancora oggi scopriamo le fosse comuni, ma ne parliamo a seconda delle convenienze politiche (vengono evidenziate quelle operate dall'esercito russo, e sottaciute quelle dell'esercito israeliano), E poi gli Stati amici dell'Occidente che praticano le torture ed ogni tipo di abusi. I regimi di apartheid, i campi di detenzione, ed il genocidio palestinese, sono la triste testimonianza delle discriminazioni messe in atto grazie al silenzio colpevole delle democrazie occidentali. 

La ricostruzione storica parte dal collaborazionismo di quelli che si dicono liberali, moderati, cristiani.

Nel frattempo la destra italiana ha occupato ogni spazio possibile. La propaganda produce i suoi frutti. Dopo le tv private anche le tv pubbliche sono diventate macchine di diffusione del verbo reazionario. Il tg2 in particolare in questi ultimi anni ha fatto sfoggio del riciclo dei miti della destra. L'allora direttore Sangiuliano, oltre ad invitare nel tg2 Post quasi sempre esponenti dei giornali di destra (Il Foglio, la Verità, Il Tempo, Libero, il Giornale, la Nazione) e quasi mai quelli più importanti (La Repubblica, il Corriere della sera) o non allineati (Il Fatto quotidiano ha visto ospite il suo direttore Travaglio in una puntata in cui si parlava di Renato Zero) è riuscito anche a recuperare D'Annunzio, il Futurismo e Tolkien. Spot per la destra nazionalista e postfascista che gli sono valsi un ministero (venuto meno a seguito delle sue gaffe e del caso Boccia). Da un lato i media sono asserviti al governo italiano, agli interessi della Nato e dell'austerity. Dall'altro i vari ministri danno luogo a svolte autoritarie: l'attacco infinito alla Magistratura italiana e  alla Corte Penale Internazionale, il decreto sicurezza che inasprendo il regime sanzionatorio rende praticamente impossibile esercitare il dissenso. Poi c'è l'idea di scuola tanto cara agli ambienti conservatori e clericali: lo studio della Bibbia; l'offerta formativa con il tema della legalità delegato alle forze armate.

Insomma stiamo ritornando ad un passato che ci farà indietreggiare di molto per quanto riguarda la tenuta dei diritti sociali e delle libertà civili. Lo stesso accade  dall'altra parte dell'oceano con il suprematista Trump: le politiche antiabortiste, la caccia ai migranti, la possibile annessione di nuovi territori.

Il catto-conservatorismo mette a repentaglio la laicità. La libertà d'azione diventa un lusso per pochi. Il Re è nudo ma per viltà o complicità i sudditi preferiscono l'alienazione.

Come diceva Gramsci "Io odio gli indifferenti".

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