Come le Élite neoliberiste scelgono “capi inadeguati”. Il caso Macron
di Michele Blanco
Negli ultimi anni sembra affermarsi un paradosso che caratterizza la storia contemporanea e le sorti della politica, dell’economia e perfino lo sviluppo delle grandi aziende. Si nota che più il potere, economico e politico, si concentra in poche persone, più tende a circondarsi di persone palesemente inadeguate, se non del tutto incapaci.
In realtà non è un errore, è un metodo “scientifico”.
Le élite nella storia raramente hanno scelto leader troppo competenti, o liberi e autonomi. Una persona ai vertici, politici o di una grande azienda multinazionale, molto capace è anche un capo potenzialmente pericoloso, tra le altre cose, può pensare con la propria testa, essere imprevedibile, disobbedire, rompere gli equilibri, agire fuori dagli schemi, dai programmi prestabiliti, insomma non rispettare le indicazioni date da chi effettivamente detiene il potere. Quindi molto meglio allora avere ai vertici figure mediocri, che eseguono gli ordini, attoriali, estremamente docili e riconoscenti, oltre che non troppo intrapendenti.
Infatti l’incompetente non minaccia o combatte il sistema: lo accetta e lo protegge. Lo aveva intuito già C. Wright Mills ne “The Power Elite” (1956), dove affermava che il potere reale non risiede nei ruoli visibili, ma nelle strutture che li selezionano.
Allo stesso modo, i sociologi italiani Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto, padri della teoria delle élite, descrivevano un meccanismo di autoriproduzione delle classi dirigenti, dove la lealtà conta estremamente di più del merito.
Sosteneva Alexis de Tocqueville, osservando la società statunitense dell’ottocento, che “La mediocrità è la vera sicurezza del potere.”
Il risultato odierno è un sistema in cui i vertici visibili, come politici, manager, amministratori, diventano interfacce relazionali: parlano, firmano, si espongono, si indignano, pronunciano discorsi senza valore reale, recitano ma raramente decidono davvero. Tantomeno i politici tengono in considerazione quello che vorrebbero gli elettori che gli hanno votati.
Dietro di loro agiscono reti di potere, oggi neoliberista, che preferiscono restare invisibili, ma che dettano le regole del gioco, sempre con metodo antidemocratico.
Così la mediocrità non è più un difetto: diventa una strategia di sopravvivenza del potere per il potere.
E chi è stato scelto per obbedire, finirà per scegliere, a sua volta, altri obbedienti, mediocri e incapaci. Infatti Karl Kraus sosteneva che “Le persone più pericolose sono gli incapaci pieni di potere.”
L’incompetenza e l’incapacità al potere non è un incidente della storia, ma la sua più sofisticata invenzione. Il mondo non è governato veramente da chi sembra governarci è governato da chi ha avuto il genio di metterli lì perché dietro ogni leader inetto c’è sempre qualcuno che ha capito perfettamente come trarre vantaggio dalla sua inettitudine.
Emmanuel Macron sembra incarnare perfettamente la figura di chi pur avendo la maggiore carica politica francese, nella realtà, esegue degli ordini e un programma rigorosamente neoliberista, con l’imprimatr principale di togliere le tasse ai supericchi, prestabilito dai suoi sponsor delle elitè del potere. Egli cerca un governo che possa tenerlo al potere, ma non ci riesce, l’ultimo primo ministro incaricato è Sébastien Lecornu, suo fedelissimo, incaricato per tre volte. Ma i partiti di centro, liberali e ultraliberisti, che lo sostengono sono sempre più minoritari, nell’Assemblea nazionale e molto di più nel paese. La politica macroniana antipopolare e liberista è stata chiaramente sconfitta alle elezioni del 2024, Se Macron avesse un minimo di dignità personale si sarebbe già dimesso
In realtà egli resta al potere per compiere la sua “missione”, fare in modo che le proprie scelte neoliberiste non vengano eliminate dalla politica democratica francese: in modo particolare la sua scelta di proteggere dal fisco le grandi ricchezze, infatti gli unici che l’hanno sempre sostenuto sono i superricchi francesi. Per fare questo Macron difende la sua antipopolare riforma delle pensioni che gli elettori francesi a stragrande maggioranza, di estrema destra e di sinistra respingono totalmente. Questa “riforma” colpisce le classi medie e basse e salvaguardia i soliti pochi ultraricchi.
Macron è “solo davanti alla crisi”, affermano i maggiori giornali e reti tv, ma la realtà è diversa, molto diversa.
Macron è appoggiato dai possessori dei grandi patrimoni, le multinazionali, tutte le imprese raggruppate nella confindustria francese (Medef). Macron è la loro espressione politica, egli è il loro pupazzo, senza di loro, con il forte appoggio dei loro giornali e i loro finanziamenti non sarebbe riuscito a manipolare per tanti anni l’opinione pubblica francese. Infatti ai potenti dell’economia lui promette, e mantiene le sue promesse, con regali fiscali fin da quando fu eletto nel 2017. Oggi solo il 13-14% dei francesi lo approva, malgrado giornali e televisioni lo incensano come sempre scrivendo che “non c’è alternativa”, come affermava la Margaret Thatcher, Ex Primo ministro del Regno Unito, che per prima abbasso le tasse ai ricchi e butto sul lastrico milioni di lavoratori inglesi.
Sempre i soliti giornali e televisioni insistono sulla riforma delle pensioni che l’80% dei francesi disapprova, infatti la sinistra e l’estrema destra la vorrebbero abrogare.
Ma Macron resta al potere perché l’establishment economico- finanziario teme la tassa giusta sui redditi degli ultraricchi, conosciuta come tassa Zucman, dal nome dell’economista suo ideatore Gabriel Zucman.
Si tratta di un’imposta minima, applicata solo ai patrimoni di chi ha redditi annui superiori a 100 milioni di euro. Con gli introiti di questa tassa minima ai supericchi si salverebbe lo stato sociale e anche le pensioni, grazie a un introito certo di 15-25 miliardi annui. Ma la confindustria erige le barricate a difesa dei regali fiscali di Macron e preme in prima linea sui deputati dell’Assemblea nazionale. L’organizzazione imprenditoriale ha diffuso nelle settimane scorse un opuscolo confidenziale che spiega ai singoli deputati la catastrofe che potrebbe derivare dalla tassa Zucman o tasse somiglianti: fuga di capitali, instabilità, caos infine. Ma nel compilare questo opuscolo si cita, con grande falsità e inesattezze, l’esodo dei capitali in Norvegia, quando fu approvata una tassa simile. Ma nell’opuscolo non si dice la verità infatti quell’imposta norvegese colpiva i redditi annui superiori a 1,7milioni di euro, non i 100 milioni annui indicati da Zucman. La tassa viene descritta, sempre mentendo, come “predazione della ricchezza”.
Ma per fortuna la maggioranza assoluta dei francesi sostiene la proposta di tassazione Zucman, si tratta dell’86%, la maggioranza dei francesi non si fa abbindolare dalla propaganda manipolatoria delle grandi lobby economiche e finanziare.
Per capire qualcosa del caos francese occorre andare indietro nel tempo e individuare il momento in cui l’idea di democrazia “rappresentativa” ha vacillato non solo sotterraneamente, a in maniera palese. È accaduto poco prima della nascita dell’euro. Nel 1998, il presidente della Banca centrale tedesca, Hans Tietmeyer, dichiarò che: a decidere è il “plebiscito permanente dei mercati”, invece degli elettori. Nel 2007 Greenspan disse che “grazie alla globalizzazione sono i mercati mondiali a prendere le decisioni politiche”. Mario Monti espose tesi analoghe, da presidente del Consiglio, quando disse che non poteva negoziare il salvataggio dell’euro a Bruxelles “tenendo pienamente conto” del proprio Parlamento (in Spiegel intervista del 6.08.2012).
Incredibilmente da allora chiunque sinceramente sostenitore della democrazia e della sovranità popolare viene accusato di populismo, guarda caso in Italia come in Francia dai grandi giornali e dalle televisioni di proprietà dei soliti ultraricchissimi. Nella strategia di Macron e dei suoi sponsor della confindustria francese la sinistra francese doveva essere sfasciata, e il tentativo di unione nelle Legislative del 2024 andava affossato. È quello che è accaduto.
Infatti Macron allora ha reso esplicito il suo rifiuto di dare l’incarico a un esponente della sinistra, affermando che “i mercati avrebbero reagito male”, notiamo l’assoluta mancanza di rispetto della volontà popolare espressa con voto democratico, e avviando consultazioni il cui scopo è stato quello di favorire la costituzione di un’altra maggioranza relativa, anche contro il chiaro responso delle urne. Macron ha cercato nell’Assemblea nazionale una nuova maggioranza che sia omogenea rispetto alle politiche neoliberiste, invise dalla stragrande maggioranza del popolo francese, che nella legislatura precedente erano state portate avanti dal governo di minoranza guidato dal suo partito. Dopo alcune settimane, e lunghe “consultazioni”, arriva l’incarico a Michel Barnier, uomo della destra gollista tradizionale, che non dispiace affatto a Le Pen.
L’aspetto più grave della situazione francese è che il Presidente Macron ha fatto chiaramente capire di non essere disposto a riconoscere la legittimità di indirizzo politico, chiaramente voluto dai cittadini attraverso il voto democraticamente espresso.
Naturalmente questo è il risultato tendenzialmente paternalista del presidenzialismo alla francese, non a caso modellata sulla figura di un leader sui generis come Charles de Gaulle, si sta evolvendo dunque in una direzione chiaramente antidemocratica e esplicitamente autoritaria. In questo autoritarismo si vede la chiara impronta di uno dei caposaldi dell’ideologia neoliberale, che consiste sempre nel mettere la politica economica, guidata solo da principi di favore per il capitale, a favore dei ricchi, al riparo dalle interferenze che possono derivare dalla formazione di maggioranze parlamentari democraticamente elette che potrebbero perseguire indirizzi redistributivi dei redditi e delle ricchezze.
Un principio del neoliberismo che in tutto il mondo favorisce le disuguaglianze economiche. In fondo è il solito modo di fare “spezzare le reni alla sinistra”, anche attraverso la forza, in questa insana e antidemocratica prospettiva, dall’obiettivo di subordinare il lavoro all’impresa, l’eguaglianza all’efficienza. Tanto peggio, se questo vuol dire restringere la libertà di scelta o di manifestazione delle opinioni.
Quello che è accaduto dalle ultime elezioni legislative (luglio 2024) ad oggi in Francia, ci dice come viene elusa la democrazia non rispettando la volontà del popolo liberamente espressa in libere elezioni. Ma in contesto del genere si può ancora parlare di democrazia?