Fino a quando potranno impedire le elezioni in Libia?

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Fino a quando potranno impedire le elezioni in Libia?

 


di Leonardo Sinigaglia


Il percorso per giungere a elezioni libere e nazionali in Libia sembra nuovamente essersi arenato per gli interessi dei vari signori della guerra e delle relative milizie. Dopo il fallimento dell’ennesimo piano promosso dall’inviato ONU Abdoulaye Bathily, la situazione è notevolmente peggiorata. Di elezioni non si può parlare, soprattutto se queste vedrebbero la candidatura di Saif al-Islam Gheddafi, una figura sempre più popolare e visto come unica figura in grado di riunire il paese e di riconquistare l’indipendenza.

Due giorni fa, nella città di Zintan, a 120 chilometri a Sud di Tripoli, decine di veicoli e di uomini armati hanno fatto da sfondo alla lettura di un’importante dichiarazione promossa dagli abitanti della zona con la quale questi prendono risolutamente posizione a favore di Saif al-Islam e della sua candidatura, chiedendo che siano al più presto indette elezioni: “Noi, le forze sociali, militari e di sicurezza di Zintan, affermiamo il nostro sostegno alla candidatura alle elezioni presidenziali di Saif al-Islam Gheddafi, perché gode di un ampio sostegno popolare, ha spiccate doti di leadership, è sinceramente impegnato per la nazione libica e ha vasta esperienza politica [...] Non permetteremo a tutti i tentativi sospetti da parte di alcuni attori nazionali e internazionali di impedire a Saif al Islam Gheddafi di esercitare il suo diritto di cittadino libico di candidarsi alle elezioni e servire il suo Paese”.

Il video della dichiarazione di Zintan ha immediatamente fatto il giro del paese, venendo salutato positivamente da ampi strati della popolazione oltre che dal partito di Gheddafi, che ha colto l’occasione per stigmatizzare il clima di crescente repressione politica che si vive nell’Est del paese. Lo stesso Saif al-Islam ha ringraziato la popolazione di Zintan citando la sura Al-Anfal del Corano: “Se avessi speso tutto quello che c’è sulla terra, non avresti potuto unire i loro cuori; è Allah che ha destato la solidarietà tra loro[1].

Mentre i libici chiedono unità e indipendenza, Haftar, al pari degli altri signori della guerra intenti a spartirsi il paese, risponde con la repressione. Proprio ieri è stata confermata la morte in circostanze non chiarite di Siraj Dagman Fakhruddin, scrittore e direttore del Centro di Ricerche Strategiche Libico, detenuto arbitrariamente dalle forze armate di Bengasi dall’ottobre scorso per il suo attivismo politico. Ma questa terribile notizia non è che una tra le tante che nelle ultime ore hanno sconvolto il popolo libico. Per il sostegno espresso alla dichiarazione di Zintan è stato rapito e trasferito a Bengasi dai servizi di sicurezza i Haftar lo sceicco Ali Misbah Abu Sabiha al-Hasnawi, capo supremo del Consiglio delle tribù e delle città del Fezzan e figura chiave della squadra impegnata nelle trattative elettorali per conto di Saif al-Islam. L’uomo ultrasettantenne soffre di ipertensione e diabete, ed è stato arrestato nel cuore della notte su ordine del Maggiore Generale Osama al-Darsi, che ha istruito i suoi uomini di trarre in arresto chiunque nelle zone da loro controllate mostri sostegno per le rivendicazioni contenute nella dichiarazione di Zintan: risultano già essere stati arrestati i capi delle tribù di Mhadan e Qadhadhfa, la stessa a cui apparteneva Muhammar Gheddafi.

Questi ultimi passi di Haftar e del governo da lui controllato sono estremamente pericolosi e dagli esiti imprevedibili, e, al posto di reprimere il dissenso, lo stanno invece galvanizzando, facendolo coagulare attorno a Saif al-Islam Gheddafi. Persino chi combatté contro di lui e suo padre nel 2011 sta iniziando a fare passi indietro, e a riconoscerlo come l’unica speranza per la pace e la sovranità della Libia, come nel caso di Nasser Ammar, comandante militare delle Forze di Supporto impegnate nell’operazione ‘Vulcano di Rabbia’, iniziata nel 2019 dalle forze di Tripoli per opporsi all’avanzata delle truppe di Haftar[2].

Dopo dodici anni senza elezioni e il fallimento di ogni piano messo in campo al fine di ricostruire un unico governo nazionale capace di ricostruire e riunire il paese, la popolazione libica è sempre meno disposta a tollerare lo status quo fatto di abusi, illegalità diffusa, violenze e assenza totale dello Stato che i vari signori della guerra e i loro padrini internazionali impongono come prezzo del loro potere. Il malessere cresce, alimentato anche dalle conseguenze disastrose delle alluvioni dell’autunno scorso e del traffico illegali di petrolio, armi, esseri umani e oro. I libici si rendono conto che solo cacciando le influenze straniere ed eliminando il potere delle milizie tutto ciò potrà finire, e Saif al-Islam è l’uomo che vedono capace di portare a termine questo compito. Haftar, che per anni ha tentato di occupare questo posto da “uomo forte” e di proporsi come il salvatore della Libia, è cosciente di ciò, e per questo è terrorizzato da Gheddafi. Le incarcerazioni ai danni danni dei suoi sostenitori non sono certo iniziate in questi giorni, ma dopo la dichiarazione di Zitan non potranno che aumentare. Haftar è ormai visto dai libici come una delle tante pedine dell’imperialismo. La sua doppia cittadinanza libico-statunitense parla in maniera chiara ai più, che lo identificano ormai come di nazionalità americana, un “amministratore coloniale” tra tanti inviato per supervisionare il saccheggio delle risorse libiche e la trasformazione del paese in una zona franca per la criminalità e il terrorismo internazionale.

In ribellione a questo stato di cose va creandosi in Libia un fronte trasversale rispetto alla divisione del paese tra governo e parlamento, un fronte che unisce i libici patriottici attorno a Saif al-Islam, la cui forza cresce ogni giorno. Haftar non può impedire questo processo, ed è solo una questione di tempo prima che nuove libere elezioni nazionali siano conquistate, in un modo o in un altro. Ciò andrebbe riconosciuto e accettato: l’ostinato aggrapparsi al potere non potrebbe che portare alla distruzione della stessa Libia, ma i sentimenti patriottici di Haftar sono più che dubbi.

[1] Al-Anaf, 8:63.

[2] https://nabd.com/s/135933819-921668/

Leonardo Sinigaglia

Leonardo Sinigaglia

Nato a Genova il 24 maggio 1999, si è laureato in Storia all'università della stessa città nel 2022. Militante politico, ha partecipato e collaborato a numerose iniziative sia a livello cittadino che nazionale.

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