Geopolitica del petrolio e del gas naturale: il trend di novembre spiegato nel dettaglio
di Demostenes Floros - abo.net
A novembre, i prezzi del petrolio sono aumentati sino a raggiungere i massimi da metà 2015. In particolare, la qualità del greggio Brent North Sea ha aperto le contrattazioni a 60,44 $/b e le ha chiuse a 62,71 $/b, mentre la miscela del West Texas Intermediate ha aperto a quota 54,27 $/b per chiudere a 57,45 $/b sulla scia dell’estensione per l’intero 2018 dell’accordo OPEC/non OPEC stipulato a novembre 2016 e in scadenza il 31 marzo 2018. Nel momento in cui scriviamo, il Brent sta prezzando a 62.81 $/b e il WTI a 57.10 $/b.
Inoltre, sono diversi i fattori che hanno contribuito a determinare il trend mensile ascendente del petrolio, tra i quali:
1. In conformità con le stime fornite dall’Oil Market Report, a settembre le scorte nei paesi OSCE sono diminuite di 40.000.000 di barili. Per la prima volta nel corso degli ultimi due anni, le giacenze globali sono scese sotto i 3 trilioni di barili (63.000.000 di barili nel III trimestre 2017);
2. Nonostante l’output di greggio USA abbia raggiunto i 9.682.000 b/g (previsioni settimanali), aumentando del 15% dalla metà del 2016, il prezzo del WTI ha inoltre raggiunto il massimo a 58,81 $/b il 24 novembre a causa della chiusura della pipeline Keystone dovuta ad una perdita. La capacità di Keystone – che connette i bacini di oil sands del Canada con gli Stati Uniti d’America – è di 590.000 b/g.
3. Il costante deprezzamento del dollaro. Il 27 novembre, la valuta americana è giunta a prezzare 1,1952 €/$, il minimo dal 4 settembre 2017 (1,206 €/$);
4. Il cosiddetto Black Friday fiscale cinese. Dal 1 dicembre 2017, la Cina taglierà le tariffe di 187 beni di consumo importati. Le tariffe dei generi alimentari, farmaceutici, cosmetici e abbigliamento diminuiranno da una media attuale del 17,3% al 7,7%. Secondo il quotidiano economico e finanziario MF Milano Finanza, “il lungo viaggio di Donald Trump in Asia sta facendo sentire gli effetti‘;
5. Le tensioni geopolitiche in Medio Oriente.
A novembre, il dollaro si è deprezzato nei confronti dell’euro. In particolare, il biglietto verde ha aperto le contrattazioni a 1,1612 €/$ e le ha chiuse a 1,1849 €/$, raggiungendo quota 1,1952 €/$ il 27 novembre, il minimo dal 4 settembre (1.206 €/$).
Nel contempo, la valuta statunitense si è mantenuta stabile verso il rublo. Se si esclude un breve deprezzamento della moneta russa oltre i 60 rubli/$ verificatosi a metà novembre, il cambio si è stabilizzato poco sopra i 58 rubli/$.
In conformità con i dati forniti dalla Banca Centrale Russa, il Prodotto Interno Lordo della Russia crescerà dell’1,5% nel 2017, mentre l’inflazione corrente è diminuita sino al 2,5%, ben al di sotto dall’obiettivo del 4% che si era dato il governo. Grazie a queste stime, la Banca Centrale ha potuto tagliare i tassi di interesse (per annum) all’8,25%.
In base ai dati del World Gold Council, la Federazione Russa è il principale acquirente di oro al mondo, nonché il terzo produttore. A novembre, il paese possedeva 1.801 t di oro, il 17,3% delle riserve fisiche globali mentre, nel corso del secondo trimestre del 2017, la Banca Centrale Russa ha acquisito il 38% degli acquisti effettuati dalle Banche Centrali.
Secondo le cifre di Gold.org data, dall’elezione di Putin come Presidente del paese nel 1999, le reserve di oro russe – al tempo, 343 t – sono incrementate più di 5 volte.
Ultimi dati e stime sull'oil & gas
Conformemente ai dati forniti dall’Oil Market Report e pubblicati dall’International Energy Agency il 14 novembre, l’offerta globale di petrolio è aumentata di 100.000 b/g a ottobre per un totale di 97.500.000 b/g, frutto della combinazione di maggiori estrazioni provenienti da paesi non-OPEC e minori forniture in arrivo dall’Algeria, dall’Iraq e dalla Nigeria (OPEC output -80,000 b/g a 32.530.000 b/g). Se confrontata con lo stesso periodo dell’anno precedente, la produzione globale è decresciuta di 470.000 b/g.
Le stime relative alla crescita della domanda globale nel 2017 e nel 2018 sono state riviste al ribasso di 100.000 b/g. Nello specifico, per quanto attiene l’anno corrente, essa aumenterà di 1.500.000 b/g (+1,6%) sino a toccare i 97.700.000 b/g, mentre l’anno successivo essa crescerà di 1.300.000 b/g (+ 1,3%), per un totale di 98.900.000.
Grazie alle cifre fornite dal Drilling Productivity Report pubblicato dall’Energy Information Administration il 13 novembre, l’output non convenzionale americano è aumentato di 80.000 b/g a dicembre, per un totale di 6.174.000 b/g.
La produzione di greggio USA, dopo il picco di 9.627.000 b/d raggiunto ad aprile 2015, è calata al minimo di 8.428.000 b/d il 1° luglio 2016. Essa ha quindi ripreso ad aumentare sino ai 9.682.000 b/d raggiunti il 24 novembre 2017 (stime settimanali).
Secondo i dati forniti da Baker Hughes, il numero totale delle trivelle USA attive il 1 dicembre – 929 di cui, 749 (80,6%) petrolifere e 180 (19,4%) gasiere – risultano essere 31 in più rispetto alle cifre pubblicate il 3 novembre in conseguenza dell’incremento del prezzo del barile.
A settembre 2017, le importazioni USA di greggio sono significativamente diminuite a 7.275.000 b/g. Esse erano 7.890.000 b/g ad agosto, 7.825.000 b/g a luglio, 8.010.000 b/g a giugno, 8.397.000 b/g a maggio, 8.131.000 b/g ad aprile, 8.048.000 b/g a marzo, 7.890.000 b/g a febbraio e 8.435.000 b/g a gennaio (record da agosto 2012). Attualmente, la media delle importazioni statunitensi di greggio nel corso del 2017 è pari a 7.989.000 b/g, in aumento rispetto ai 7.877.000 b/g nel 2016, a loro volta in rialzo se confrontati con i 7.344.000 b/g importati nel 2014 e i 7.363.000 b/g nel 2015.
Secondo i dati pubblicati dal China General Administration of Customs, nel corso di ottobre, la Russia è stata il principale fornitore di greggio della Cina per l’ottavo mese di fila, esportando 4.649 milioni t, più di 1.000.000 b/g. L’Arabia Saudita è stata il secondo fornitore con un ammontare leggermente inferiore rispetto a quello russo mentre al terzo posto si è collocata l’Angola.
Se all’inizio del decennio corrente la quota saudita ammontava al 20% circa delle importazioni cinesi, quella russa era inferiore al 7%.
Geopolitica del petrolio e del gas naturale
Il 30 novembre 2016, l’OPEC, la Federazione Russa e altri estrattori di petrolio hanno deciso di tagliare la produzione di 1.800.000 b/g nel corso del primo semestre 2017 con lo scopo di stimolare una crescita dei prezzi verso i 60 $/b. Il 30 giugno, hanno quindi prolungato l’accordo sino al 31 marzo 2018. Il 30 novembre 2017, l’intesa è stata estesa per l’intero 2018, specificando che l’output totale di Nigeria e Libia – inizialmente esentate dagli accordi – non avrebbe dovuto eccedere i 2.800.000 b/g (equivalente alla produzione corrente).
Tenuto conto che il mercato petrolifero è tutt’ora caratterizzato da un eccesso dal lato dell’offerta, la seconda estensione dell’accordo di novembre 2016 – se correttamente implementato nel corso del 2018 – certamente determinerà un ribilanciamento del mercato con prezzi stimati attorno ai 60 $/b.
In base ai dati forniti dall’Outlook 2017 del Fondo Monetario Internazionale, al presente la maggior parte dei membri dell’OPEC – dopo avere profondamente ridimensionato i propri bilanci di Stato – ha un prezzo di break-even prossimo alle stime del FMI.
Nello specifico, ci sono paesi – come il Kuwait (46,5 $/b), il Qatar (46,8 $/b), ma anche l’Iraq (54,1 $/b) e l’Iran (54,7 $/b) – che hanno un break even fiscale 2017 chiaramente al di sotto dei 60 $/b. Altri, come l’Algeria (63,8 $/b) e gli Emirati Arabi Uniti (68 $/b) hanno un target che è invece lievemente superiore alle stime del FMI, mentre l’Arabia Saudita necessiterebbe di 73,1 $/b (era a 96,6 $/b nel 2016) e la Libia di 102 $/b. Tra i produttori non-OPEC, il budget della Federazione Russa è stato fissato a 40 $/b.
Da un punto di vista strettamente geopolitico, l’impressione è che il Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, sia uno dei più influenti player anche tra i membri dell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio dopo avere ottenuto la vittoria militare in Siria – la quale creò le precondizioni per l’accordo di novembre 2016.
Il 3 dicembre, Romano Prodi ha scritto un articolo pubblicato dal quotidiano Il Messaggero nel quale enfatizzava il “capolavoro‘ del Presidente russo nella guerra del petrolio: “Nella recente riunione dell’OPEC a Vienna Putin, anche se la Russia non fa parte di questa organizzazione, ha portato a termine il suo progetto, impegnando tutti i presenti a limitare le produzioni in modo da stabilire prezzi (intorno ai 60 $/b) che gli esperti ritengono costituire un equilibrio di lungo periodo fra i produttori e i consumatori. [.....]. Il prezzo proposto dovrebbe essere in grado di ottenere un tollerabile equilibrio degli interesse dei grandi protagonisti degli accordi di Vienna, ma soddisfa anche gli Stati Uniti in quanto alcuni tra i più efficienti produttori di shale gas e shale [tight] oil possono rientrare nel mercato.
Tuttavia, come Nick Cunningham si chiedeva su Oilprice.com, "Il gas di scisto rovinerà questi piani?"
In attesa di una risposta che arriverà nei mesi a venire, Gazprom, il principale produttore di gas naturale russo, è prossimo a raggiungere un nuove record. In fatti, dopo il massimo di 179,3 Gmc3 di gas esportati in Europa (Turchia compresa) nel 2016, al 22 novembre 2017, essa aveva già consegnato 170 Gmc3 ai consumatori europei, superando l’ammontare esportato nello stesso periodo dell’anno precedente di 13,3 Gmc3. Al fine di ottenere tale obiettivo, la Gazprom ha sviluppato una serie di nuove infrastrutture, tra le quali il gasdotto Nord Stream che, il 30 novembre, ha trasportato il 200° Gmc3 di gas naturale dalla Russia alla Germania attraverso il punto di consegna di Greifswald.
In attesa di una risposta che arriverà nei mesi a venire, Gazprom, il principale produttore di gas naturale russo, è prossimo a raggiungere un nuovo record. Infatti, dopo il massimo di 179,3 Gmc3 di gas esportati in Europa (Turchia compresa) nel 2016, al 22 novembre 2017, essa aveva già consegnato 170 Gmc3 ai consumatori europei, superando l’ammontare esportato nello stesso periodo dell’anno precedente di 13,3 Gmc3. Al fine di ottenere tale obiettivo, la Gazprom ha sviluppato una serie di nuove infrastrutture, tra le quali il gasdotto Nord Stream che, il 30 novembre, ha trasportato il 200° Gmc3 di gas naturale dalla Russia alla Germania attraverso il punto di consegna di Greifswald.
*Analista geopolitico ed economico. Riceviamo e volentieri pubblichiamo l'articolo su gentile concessione dell'Autore