Cuba. 25 novembre, un fiore per Fidel

Cuba. 25 novembre, un fiore per Fidel

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I reazionari diffidano dell'uomo, diffidano dell'essere umano; pensano che sia ancora qualcosa simile all'animale. […] Il rivoluzionario crede nell'uomo, negli esseri umani. E se non si crede negli esseri umani, non si è rivoluzionari”.

Tra la moltitudine di frasi pronunciate da Fidel, ho scelto questa per l’anniversario della sua scomparsa. L’ho scelta perché fa capire come in lui era fortemente radicata la convinzione che, la rivoluzione socialista, era sì un processo trasformativo della società, ma intrinsecamente legato alla realizzazione umana dell’individuo. La rivoluzione cubana, per Fidel, era principalmente una rivoluzione umanista.

Molti sarebbero gli esempi da portare, e tanto su questo si è scritto a Cuba.

Riprendo solo un paio di passaggi da un semplice articolo pubblicato su ‘Granma’, il 23 novembre 2017, un anno dopo la sua morte:

«Fidel prende le distanze dagli schemi sociologici e teorici per concettualizzare la Rivoluzione e, come Martí, non la esprime solo come un grande movimento sociale, ma la conduce anche verso l'individuo. […] Alcuni hanno affermato, anche da posizioni ritenute marxiste, che l'individuo è sostituito dalla massa. Ma questa frase che commento di Fidel è quella di un vero umanista:

La Rivoluzione – quella del socialismo, chiarisco io – richiede un comportamento tra le persone come esseri umani, da ciascuno verso gli altri. Starebbe qui una delle differenze essenziali con il capitalismo, che non è solo un sistema economico e sociale ma un'intera cultura, un modo di vedere, sentire e vivere principalmente solo per sé stessi”.

Pertanto, per Fidel, la Rivoluzione deve cambiare i rapporti sociali anche a livello interpersonale…».

Oggi è il 25 novembre 2021, e sono ormai passati cinque anni da quella sera che Raul Castro è apparso in Tv, annunciando: “Oggi, 25 novembre, alle 22:29 è morto il Comandante in Capo della Rivoluzione Cubana, Fidel Castro Ruz”.

Quella notte l’Isola intera si è ammutolita in un silenzio assordante. Ognuno degli oltre undici milioni di cubani se ne è andato a dormire facendo molta fatica a prendere sonno, e in molti, con le lacrime agli occhi, non ci sono riusciti.

Fidel è arrivato a novanta anni ed è morto per cause naturali, nonostante i 638 attentati organizzati nei suoi confronti, nessuno portato a termine con successo, sia per merito dei servizi di sicurezza cubani che per sorte.

In molti casi bastava solo “premere il grilletto” e il loro odiato Fidel Castro sarebbe morto al momento, ma il caso ha voluto che nessuno di quelli che si era preso l’incarico di farlo, trovatosi davanti al Comandante, ne ha avuto il coraggio.

Fidel è riuscito a scamparla anche in quelli che si sono rivelati miserabili, vili, indegni e vigliacchi tentativi per assassinarlo: dai sigari avvelenati, alla conchiglia piena di esplosivo da mettere dove lui era abituato a fare immersioni; dalla muta da sub contaminata con veleno, ai cecchini appostati sugli edifici col bazuca; dalle armi nascoste nelle telecamere, al tentativo della sua ex amante, Marita Lorenz.

La giovane, dopo aver fallito l’avvelenamento per mezzo di una pillola mortale, si vede consegnare nelle sue mani una pistola dallo stesso Fidel: “se devi uccidermi fallo con questa. Spara!

Dopo aver puntato al suo petto, la donna sbotta in un pianto: “No, non posso farlo, Fidel”.

Infine il programmato attentato del 2000 a Panama, in occasione del Vertice Iberico-americano, preparato con 9 kg di esplosivo C-4, sventato solo per l’efficienza dei servizi di sicurezza cubani.

Nel 1979, mentre Fidel era in volo per recarsi alle Nazioni Unite, un giornalista gli chiese se era vera la voce – visto i continui tentativi per ucciderlo – che indossasse sempre un giubbotto antiproiettile sotto la divisa.

Togliendosi il sigaro dalla bocca e sbottonandosi la camicia militare gli mostrò il petto nudo: "No, quale giubbotto! Atterrerò così a New York", e, con una grassa risata, aggiunse “Io ho solo un giubbotto, quello morale, ed è forte, mi ha sempre protetto”.

Era riuscito a resistere a lungo anche alla sua malattia. Nella sua ultima partecipazione al Congresso del Partito Comunista di Cuba, tenutosi pochi mesi prima della sua morte, disse: “Tra poco compirò 90 anni. Mai mi era passata per la mente tale idea, e mai è stato il frutto di uno sforzo, ma solo il capriccio del caso. Presto sarò come tutti gli altri, a tutti toccherà il nostro turno, ma le idee dei comunisti cubani rimarranno".

I giorni che hanno anticipato la cerimonia di saluto a Fidel anche i suoni, i colori e gli odori delle rumorose città cubane si sono improvvisamente spenti. Da Occidente a Oriente, da L’Avana a Santiago de Cuba, nulla era più come prima.

Troppo grande, e di certo molto “ingombrante”, è stata la figura di quest'uomo che ha cambiato radicalmente la storia del suo Paese e del suo popolo.

Fidel non ha cambiato solo il destino di quell’Isola, perché, negli ultimi sessanta anni, ha influenzato in modo significativo la storia di tutta l'America Latina, il Continente con il più alto grado di diseguaglianza al mondo, con un’unica eccezione, Cuba.

Altri milioni di persone, sparse nei paesi del Terzo Mondo, avevano visto in lui e nella rivoluzione cubana un riferimento per un possibile riscatto attraverso una più equa giustizia sociale.

Immagino che qualche cubano contesterà alcune delle mie affermazioni, in particolar modo la frase di Fidel con cui ho aperto l'articolo «… Il rivoluzionario crede nell'uomo…».

Lo faranno dicendo che non è coerente con quello che ha praticato nei suoi tanti anni di potere.

Anche se esistesse il migliore dei mondi possibili – e Cuba non lo è – è fisiologico che ci sia sempre qualcuno che dissente, e meno male che questo accade, perché, come disse lo stesso Fidel: “quello che va bene oggi, è sicuro che non può andar bene anche domani, e sarà necessario cambiarlo”. Cambiarlo sì, ma, citando un’altra sua famosa frase: “dentro de la Revolución todo, contra la Revolución nada”.

Non voglio affermare che ogni critica che si fa a Cuba sia artefatta, no, perché Cuba è un Paese con un’infinità di problemi, si potrebbe fare una lunghissima lista al riguardo, e non sempre la colpa è del criminale ‘blocco’ economico, commerciale e finanziario che subisce da sessant’anni, anche se incide in modo determinante.

Bisogna ammettere che il socialismo, a parte i suoi indiscutibili traguardi raggiunti in alcuni campi, non ha dato tutti i frutti sperati, e su questo molti cubani, sia funzionari di Stato che dirigenti di partito, e anche comuni cittadini – ognuno con responsabilità diverse – hanno messo del loro perché questi frutti non maturassero.  

Anche riconoscendo i tanti problemi che vive la società cubana, non c’è alcun dubbio di come i media internazionali alterino – scientemente – la narrazione sulla realtà di quel Paese, e oggi, essendo il 25 novembre, voglio portare un altro esempio a conferma, che si lega molto bene a questa ricorrenza, perché si tratta di Fidel.

Fuori dall’Isola lo hanno spesso accusato di essere promotore di una propaganda interna col fine di alimentare il culto della sua personalità, presentandolo come il ‘Lider Maximo’ che cercava l’adulazione del suo popolo.

Anche in questo caso, nulla di più falso.

È vero che a Cuba c’era una sorta di “sacro” rispetto nei suoi confronti, ma è pur vero che la quasi totalità della popolazione non metteva in discussione la sua figura perché, a prescindere dai risultati ottenuti, avevano certezza della sua totale abnegazione nel dedicarsi a risolvere i problemi del Paese e della sua gente.

Anche chi non condivideva il sistema socialista, nel suo intimo, non dubitava nella buona fede di Fidel.

Oltre a questo si deve aggiungere la sua forte personalità, il suo indiscusso carisma e il suo rilevante ruolo internazionale, trasformando Cuba, da piccolo Paese del Terzo Mondo, a baluardo di resistenza antimperialista e simbolo d’indipendenza, nonostante si trovasse a solo novanta miglia dalla più potente nazione al mondo, che da sempre ha cercato di “riannetterla al suo impero”.

Tutto questo ha rafforzato l’idea che fosse lui stesso ad alimentare il culto della personalità, ma è un pensiero che non corrisponde alla realtà storica.

Per farlo capire porto ad esempio quello che Fidel disse a Ignacio Ramonet, famoso intellettuale, specialista in geopolitica e direttore dell’edizione spagnola di “Le Monde Diplomatique”.

Ramonet è anche l’autore di “Cien horas con Fidel”, pubblicato in italiano col titolo “Autobiografia a due voci”.

Il libro è il frutto di molti incontri e lunghi dialoghi tra lui e Fidel, con lo scopo di riassumere – per quel che si può – il vissuto e i pensieri del leader della Rivoluzione cubana e, come lo stesso autore spigò:

«L'obiettivo centrale di queste conversazioni con Fidel Castro era dargli la parola. Perché, sebbene sia citato molto regolarmente dalla stampa mondiale, lo hanno fatto quasi sempre per attaccarlo, senza la possibilità di presentare anche i suoi argomenti, le sue versioni.»

È stato proprio in uno di quegli incontri che Ignacio Ramonet gli chiese se fosse infastidito dal culto della sua personalità, e la risposta di Fidel fu questa:

«Per natura sono ostile a tutto ciò che può sembrare un culto della persona e puoi confermare, come già ti ho detto, che in questo Paese non esiste una sola scuola, fabbrica, ospedale o edificio che porta il mio nome. Non ci sono né statue, e né praticamente miei ritratti.

Non facciamo ritratti ufficiali qui. È possibile che negli uffici qualcuno abbia messo una mia foto, ma è un’iniziativa personale e in nessun caso quella foto è un ritratto ufficiale.

Ho molti conflitti con la mio popolo, perché non mi piace il culto della personalità. Fortunatamente, la gente mi chiama Fidel, e io sono il primo a stimolare lo spirito critico […], e ho combattuto intransigentemente ogni manifestazione del culto della personalità o della divinità.»

Fino all’ultimo giorno della sua vita non ha cambiato idea.

Esaudendo la sua richiesta, un mese dopo la sua morte, l’Assemblea Nazionale cubana ha approvato una legge il cui testo dice:

«L’uso del nome di Fidel Castro è espressamente vietato per nominare istituzioni, piazze, parchi, viali, strade e altri luoghi pubblici, nonché qualsiasi tipo di decorazione, riconoscimento o titolo onorario. L’uso della sua figura è anche proibito per erigere monumenti, busti, statue, carte commemorative e altre forme simili di tributo in luoghi pubblici».

La sua tomba non è a L’Avana, capitale del Paese. Fidel ha deciso di farsi cremare e portare le sue ceneri nel “Cimitero Monumentale di Santa Ifigenia”, che si trova nella città di Santiago de Cuba.

L'urna è stata messa nella nicchia scavata in una grande e anonima pietra bianca, con una piccola targa, e nulla più. Su quella targa ha voluto che ci fosse scritto solo il suo nome: Fidel.

P.S. Il video che segue è stato realizzato dopo la sua morte. Come il titolo suggerisce, “Omaggio al Comandante in Capo Fidel Castro Ruz”, è un omaggio del popolo cubano al suo ‘Comandante’, e la donna che parla prima dello scorrere delle immagini dice:

«Sono già passati 12 anni – e non due giorni – da quando dissi questa frase: “Mi basta solo una patata e un boniato caldo e io sto con Fidel”.

E oggi lo ripeto: “con una sola patata calda io sto con Fidel… e ci sto fino agli ultimi giorni della mia vita

 

 

 

Roberto Cursi

Roberto Cursi

Sono nato a Roma nel 1965, passando la mia infanzia in un grande cortile di un quartiere popolare. Sin da adolescente mi sono avvicinato alla politica, ma lontano dai partiti. A vent'anni il mio primo viaggio intercontinentale in Messico; a ventitré apro in società uno studio di grafica; a ventiquattro decido di andare a vivere da solo. Affascinato dall'esperienza messicana seguiranno altri viaggi in solitaria in terre lontane: Vietnam, Guatemala, deserto del Sahara, Belize, Laos... fino a Cuba.

Il rapporto consolidato negli anni con l'isola caraibica mi induce maggiormente a interessarmi della complessa realtà cubana.

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