Il connubio jihadista-israeliano in Siria

Occupazione israeliana del Golan e silenzio jihadista. I palestinesi nella vecchia e nuova Siria. Fuga dalla Siria occidental-sionista-jihadista

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Il connubio jihadista-israeliano in Siria

 

 

di Maurizio Brignoli

 

 

Una delle prime preoccupazioni di Abu Muhamad al-Julani, capo dei jihadisti di Hayat Tahrir al-Sham (Organizzazione per la liberazione del Levante, Hts), nella prima importante intervista concessa a Sky News, era, all’indomani di quella che definiva la “liberazione” della Siria da Assad e dagli ex colonizzatori russi e iraniani, tranquillizzare l’imperialismo occidentale chiarendo una volta per tutte quali fossero i veri nemici: «La fonte delle nostre paure proveniva dalle milizie iraniane, da Hizballah e dal regime che ha commesso i massacri a cui stiamo assistendo oggi. La loro rimozione è la soluzione per la Siria»[1]. Posizione del resto coerente da parte di chi era stato incaricato di organizzare la sovversione jihadista della Siria da Abu Bakr al-Baghdadi, primo califfo dell’Isis (2014-2019) e che proprio in Hizballah e nei pasdaran iraniani, i primi ad accorrere in aiuto della Repubblica araba siriana e a combattere contro l’Isis e le altre formazioni jihadiste, ha trovato un ostacolo insuperabile. Altra preoccupazione quella di rassicurare Israele nei confronti del quale il capo jihadista, in un’intervista al Times, ha promesso che non permetterà che la Siria venga utilizzata come rampa di lancio per attacchi contro Israele o qualsiasi altro stato[2]. È dai tempi del cambio di marchio in Hts nel 2017 che i qaidisti cercano di presentarsi quali referenti ideali per l’Occidente, insistendo sul comune obiettivo di abbattere il governo siriano ed espellere le forze iraniane dalla Siria, ponendosi come alternativa “moderata” all’Isis nel tentativo di farsi finanziare meglio dall’imperialismo occidentale[3].

Ma a offrire collaborazione con Tel Aviv non c’è solo Hts ma anche quelli che potremmo definire “jihadisti laici” o secondo la dicitura usata dall’imperialismo occidentale fin dall’inizio dell’aggressione alla Siria “ribelli moderati”, un escamotage per fornire armamenti a formazioni che hanno compiuto molteplici operazioni in sinergia con al-Qaida e Isis e che ospitavano nelle loro file gli stessi jihadisti che transitavano fra i gruppi di miliziani del Califfato, qaidisti e i cosiddetti “ribelli moderati”[4]. In un’intervista concessa a Times of Israel, appena dopo la caduta di Aleppo e Homs, un comandante dell’Al-Jaysh as-Suri al-hur (Esercito siriano libero, Esl) – i cui resti sono confluiti nell’al-Jays al-Watani as-Suri (Esercito nazionale siriano, Ens) controllato dalla Turchia – che il giornale israeliano definisce appunto “alternativa moderata alle fazioni più estremiste” favorevole a una Siria “democratica e laica”, sottolineando come anche i jihadisti dichiarati come Hts non abbiano mai minacciato Israele, rilasciava le seguenti e chiarificatrici dichiarazioni: «Siamo aperti all’amicizia con tutti nella regione, compreso Israele. Non abbiamo nemici diversi dal regime di Assad, da Hizballah e dall’Iran. Quello che Israele ha fatto contro Hizballah in Libano ci ha aiutato molto […]. Vogliamo la pace completa con Israele, vivremo fianco a fianco come vicini. Dallo scoppio della guerra civile siriana, non abbiamo mai fatto alcun commento critico contro Israele, a differenza di Hizballah, che ha dichiarato di voler liberare Gerusalemme e le alture del Golan. Il nostro unico obiettivo è sbarazzarci di Assad e delle milizie iraniane. Speriamo di coesistere in armonia e di trasformare questa regione e di portarla da uno stato di guerra a uno stato di progresso economico, magari con l’aiuto israeliano e americano per la ricostruzione […]. Qual è l’interesse israeliano a mantenere Bashar al-Assad al potere, dopo che ha minacciato la sicurezza di Israele permettendo all’Iran e a Hizballah di invadere i confini di Israele? Israele pensa di poter vivere accanto a un paese disintegrato e afflitto dal caos? […]. Dirò solo che siamo grati a Israele per i suoi attacchi contro Hizballah e contro le infrastrutture iraniane in Siria, e speriamo che dopo la caduta di Assad, Israele pianterà una rosa nel giardino siriano e sosterrà il popolo siriano, a beneficio della regione […]. Ciò di cui abbiamo bisogno da Israele è una chiara posizione politica contro il regime di Assad […]. Israele dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di colpire le forze sostenute dall’Iran ovunque si trovino. Stiamo cercando di bloccarli sulle strade e di tendere loro imboscate, ma Israele dovrebbe anche agire dall’aria»[5]. Il giorno che i jihadisti sono entrati a Damasco, Fahd Masri, portavoce dell’Esl, ha ringraziato Israele: «Senza i colpi che avete inflitto a Hizballah e all’Iran, non potremmo liberare la Siria. Grazie, Israele. Questa è una vittoria israeliana, nostri fratelli e vicini»[6].

Anche l’Atlantic Council, think tank semiufficiale della Nato a Washington, sostiene che Israele farebbe bene a trovare un accordo con discrezione coi nuovi governanti siriani: «La realtà è che sono stati gli attacchi israeliani in Libano negli ultimi mesi contro una vasta gamma di funzionari di Hizballah e depositi di armi, e gli attacchi in Siria che hanno impedito il rifornimento a Hizballah, che hanno indebolito il gruppo al punto che le forze di opposizione siriane si sentivano sicure di poter trarre vantaggio e cercare di catturare Aleppo. Per fare ciò è stato necessario che le forze di opposizione fossero sicure che non ci sarebbero stati (sufficienti) rinforzi al regime di Assad da parte di Hizballah, il che era stato un problema chiave in passato. Anche se Israele potrebbe non aver voluto o pianificato che l’opposizione siriana traesse vantaggio e utilizzasse questo sviluppo per rovesciare il regime, Israele farebbe bene a sfruttarlo immediatamente […]. Se Israele vuole garantire meglio la sua sicurezza nel nord, dovrebbe raggiungere accordi privati e seri con un nuovo governo siriano in base ai quali il paese non sarà utilizzato per trasferire armi a Hizballah per ricostruire il gruppo. Avere un Libano in linea con gli accordi di Taif [accordo interlibanese del 1989 volto a por fine alla guerra civile e a disarmare le diverse fazioni, N.d.A.] e non dominato da Hizballah, e una Siria non alleata con l’Iran, garantirebbe meglio la pace e la sicurezza a lungo termine di Israele rispetto a qualsiasi interdizione o altri attacchi»[7].

Le profferte di amicizia jihadiste sono perfettamente sensate dato che Tel Aviv ha contribuito notevolmente a indebolire la Siria di Assad con continui attacchi che hanno colpito Hizballah e i pasdaran, ma anche le basi dell’esercito siriano. Sono stati molteplici i casi in cui un attacco di Israele in Siria è arrivato in concomitanza con le operazioni jihadiste, segno di un coordinamento fra le due forze. Il sostegno di Israele alle formazioni, una dozzina (jihadisti compresi), impegnate nel tentativo di abbattere Assad nel corso della guerra in Siria è cosa che risale almeno al 2013[8]. Fra jihadisti e Israele vi è stata una costante convergenza di interessi caratterizzata da una comunanza di nemici, Iran e Asse della resistenza in testa, e dal fatto che questi nemici occupino le terre su cui deve sorgere il “Grande Israele”. Nel corso del conflitto siriano l’esercito di Tel Aviv non solo non ha sparato un colpo contro i jihadisti, ma è stata anzi comprovata una collaborazione fra l’esercito sionista e al-Nusra/al-Qaida, confermata dal capo di stato maggiore israeliano Gadi Eiseknot che ha ammesso che Israele ha appoggiato i jihadisti rifornendoli regolarmente di cibo, carburante, armi, medicinali[9]. Sul fronte jihadista allo stesso modo Israele non ha mai costituito un obiettivo e l’unica volta che è accaduto, nel novembre 2016, che l’Isis colpisse per sbaglio le truppe israeliane sul Golan occupato, i jihadisti si sono scusati per l’errore[10]. Quale fosse l’obiettivo sionista nei confronti della Siria, ora molto vicino alla piena realizzazione, non è mai stato celato dal primo ministro Benjamin Netanyahu (1996-1999; 2009-2021; 2022-): «Direi che il miglior risultato che si possa ottenere è una benigna balcanizzazione»[11].

Per avere un’idea del coordinamento jihadista-sionista immediatamente dopo l’operazione “Tempesta di al-Aqsa” del 7 ottobre 2023 i jihadisti hanno intensificato i loro attacchi contro l’esercito siriano, nonché contro i reparti di Hizballah e i consiglieri iraniani, con incursioni nel nord di Latakia e nella regione occidentale di Aleppo dove gli alleati di Assad erano maggiormente concentrati. Una strategia pensata per distogliere parte delle forze di Hizballah e alleviare così la pressione su Israele impegnata nell’eliminazione dei gazawi. Va ricordato come non vi sia traccia di jihadisti a combattere contro l’esercito israeliano che fa strage di musulmani a Gaza, mentre si sono puntualmente impegnati a colpire chi si opponeva al genocidio (Iran, Siria, Hizballah).

Per capire meglio il livello della collaborazione sionista-jihadista basti analizzare uno scorcio di operazioni condotte contro la Siria (e l’Iran) nel breve arco di pochi giorni fra la fine di marzo e gli inizi di aprile 2024 culminati con l’attacco all’ambasciata iraniana a Damasco del 1° aprile: il 28 marzo Israele bombardava un edificio residenziale a Damasco facendo strage di civili mentre Hts attaccava l’esercito siriano vicino a Idlib; il 29 Israele colpiva Aleppo mentre Hts attaccava l’esercito siriano vicino ad Aleppo; il 31 Israele colpiva il Centro di ricerca Jamraya a Damasco e contemporaneamente Hts attaccava l’esercito siriano a sud di Idlib; il 1° aprile Israele colpiva la sede diplomatica iraniana a Damasco mentre Hts attaccava l’esercito siriano[12].

La collaborazione fra il jihadismo sunnita antisciita, Israele e gli Usa non è una novità. L’imperialismo regionale israeliano – che, secondo i progetti del principale appaltatore imperialista statunitense, deve esercitare un’egemonia sul Medioriente per tramite sia della sua superiorità militare che attraverso una politica di accordi con le petromonarchie incentrata su reciproci vantaggiosi rapporti economici, nota come Patto di Abramo, destinata nelle intenzioni a mettere definitivamente fuorigioco la questione palestinese – ha trovato nel jihadismo sunnita un ottimo complice contro l’Iran e i suoi alleati. La sconfitta del progetto dello Stato islamico, destinato nei progetti occidentali a frantumare Siria e Iraq, per mano di Mosca e Teheran aveva determinato la (temporanea) sconfitta del progetto di riordino del Medioriente, per tramite jihadista, israeliano-statunitense. Progetto, che è parte di un più ampio scontro interimperialistico che si combatte su diversi fronti (Ucraina in primis), che è stato ora ripreso in pieno portando un duro colpo a Iran e Russia con l’abbattimento del governo di Assad.

 

Occupazione israeliana del Golan e silenzio jihadista

Il vero nome del capo di Hts è Ahmad Husayn al-Sharaa, col quale preferisce farsi chiamare ora, quasi a derubricare a errore di gioventù la militanza jihadista, ma il suo nome di battaglia è estremamente significativo perché al-Julani significa “che viene dal Golan”, cioè dai territori occupati da Israele e da cui i suoi genitori scapparono nel 1967. Al-Julani, per quanto nato a Riad, è siriano e come molti capi jihadisti è di estrazione borghese. Se sfogliamo il curriculum dei principali capi jihadisti vediamo che Osama bin Laden, figlio di un ricco imprenditore al servizio della casa regnante saudita, aveva una laurea in ingegneria civile e una in amministrazione aziendale; Ayman al-Zawahiri era medico; al-Baghdadi avvocato; lo stesso Jolani, figlio del consigliere per gli affari petroliferi del primo ministro siriano Mahmud Al-Zuabi (1987-2000), ha abbandonato gli studi in medicina per dedicarsi alla lotta armata in Iraq nel 2003[13]. Bisogna sempre ricordare che i gruppi dirigenti del jihadismo non sono formati solo dalla canaglia fuoriuscita dalle galere e dai campi di addestramento di Usa e alleati, ma da una borghesia che agisce con l’intento di modificare i rapporti interimperialistici. Al-Qaida e formazioni simili hanno ai loro vertici elementi provenienti dalla borghesia colta delle petromonarchie, di Egitto, Giordania, Algeria, ecc. capaci di ragionare in termini transnazionali. Lo stesso bin Laden è stato espressione di una borghesia imprenditoriale che, per quanto arricchitasi con le commesse dei Saud, è sostanzialmente ostile alla gestione del paese da parte dei feudatari-petrolieri. Da questo punto di vista vi è una maggiore vicinanza di classe con la borghesia espressione dei Fratelli musulmani. Le aspirazioni di questa borghesia arabo-islamica sono andate a confliggere con le posizioni statunitensi (e con i governi delle monarchie mediorientali visto che formazioni islamiste come l’Afm sono più espressione di una borghesia religiosa che non dei feudal-petrolieri) che vogliono invece che i paesi fornitori delle fonti energetiche rimangano sotto controllo e non diano vita a un potenziale polo imperialistico concorrenziale, col pericolo che magari valuti le suddette fonti con una moneta che non sia il dollaro.

Al-Jolani è un altro prodotto di Camp Bucca (con precedente transito per il famigerato campo di tortura statunitense in Iraq di Abu Ghraib), campo di prigionia statunitense in Iraq, altresì noto come “università jihadista”, da cui gli statunitensi, grazie a un’amnistia nel 2009, giusto in tempo per organizzare quella parte di progetti di riordino del Medioriente che richiedevano la manovalanza jihadista, hanno liberato 5.700 detenuti di massima sicurezza fra cui il futuro califfo al-Baghdadi e diversi altri personaggi che hanno costituito il gruppo dirigente dell’Isis[14].

Ma tornando alla balcanizzazione della Siria ciò che caratterizza le posizioni dei “ribelli” al di là delle diverse sigle, jihadiste o “laiche e moderate”, sembra essere l’impegno a non danneggiar Israele e anzi a condividerne i nemici, iraniani, Hizballah e palestinesi in testa. Appena dopo la caduta di Damasco il portavoce di Hts Obeida Arnaout di fronte alle domande di chi gli chiedeva ripetutamente se non avesse nulla da dire sul fatto che Israele continuasse a colpire la Siria evitava di rispondere[15]. Al fin, per la prima volta dopo centinaia di attacchi israeliani volti a distruggere qualsiasi possibilità per la Siria di avere un apparato militare, cioè a impedire una delle condizioni perché sia uno stato sovrano (obiettivo primario di Israele e Usa), al-Jolani il 14 dicembre si è pronunciato su Israele ribadendo la necessità di una collaborazione nella lotta contro i nemici comuni: «Non siamo in procinto di impegnarci in un conflitto con Israele, né di condurre una battaglia contro di esso […]. Quello che è successo è una vittoria sul pericoloso progetto iraniano nella regione»[16], aggiungendo che, probabilmente per salvare almeno le apparenze, dato che Hizballah e l’Iran non sono più in Siria: «Le scuse di Israele sono finite e hanno oltrepassato i limiti dell’impegno. Non stiamo cercando di entrare in alcun conflitto considerata la condizione di debolezza della Siria e ci stiamo rivolgendo alla comunità internazionale»[17]. Un tentativo di salvare la faccia dato che gli annunci israeliani sul fatto che il Golan resterà israeliano sono altresì rafforzati dagli stanziamenti per favorire un’ulteriore colonizzazione sionista[18]. Al-Julani, o al-Saraa che dir si voglia, del resto non è che il riferimento al Golan sia molto opportuno visto che è ormai perso per la Siria, ha poco da protestare dato che si trova gli israeliani in casa a poche decine di chilometri da Damasco e sotto il loro tiro: «Non gli conviene neppure nascondersi, è quasi un ostaggio»[19].

Ma quali sono gli scopi di Israele? Oltre alla completa annessione del Golan, compreso lo strategicamente rilevante monte Hermon, la montagna più alta della Siria, vicino al confine col Libano e a 40 chilometri da Damasco che può ora essere colpita dall’artiglieria israeliana[20], Tel Aviv potrebbe sfruttare la nuova posizione acquisita per tentare una nuova invasione del Libano e per implementare i progetti di Grande Israele occupando altri territori siriani o direttamente o appoggiandosi ai drusi per creare uno stato satellite nel sud della Siria. Non è da escludersi che il processo di balcanizzazione della Siria israelo-statunitense[21] preveda la realizzazione di un collegamento fra i territori della Siria orientale (con risorse agricole e petrolio indispensabili per la rinascita del paese) occupati dagli Usa con gli ascari curdi delle Quwwat Suriya al-Dimuqratiya (Forze democratiche siriane, Fds) e la parte sud-occidentale della Siria nella quale si sta espandendo Israele.

 

I palestinesi nella vecchia e nuova Siria

La Siria vantava un lungo e duraturo sostegno alla causa palestinese, i primi palestinesi si sono rifugiati qui a partire dalla Nakba quando oltre 100.000 di quegli 800.000 profughi che fuggivano dalla pulizia etnica che ha dato vita allo stato sionista hanno trovato rifugio in Siria dove, a parte il voto e la cittadinanza, hanno ottenuto gli stessi diritti dei cittadini siriani (cosa non comune negli altri stati arabi che hanno accolto la diaspora palestinese) diventando parte integrante del tessuto economico e sociale siriano e svolgendo anche il servizio militare in appositi reparti dell’esercito siriano. Al momento dell’inizio della guerra per abbattere il governo di Assad nel 2011 i palestinesi in Siria erano quasi 900.000.

Il governo siriano si è sempre opposto alla normalizzazione dei rapporti con Tel Aviv, ha costituito una base indispensabile per garantire gli approvvigionamenti di armi iraniane all’Asse della resistenza, in particolare a Hizballah, e la sopravvivenza della resistenza palestinese ospitando diverse formazioni (anche politicamente molto diverse fra di loro) e garantendo campi di addestramento, arsenali e residenze per i dirigenti in esilio[22]. Inizialmente, fin dai primi anni ‘60, l’appoggio era garantito alle formazioni marxiste e nazionaliste laiche – i palestinesi della diaspora diedero vita nel 1964 all’Esercito di Liberazione della Palestina (Elp) che venne a costituire una sorta di esercito ausiliario di quello siriano, formalmente l’Elp costituiva l’ala militare ufficiale dell’Olp ma di fatto era sotto controllo siriano –, poi anche a quelle islamiste come Harakat al-Jihad al-Islami fi Filastin (Movimento per il Jihad islamico in Palestina) nel 1989 e dieci anni dopo Hamas.

A proposito di Hamas è necessario spendere qualche parola dato che l’ospitalità offerta suscitò alcune perplessità vista la storica contrapposizione fra il panarabismo baathista e l’islamismo sunnita conservatore dei Fratelli musulmani. Il presidente siriano Hafiz Assad (1971-2000) era diventato primo ministro nel 1970 grazie a un colpo di stato determinato da uno scontro interno al partito Baath che vedeva contrapporsi l’ala militare del partito (Assad era ministro della difesa) e l’ala “sinistra” che puntava a riforme sociali più consistenti. Se la politica laica del governo di Hafiz Assad, realizzata anche attraverso una serie di riforme economiche col supporto finanziario dell’Urss, garantiva l’appoggio delle minoranze cristiana e drusa e di quella alauita di cui Assad faceva parte e i cui membri occupavano ruoli chiave nel partito Baath e nelle istituzioni, non altrettanto positivi risultavano i rapporti con l’islamismo sunnita e con la minoranza curda. L’islamismo siriano guidato dalla sezione locale dei Fratelli musulmani a partire dalla metà degli anni ‘60 si opporrà al governo laico baathista organizzando un’opposizione clandestina e armata. La nuova costituzione del 1973 che non prevedeva che la carica di presidente dovesse essere ricoperta necessariamente da un musulmano fu l’occasione per violente manifestazioni, in particolare a Hama roccaforte dell’opposizione sunnita. Altre violenze si manifesteranno nel 1976 quando Assad, inaugurando una politica di intervento siriano nelle vicende libanesi, si schiererà, capovolgendo la politica panarabista e filopalestinese, a favore delle milizie conservatrici cristiane maronite contro le posizioni progressiste musulmane. Assad procedette a una repressione dei Fratelli musulmani che, una volta riorganizzatisi, daranno vita nel 1979 a una guerra civile, finanziata e fomentata dall’estero con l’appoggio di Usa, Giordania e Iraq, che avrà quale momento culminante la strage di Hama (fra le 5.000 e le 20.000 vittime) perpetrata dall’esercito siriano nel 1982[23]. La prima operazione rilevante di Osama bin Laden avviene proprio in Siria nel 1979 attraverso il finanziamento della rivolta organizzata dai Fratelli musulmani siriani contro Hafiz Assad.

Se il Movimento per il jihad islamico palestinese ha sempre mantenuto una posizione fedele al governo siriano la posizione di Hamas ha conosciuto oscillazioni importanti: se l’ospitalità offerta aveva portato a un rapporto di alleanza, quando scoppia il conflitto nel 2011 Hamas si schiera con i rivoltosi, salvo poi riavvicinarsi al governo siriano, in particolar modo grazie all’ala di Hamas che potremmo definire “nazionalista” (che pone in primo piano la lotta per la liberazione della Palestina contro l’ala “internazionalista” che ha incarnato meglio le ambigue posizioni che i Fratelli musulmani hanno mantenuto con l’imperialismo occidentale) che con Yahya Sinwar ha imposto un riavvicinamento a Damasco, sancito dall’uscita di Hamas dai Fratelli musulmani nel 2017, rispetto alle posizioni del partito più vicine alla Turchia e al Qatar e quindi al rovesciamento di Bashir Assad. A onor del vero una parte dei militanti di Hamas fin dal 2012 si era unita alle forze palestinesi che si contrapponevano ai jihadisti, mentre un’altra parte stava con i rivoltosi.

A essere dirimente nella posizione dei palestinesi siriani è stato comunque l’attacco jihadista di Isis e al-Nusra nel dicembre 2012 al campo di Yarmouk, situato nella periferia meridionale di Damasco dove trovarono rifugio i primi profughi della Nakba e che può essere considerato una sorta di capitale della diaspora palestinese, che fece svanire rapidamente nella maggior parte delle formazioni palestinesi (comunisti, Jihad islamica, al-Fatah) ogni perplessità sulla necessità di schierarsi a fianco dell’esercito siriano: «il dato centrale divenne il fatto che i terroristi e mercenari jihadisti, supportati dalle solite potenze occidentali e dalle monarchie reazionarie del Golfo, con questa guerra avrebbero spazzato via una qualsiasi prospettiva di affrancamento delle lotte palestinesi future, in qualsiasi ipotesi»[24]. L’8 aprile 2012 quattordici organizzazioni palestinesi siriane decisero che una politica neutrale non sarebbe stata ammessa e formarono una forza militare comune per fermare jihadisti creando un coordinamento con l’Elp. Il giorno dopo l’Olp sconfessò l’accordo sostenendo la necessità di evitare il coinvolgimento in uno scontro militare in Siria, ciò non influì sulle decisioni prese dalle formazioni palestinesi che pure in parte erano membri dell’Olp stesso.

Di fronte all’avanzata israeliana nel Golan, e dopo le dichiarazioni di Natanyahu secondo il quale il Golan resterà sempre parte di Israele[25], come hanno reagito i jihadisti? La risposta è stata quella di comunicare ai rappresentanti delle diverse formazioni palestinesi con base in Siria che non potranno più possedere armi, campi di addestramento e quartier generale, la premessa per procedere all’espulsione delle formazioni della resistenza palestinese. Una replica di quanto avvenuto in Libano nel 1982 quando venne fatta sloggiare l’Olp, bisognerà vedere se con annessa strage modello Sabra e Chatila. «Non hanno nemmeno l’iniziativa di prendere posizione sull’aperta aggressione israeliana contro il loro paese. I neoliberatori siriani annunciano una fase di “fredda normalizzazione”. Anche se non stanno parlando di stabilire relazioni con Israele, stanno parlando di passi pratici da parte del nuovo governo per prevenire qualsiasi resistenza esistente o potenziale contro Israele dal territorio siriano […]. La conseguenza pratica della mossa è che ai palestinesi è proibito usare la Siria come quartier generale o corridoio per qualsiasi attività contro il nemico israeliano. Questo passo sarà presto completato in Libano, dove il progetto di porre fine ai campi palestinesi sarà tirato fuori dal cassetto, in preparazione non solo dello scioglimento delle forze militari, ma anche del loro insediamento in Libano»[26].

 

Fuga dalla Siria occidental-sionista-jihadista

Al di là della propaganda occidentale che tende a presentare Hts e il suo capo come “jihadisti moderati” (nessun commento sulla contraddizione in termini che caratterizza la capacità di sorvolare sulla realtà degli organi di propaganda occidentale), anche se la parola preferita per indicare i jihadisti dalla stampa occidentale è la neutrale, con qualche inflessione romantica e avventurosa, di “ribelli”[27], i siriani hanno molto ben chiaro con chi hanno a che fare, infatti decine di migliaia di persone, appartenenti per lo più alle minoranze (sciiti, cristiani, alauiti, ecc.), stanno già cercando rifugio in Libano, ma basterebbero le esperienze sperimentate da quei tre milioni di siriani sottoposti nel governatorato di Idlib alle angherie dei qaidisti di Hts e simili. I fuggitivi riferiscono di essere stati costretti ad andarsene dai gruppi militanti estremisti e denunciano come i qaidisti abbiano compiuto atrocità contro cristiani, alawiti, sciiti e drusi[28]. Un’altra delle minoranze che viveva pacificamente nella Siria multietnica e pluriconfessionale e che sta iniziando a lasciare il paese preoccupata dall’influenza che potrà avere la Turchia, è quella armena (gli arabi siriani accolsero i sopravvissuti del genocidio turco del 1915) che negli anni della guerra siriana ha subito attacchi a opera delle formazioni filoturche[29]. Non una voce, per quanto riguarda i cristiani siriani che sono molto preoccupati per la loro sorte[30], si leva dagli esponenti politici e dal circo mediatico della “civiltà ebraico-cristiana” (ossimoro quant’altri mai visto come i cristiani hanno massacrato nei secoli i “deicidi” che hanno spesso dovuto cercare rifugio presso l’islam). Difficile però che i cristiani siriani e le altre minoranze dimentichino ciò che hanno fatti jihadisti di al-Jolani[31] e si fidino delle sue promesse, soprattutto se si ricordano certi slogan (e purtroppo i jihadisti non si sono fermati agli slogan) come “i cristiani a Beirut, gli alauiti nella tomba”[32].

 

 

*Maurizio Brìgnoli (Milano, 1966), ha collaborato con la Contraddizione, la Città futura, Il Calendario del Popolo, l’AntiDiplomatico, Informazione filosofica, Recensioni filosofiche. Ha pubblicato Breve storia dell’imperialismo, La Città del Sole, Napoli 2010; Jihad e imperialismo, l’AntiDiplomatico, Roma 2023 ed è in corso di pubblicazione, sempre con l’AntiDiplomatico, un nuovo lavoro intitolato Terrorismo, capitale e guerra. Progetti liberal-neocon per un nuovo conflitto mondiale.

 

 

 

[1] Cit. in Zein Jaafar – Celine al Khaldi, “West Has Nothing to Fear From Syria, Rebel Leader Whose Group Ousted Assad Tells Sky News”, Sky News, 11 dicembre 2024.

[2] Cfr. Samer Al-Atrush, “Jolani: Syria Won’t Be Used as a Launchpad for Attacks on Israel”, The Times, 16 dicembre 2024.

[3] Cfr. Colin P. Clarke, “The Moderate Face of Al Qaeda”, Foreign Affairs, 24 ottobre 2017.

[4] Cfr. Jack Murphy, “US Special Forces Sabotage White House Policy Gone Disastrously Wrong with Covert Ops in Syria”, Sofrep: Special Forces News, 14 settembre 2016; Isabel Hunter, “‘I Am Not Fighting Against al-Qa’ida… It’s Not Our Problem’, Says West’s Last Hope in Syria”, The Independent, 2 aprile 2014.

[5] Gianluca Pacchiani, “Syrian Rebel Commander Urges Israel to Support Uprising, Strike Iran-Backed Forces”, The Times of Israel, 6 dicembre 2024; per altri commenti di jihadisti favorevoli a Israele cfr. Dan Cohen, “Syrian ‘Revolutionaries’ Welcome Israel as it Invades Country They Claim to Have Liberated”, Uncaptured Media, 10 dicembre 2024.

[6] Cit. in Baruch Yedid, “‘Israel’s Strikes Helped Us Get Free,’ Senior Syrian Rebel Tells I24news”, I24News, 8 dicembre 2024.

[7] Jonathan Panikoff, “A Moment for Israel and Gulf States to Reshape the Region’s Future Rather than React to It”, Atlantic Council, 8 dicembre 2024.

[8] Cfr. Elizabeth Tsurkov, “Inside Israel’s Secret Program to Back Syrian Rebels”, Foreign Policy, 6 settembre 2018; Kit Klarenberg, “‘Israel’s’ Support for Syrian Opposition Exposed”, Al Mayadeen, 14 dicembre 2024.

[9] Cfr. Anshel Pfeffer, “Smash the Bases, Spare the Men – Israel’s Invisible War in Syria”, The Sunday Times, 13 gennaio 2019; Marco Santopadre, “Israele bombarda la Siria. L’Onu: ‘Tel Aviv sostiene gli islamisti’”, Contropiano, 8 dicembre 2014; Rory Jones ? Noam Raydan ? Suha Ma’ayeh, “Israel Gives Secret Aid to Syrian Rebels”, The Wall Street Journal, 18 giugno 2017; Stefano Mauro, “Onu: Israele sostiene i gruppi jihadisti in Siria”, Contropiano, 22 giugno 2017.

[10] Cfr. Judah Ari Gross, “Ex-Defense Minister Says IS ‘Apologized’ To Israel for November Clash”, The Times of Israel, 24 aprile 2017; Chloe Farand, “Isis Fighters ‘Attacked Israel Defense Forces Unit, then Apologised’ Claims Former Commander”, The Independent, 28 agosto 2024.

[11] Herb Keinon, “Netanyahu in Davos: Best to Hope for in Syria Is ‘Benign Balkanization’”, The Jerusalem Post, 21 gennaio 2016.

[12] Cfr. Steven Sahiounie, “Israel and the Terrorists in Syria Are Coordinating Their Attacks”, Mideast Discourse, 2 aprile 2024; Khalil Nasrallah, “Terror in Syria: a US Distraction from Gaza”, The Cradle, 30 maggio 2024.

[13] Cfr. Fulvio Scaglione, “ Abu Mohammad Al-Jolani, biografia di un terrorista”, Terrasanta.net, 13 gennaio 2022.

[14] Cfr. “Abu Mohammad al-Julani: Putting Lipstick on a Pig”, The Cradle, 13 dicembre 2024.

[15] Cfr. Paraic O’Brien, “What next for Syria? – Interview with HTS Member”, Channel 4, 11 dicembre 2024.

[16] Cit. in “Ahmed Al-Shara (Al-Julani): Non combatteremo un conflitto con Israele e non porteremo avanti una battaglia contro di esso”, Al Mayadeen, 14 dicembre 2024 (originale in arabo).

[17] Quds News Network, X, 14 dicembre 2024, 3.44 p.m., https://x.com/QudsNen.

[18] Cfr. “Le Alture del Golan, il piano Netanyahu e la Torah”, l’AntiDiplomatico, 16 dicembre 2024.

[19] Alberto Negri, “Il potere è una scatola vuota per Al Julani”, il manifesto, 17 dicembre 2024.

[20] Cfr. Alex MacDonald, “Mount Hermon: Why Control of Syria’s Highest Peak Matters”, Middle East Eye, 10 dicembre 2024.

[21] Cfr. Maurizio Brignoli, “Verso una balcanizzazione della Siria?”, la Città futura, 13 dicembre 2024.

[22] Cfr. “HTS Officials Order Palestinian Resistance Factions to Disarm, Close Bases in Syria: Report “, The Cradle, 13 dicembre 2024; “UDAP: Cosa sta accadendo in Siria e il futuro della resistenza palestinese”, l’AntiDiplomatico, 14 dicembre 2024; Giovanni Di Fronzo, “HTS sloggia la Resistenza Palestinese e apre ad Israele?”, Contropiano, 14 dicembre 2024.

[23] Cfr. Patrick Seale, Asad. The Struggle for the Middle East, University of California Press, Berkeley-Los Angeles 1988, pp. 332-8; Tim Anderson, La sporca guerra contro la Siria. Washington, regime e resistenza, Zambon, s.l. 2017, pp. 47-50.

[24] Enrico Vigna, I palestinesi e la guerra in Siria. Palestinesi a fianco del popolo siriano, La Città del Sole, Napoli s.d., p. 21. Per una ricostruzione dettagliata e puntuale delle diverse formazioni palestinesi in Siria rinviamo al lavoro di Vigna.

[25] Bethan McKernan, “Benjamin Netanyahu Says Golan Heights Will Remain Part of Israel ‘For Eternity’”, The Guardian, 9 dicembre 2024.

[26] Ibrahim Al Amin, “Il Libano e l’evento siriano: Domande sulla resistenza - Economia - Sociologia e libertà” (originale in arabo), Al-Akhbar, 13 dicembre 2024.

[27] Per una rassegna del coro mediatico occidentale che saluta la presa del potere di al-Jolani, “jihadista moderato” (Daily Telegraph), “leader pragmatico e carismatico” (Washington Post), “rivoluzionario che indossa una giacca” (Cnn), “politico spietatamente pragmatico e astuto che ha rinunciato al ‘jihad globale’” (Rolling Stone) e i suoi jihadisti “diversity friendly” capaci di costruire una Siria amica delle minoranze (Daily Telegraph) cfr. Alan MacLeod, “From ‘Terrorist’ to ‘Freedom Fighter’: How the West Rebranded Al-Qaeda’s Jolani as Syria’s ‘Woke’ New Leader”, MintPress, 12 dicembre 2024.

[28] Cfr. “90mila sono entrati in Libano in pochi giorni e discriminazione tra gli sfollati: la crisi degli sfollati si aggrava e si temono incidenti di sicurezza?”, (originale in arabo) Al Akhbar, 13 dicembre 2024.

[29] Cfr. Andrea Muratore, “Armeni in fuga: la ‘nuova’ Siria targata Turchia ricorda proprio passato”, InsideOver, 15 dicembre 2024.

[30] Cfr. Roberto Vivaldelli, “No, i cristiani in Siria non si fidano dei “ribelli” islamisti e di Al Julani”, InsideOver, 16 dicembre 2024.

[31] Per un elenco dei crimini compiuti da Jabhat al-Nusra, sigla qaidista prima del rebranding in Hts voluta dagli alleati occidentali per favorire il passaggio dei jihadisti alla voce “ribelli moderati” cfr. Elijah J. Magnier, “The Passage of Jabhat al-Nusra: From Al Qaeda to ISIS to ‘Leader of the Syrian Revolution’”, X, 9 dicembre 2024, 6.37 p.m., https://x.com/ejmalrai.

[32] Cfr. “Syria’s De Facto Ruler Says Foreign Extremists ‘Deserve Syrian Citizenship’”, The Cradle, 17 dicembre 2024.

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