Vincoli esterni (e quelli interni)
2016
di Paolo Desogus
L’impressione è che il governo si stia avvitando su se stesso. Siamo a settembre e i partiti della sua maggioranza sono già in campagna elettorale. Si preparano alle elezioni europee e parallelamente si danno da fare per nascondere la perdita di iniziativa politica sull’agenda di governo. Le varie riforme pensate a inizio legislatura si stanno arenando per via dei fuochi incrociati e per la scarsa coesione della maggioranza, unita solo da interessi corporativi e non da una visione globale del paese. A questo poi si aggiunge il forte rallentamento dell’economia. La prossima manovra si appresta a registrare un deficit del 7% senza introdurre nuove misure di crescita. Si tira a campare, insomma.
L’impressione è che il governo si stia avvitando su se stesso. Siamo a settembre e i partiti della sua maggioranza sono già in campagna elettorale. Si preparano alle elezioni europee e parallelamente si danno da fare per nascondere la perdita di iniziativa politica sull’agenda di governo. Le varie riforme pensate a inizio legislatura si stanno arenando per via dei fuochi incrociati e per la scarsa coesione della maggioranza, unita solo da interessi corporativi e non da una visione globale del paese. A questo poi si aggiunge il forte rallentamento dell’economia. La prossima manovra si appresta a registrare un deficit del 7% senza introdurre nuove misure di crescita. Si tira a campare, insomma.
Si tratta di uno scenario già noto, quello del governo che non governa e che si perde in polemiche sterili o, ancora, che si avvita intorno battaglie velleitarie.
Molto dipende dalla scarsa autonomia politica bloccata da diversi vincoli esterni, ma anche da vincoli interni, come quello di un capitalismo straccione, privo di una visione nazionale e intento a difendere esclusivamente il proprio particolare. Un altro vincolo è dato dal decadimento culturale, anche in questo caso prevalgono gli interessi corporativi tra bande intellettuali sostanzialmente sterili, prive di profondità filosofico-politica e incapaci di pensare al politico come al terreno di costruzione di una visione del mondo collettiva. Il massimo che riescono a fare è accapigliarsi sui temi della woke culture, cioè sui punti di un’agenda culturale d’importazione. All’interno degli stessi gruppi sociali prevalgono per questo “le visioni” e non la visione unitaria della politica; visioni frammentate intorno a interessi individualistici, privi della capacità di essere ricondotti a un comune denominatore. E anzi, per le pseudo filosofie di sinistra la stessa ricerca di una tensione universale viene tacciata di fascismo o stalinismo…
Molto dipende dalla scarsa autonomia politica bloccata da diversi vincoli esterni, ma anche da vincoli interni, come quello di un capitalismo straccione, privo di una visione nazionale e intento a difendere esclusivamente il proprio particolare. Un altro vincolo è dato dal decadimento culturale, anche in questo caso prevalgono gli interessi corporativi tra bande intellettuali sostanzialmente sterili, prive di profondità filosofico-politica e incapaci di pensare al politico come al terreno di costruzione di una visione del mondo collettiva. Il massimo che riescono a fare è accapigliarsi sui temi della woke culture, cioè sui punti di un’agenda culturale d’importazione. All’interno degli stessi gruppi sociali prevalgono per questo “le visioni” e non la visione unitaria della politica; visioni frammentate intorno a interessi individualistici, privi della capacità di essere ricondotti a un comune denominatore. E anzi, per le pseudo filosofie di sinistra la stessa ricerca di una tensione universale viene tacciata di fascismo o stalinismo…
Nessuno in Italia si sforza di immaginare il futuro del paese da qui a dieci, quindici anni. La programmazione dell’avvenire è stata appaltata ai privati, lasciando alla politica il mero compito di tenere occupato in inutili discussioni un paese stanco, sostanzialmente egoista e culturalmente mediocre.