Il Nobel come arma di guerra ibrida: il curriculum (senza filtri) di Maria Corina Machado

Sanzioni, sabotaggi e appelli all’intervento militare della leader dell'estrema destra golpista venezuelana

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Il Nobel come arma di guerra ibrida:  il curriculum (senza filtri) di Maria Corina Machado


di Fabrizio Verde

Il Premio Nobel per la Pace, istituito nel 1895 dal testamento di Alfred Nobel, era nato con l’intento di onorare “la persona che avrà fatto di più o nel modo migliore per favorire la fratellanza tra le nazioni, per l’abolizione o la riduzione degli eserciti permanenti e per la promozione di congressi di pace”. Nel corso del tempo, tuttavia, il prestigio del riconoscimento è stato più volte offuscato da scelte politicamente motivate, perché allineate agli interessi geopolitici delle potenze occidentali. Ma l’assegnazione del Nobel per la Pace 2025 a Maria Corina Machado, estremista e golpista venezuelana, promotrice di sanzioni punitive contro il proprio popolo, sostenitrice di interventi militari stranieri e aperta ammiratrice delle politiche di annientamento israeliane a Gaza, rappresenta forse il punto più basso nella storia del premio. Non solo perché Machado è l’antitesi stessa della pace, ma perché la sua figura incarna un progetto di guerra, destabilizzazione e subordinazione neocoloniale. Assegnarle il Nobel non è un semplice errore: è un atto politico deliberato, un’arma ideologica brandita contro un paese sovrano, il Venezuela bolivariano, che osa resistere all’egemonia statunitense e avanzare col proprio progetto di sviluppo nonostante la guerra multiforme costretto a fronteggiare. 

Una “pace” costruita con le bombe e le sanzioni 

Maria Corina Machado non è una pacifista o democratica. È una golpista, una bellicista, una ‘vendipatria’. Il suo curriculum è un catalogo di crimini contro la democrazia e la sovranità nazionale. Già nel 2002, durante il breve colpo di Stato contro il presidente Hugo Chávez, Machado firmò il cosiddetto “Decreto Carmona”, un documento che aboliva la Costituzione bolivariana e scioglieva il potere legislativo. In quell’occasione, non difese la democrazia: ne fu un’entusiasta becchina. 

Negli anni successivi, la sua organizzazione, Súmate, finanziata dall’agenzia statunitense NED (National Endowment for Democracy), considerata da molti una copertura della CIA, ha operato non per la “trasparenza elettorale”, come dichiarato, ma per soffocare il processo democratico venezuelano attraverso campagne di delegittimazione, frodi e pressioni internazionali. Nel 2005, Machado fu ricevuta alla Casa Bianca da George W. Bush, in un incontro che, secondo le autorità venezuelane, aveva lo scopo di chiedere “più denaro e linee guida per continuare con la sua agenda nascosta”. 

Ma è dal 2014 in poi che la sua vocazione alla violenza si manifesta con chiarezza. Fu una delle principali promotrici del piano golpista “La Salida”, insieme a Leopoldo López, un’operazione di destabilizzazione che provocò 43 morti, tra cui civili e agenti delle forze dell’ordine, uccisi spesso con colpi alla testa mentre cercavano di rimuovere le barricate dei “guarimberos” – gruppi violenti di estrema destra. Nonostante fosse deputata all’Assemblea Nazionale, Machado non esitò a violare la Costituzione accettando nel 2014 la nomina a “ambasciatrice alternativa” di Panama presso l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), perdendo automaticamente la carica parlamentare. 


L’appello alla guerra e al genocidio 

Nel 2018, Machado rivolse una lettera al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e al presidente argentino Mauricio Macri, chiedendo loro di “applicare la loro forza e influenza per smantellare il regime criminale venezuelano”, legato – secondo le sue parole – al “narcotraffico e al terrorismo”. Invocava esplicitamente la dottrina della “Responsabilità di Proteggere” (R2P), uno strumento imperialista usato in passato per giustificare interventi militari in Libia, Iraq e altrove. Tradotto: chiedeva l’intervento armato straniero contro il Venezuela. 

Nel frattempo, mentre a Gaza si consumava (e si consuma tuttora) un genocidio sotto gli occhi del mondo, Machado taceva – o meglio, appoggiava. Non una parola di condanna per le migliaia di bambini uccisi, per gli ospedali bombardati, per la pulizia etnica in corso. Il suo silenzio non è casuale: è coerente con la sua visione del mondo, dove la violenza è legittima se serve gli interessi dell’impero. E l’impero, oggi, è Israele quanto gli Stati Uniti. 

Il blocco economico come arma di distruzione di massa 

Machado è stata una delle principali artefici del blocco economico contro il Venezuela. Ha chiesto e ottenuto sanzioni unilaterali da parte degli USA e dell’UE che, secondo stime del governo venezuelano, hanno causato danni per 642 miliardi di dollari tra il 2015 e il 2022. Queste misure hanno paralizzato l’industria petrolifera, impedito l’importazione di farmaci salvavita – tra cui quelli per 60.000 pazienti HIV – e generato iperinflazione, carestia e migrazione forzata. 

Ha sostenuto il sequestro di CITGO, la raffineria venezuelana negli USA, causando danni per 32,5 miliardi di dollari. Ha appoggiato il congelamento di 31 tonnellate d’oro presso la Banca d’Inghilterra e il blocco di 4 miliardi di dollari nei circuiti finanziari internazionali. Ha celebrato il saccheggio della società colombo-venezuelana Monómeros, restituita al Venezuela in condizioni di fallimento. 

Tutto questo non è “opposizione democratica”. È collaborazionismo con il nemico. È tradimento della patria. 


Il Nobel come arma di guerra ibrida 

L’assegnazione del Premio Nobel per la Pace a Machado arriva in un momento di massima tensione geopolitica. Gli Stati Uniti hanno intensificato la loro presenza militare nei Caraibi, con esercitazioni navali e dispiegamenti aerei a poche miglia dalle coste venezuelane. Il Pentagono parla apertamente di “minacce iraniane” presso la base dell’aeronautica militare di Maracay – una bufala propagandistica ripresa da Machado stessa, che ha chiesto esplicitamente ai media statunitensi di bombardare basi militari venezuelane. 

In questo contesto, il Nobel non è un riconoscimento: è un segnale politico. È un tentativo di legittimare una figura sconfitta – Machado non ha mai vinto un’elezione, né gode del sostegno popolare in patria – e di riabilitare l’opposizione golpista dopo la schiacciante vittoria elettorale del presidente Nicolás Maduro nel 2024. È un messaggio chiaro a Caracas: “Non importa quanto siate democratici, non importa quanto resistiate. Noi decideremo chi deve governarvi”. 

Peggio ancora: è un invito implicito all’intervento. Se il Comitato norvegese definisce “coraggiosa” una donna che chiede bombardamenti, sanzioni e colpi di Stato, allora il Premio Nobel non è più uno strumento per la pace, ma un certificato di guerra. 

La svendita del Venezuela 

La vera natura di Machado emerge con chiarezza quando si parla di risorse naturali. In un incontro con Donald Trump Jr., ha proposto di trasformare l’Isola di Margarita in un casinò di proprietà della famiglia Trump, offrendo in cambio “tutto il territorio insulare dello stato di Nueva Esparta”. Non è follia: è il piano concreto di una élite che vede il Venezuela non come una nazione, ma come un bottino da spartire con i suoi padroni stranieri. 

Il Venezuela è il paese con le maggiori riserve petrolifere del mondo, oltre a giacimenti di oro, diamanti, coltan e terre rare. Per Washington, non è una questione di “democrazia”: è una questione di controllo delle risorse. E Machado è pronta a consegnargliele su un piatto d’argento. 

Un premio contro la pace 

Il Premio Nobel per la Pace a Maria Corina Machado non è solo un affronto al popolo venezuelano. È un affronto a tutti coloro che credono ancora che la pace sia qualcosa di più di un’etichetta da apporre sulle guerre giuste dell’Occidente. È la conferma definitiva che il Nobel è diventato uno strumento di guerra ibrida, usato per criminalizzare i governi sovrani, legittimare i colpi di Stato e aprire la strada agli interventi militari. 

Mentre il popolo venezuelano resiste con forza e dignità a oltre due decenni di aggressioni economiche, politiche e mediatiche, il Comitato norvegese sceglie di premiare chi ha invocato la sua distruzione. In un’epoca in cui Gaza brucia e il Venezuela è minacciato da missili USA, dare il Nobel a una sostenitrice del genocidio e del blocco economico significa tradire la pace stessa. 

Maria Corina Machado non merita un premio. Merita un tribunale. E il Premio Nobel, dopo questa scelta, merita di essere cancellato dalla storia. 

 

Fabrizio Verde

Fabrizio Verde

Direttore de l'AntiDiplomatico. Napoletano classe '80

Giornalista di stretta osservanza maradoniana

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